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Rozeta, anzi la dottoressa Rozeta, oggi vive ad Asti e quando indossa il suo camice bianco e si cinge il collo con lo stetoscopio, come fosse una collana preziosa, sorride felice. Visita i suoi pazienti nell’ambulatorio, dipinto di bianco e verde acqua, in corso Casale, perché finalmente è anche lei una medica di famiglia. Proprio come quando a 24 anni, appena laureata, lavorava come medica di base per quattro diversi paesini intorno a Shkoder, nel nord dell’Albania ai confini con il Montenegro, in un piccolo centro sanitario con solo sei posti letto riservati ai casi più urgenti. È proprio qui che si è specializzata in microbiologia, lei che fin da piccola si divertiva a guardare una goccia di saliva o l’ala di un insetto con il microscopio giocattolo, regalo di compleanno. Rozeta la medica che poi ha sposato Leonard il bravo violoncellista biondo e ha iniziato, come tante, come tutte, a dividersi tra il lavoro fuori di casa con i pazienti e quello in casa, con lui spesso in giro a fare concerti e lei a badare ai due bambini, a crescerli. Niente che la turbasse e le facesse pensare di mollare tutto per andare via. Poi, correva l’anno 1997, è iniziato il “periodo dell’anarchia albanese”, come scrive anche Wikipedia. Una vera guerra civile, con le persone armate per le strade, la crisi economica che aveva portato il paese alla rovina e spinto tanti albanesi, disperati e terrorizzati, a scappare. Anche per Rozeta e Leonard, e il violoncello e i figli, l’idea è stata quella di andare via, appena possibile, abbandonare tutto per raggiungere quella parte della famiglia che da dieci anni viveva ad Asti e ricominciare. Ovviamente saper suonare uno strumento è qualcosa di riconosciuto, e apprezzato, in tutto il mondo, anche in Italia, e iniziare a dare lezioni di musica o suonare per la banda cittadina per Leonard non è difficile, la musica è una lingua universale, anche quando l’italiano è stentato. Rozeta già sa che una laurea in medicina presa in un altro paese, anche se europeo, in Italia non ha alcun valore legale. Per ottenere il permesso di soggiorno si fa prima se si inizia a fare la sarta o la badante in una residenza per anziani, anzichè  aspettare  tempi e peripezie burocratiche per il riconoscimento del titolo di studio. Senza scoraggiarsi, cercando di cavarsela, studiando una nuova lingua, provando a capire e ad abituarsi a un modo di vivere diverso, sfidando la diffidenza degli sguardi e i pregiudizi. Solo quattro anni per avere una risposta dal ministero della salute: “per quanto riguarda la domanda della sig.ra Rozeta …, di nazionalità albanese, in possesso di Laurea in Medicina e Chirurgia, la Commissione Didattica, esaminata la documentazione allegata, invita la Facoltà ad ammettere la richiedente, senza obbligo di frequenza, direttamente al VI Anno del Corso di Laurea Specialistica a Ciclo Unico in Medicina e Chirurgia, con obbligo di sostenere i seguenti esami di profitto: Emergenze Medico-Chirurgiche, Clinica Medica, Clinica Chirurgica, Pediatria Generale e Specialistica, Ginecologia e Ostetricia, Medicina Legale, Sanità Pubblica e Medicina del Lavoro.”.  Ovviamente la facoltà è quella  dell’università Sapienza di Roma, facilmente raggiungibile da Asti, capoluogo della provincia omonima, in Piemonte. Rozeta studia, ci mette due anni, spostamenti compresi, a superare brillantemente gli esami richiesti e poi, quando la legge lo ha permesso, si è iscritta al corso triennale per diventare una medica di famiglia e oggi è la prima, e per ora unica, straniera medica di famiglia in Italia.

Secondo i dati dell’Associazione Medici Stranieri in Italia, a fine 2019, in Italia ci sono 80mila professionisti della sanità di origine straniera, di cui 19mila medici: il 65% non ha la cittadinanza italiana, o è in attesa di riconoscimento titoli conseguiti all’estero, e per questo l’85% lavora nel privato non potendo accedere ai concorsi pubblici.