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Da qualche tempo ormai ciclicamente leggo e sento in tv su quanto i videogiochi siano dannosi per le persone, in special modo bambini e/o ragazzi.

Parlo di allarmismo a ragion veduta, poiché vedendo il tenore dei servizi passati alla tv non posso fare a meno di pensare a quanto (non) siano stati sufficientemente pensati e documentati a riguardo.

C’è poi un discorso del tutto italiano, specie in alcune aree del nostro Paese, in cui per ragioni prettamente culturali i videogiochi vengono demonizzati e le persone che ne fanno uso categorizzate come “persone senza scopo nella vita”: retroterra culturali nei quali servizi del genere hanno una presa maggiore.

Ancora ricordo quando (avevo circa 11-12 anni) uscì la prima console che rivoluzionò il mercato dei videogiochi, la Nintendo 8 bit. All’epoca ricordo che la comprò mia cugina, e quando la vidi la desiderai al punto che iniziai a mettermi i soldini da parte per comprarla anche io. Quando i miei genitori lo seppero liquidarono la cosa con un laconico “per giocare no, al massimo ti compriamo un pc così impari a usarlo”.

E così fecero. Ad oggi ne comprendo le motivazioni, ma provateci voi a dirlo ad una bambina di 10 anni che smania appresso a Super Mario e ci fa ben poco con le motivazioni genitoriali se queste ostacolano la realizzazione di quel desiderio (e devo dire che a tal proposito mi sono poi rifatta circa 20 anni dopo!).

In alcuni tessuti sociali italiani il videogioco è “tempo buttato”, “ci giocano solo i bambini” (se è un adulto a giocare) ma anche “devi crescere, non puoi giocare tutto il tempo” se è un bambino a farlo (un po’ schizofrenico come ragionamento ma soprassediamo). Insomma, comunque vogliamo metterla, videogiocare è disdicevole a qualsiasi età.

In altri casi hai famiglie che utilizzano i videogiochi come “calmanti” per i figli, anestetizzandoli per giornate intere, che poi si lamentano se scoprono che i figli svuotano il conto in banca degli ignari genitori con microtransazioni su alcuni giochi, dato che oggi vanno molto di moda i cosiddetti “acquisti in-app” anche all’interno del mercato videoludico. Qua vien da sé che il problema principale, piuttosto che il figlio che svuota la carta, è del perché un ragazzino venga lasciato così senza controllo.

Da qualunque parte io cominci a valutare la questione mi balza sempre agli occhi il fatto che il videogioco sia diventato uno specchietto per allodole, laddove videogiocatori, parenti e/o società vogliono de-responsabilizzarsi di qualcosa. E’ un po’ come dire che mentre ti indico la luna tu continui a guardare la mia mano.

Il videogame è un simbolo. Un tramite, attraverso il quale si ricercano e trovano conforto, piacere, sollievo e in ultimo anche svago. E’ un tramite che può favorire relazioni, a volte sane, a volte no (ma questo chiaramente non è colpa del videogioco, bensì dei problemi delle persone).

Si fa riferimento ai videogiochi come istigatori di violenza o cause di una reclusione sociale, ma non si guarda mai il fenomeno al completo.

Non vorrei dilungarmi da un punto di vista psicopatologico sui coinvolgimenti dei videogiochi: è sufficiente dire che se una persona decide di restare chiusa in casa bisogna chiedersi perché, da cosa fugge, e in cosa il videogioco diventa un porto sicuro; se un bambino passa il tempo a videogiocare e mostra comportamenti insoliti bisogna chiedersi come si presentano i rapporti all’interno della sua famiglia, e cosa il bimbo scarica attraverso il gioco.

Da un punto di vista analitico transazionale, il videogioco rappresenta una forma di gratificazione di cui il Bambino (inteso come Stato dell’Io) ha bisogno. Parlo di Bambino nel qui-ed-ora, per cui contestualizzato in ogni momento e età della persona. In pratica ogni persona, se mostra inclinazioni per videogame o in generale per attività che implicano un’attività di gioco o divertimento, deve avere la possibilità di darsi il permesso di poterlo fare. Paradossalmente questo aspetto permette di comprendere quanto una persona sia equilibrata, e allo stesso tempo utilizzare (in un setting terapeutico) il videogioco stesso come strumento educativo. Una persona equilibrata, in grado di darsi permessi, protezione e potenza sa gestire il suo tempo sulla base delle attività quotidiane, sia lavorative che di svago. Per cui sa quando può concedersi qualche ora di divertimento o quando non è il caso. Questo perché dentro di sé lo stato dell’Io Adulto ha il pieno controllo esecutivo, e Genitore e Bambino lavorano di comune accordo gestendo tempo e spazio in maniera produttiva e funzionale. 

Di contro, una persona con l’Adulto contaminato può trovare giovamento, all’interno della terapia, dall’imparare a usare i videogame (simbolicamente parlando) per comprendere i propri Stati dell’Io e individuarne le disfunzioni, imparando a mettere ordine nella propria vita dandosi tempi scanditi da piaceri e frustrazioni. In pratica decontaminare l’Adulto e fornire nuove istruzioni (o modifiche delle vecchie istruzioni) al Bambino e al Genitore.

Come in tutte le cose “est modus in rebus”, per cui, invece di gridare “al lupo” tutte le volte, sarebbe più sensato chiedersi cosa impedisce di trovare quella misura; ma oggi si sa, il sensazionalismo va per la maggiore, per cui informarsi adeguatamente non porta mai grossi risultati rispetto alle notizie che arrivano direttamente al Bambino, o come viene più comunemente definito, “pancia”.