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“Beatles o Rolling Stones ?” – “Pelè o Maradona?”

Circa 2 anni fa nel 2019, alla Casa dell’architettura di Roma, Sede dell’Ordine degli Architetti, fu inaugurata una mostra delle opere (architetture, pitture, plastici e video) di Will Alsop con “Lectio Magistralis” dell’eclettico e visionario architetto britannico introdotta da Fuksas (intervento irrilevante e di circostanza) e con presentazione del primo libro su Alsop scritto a quattro mani dall’architetta e critica Alessandra Orlandoni e dall’Accademico dell’Università di Oxford Tom Porter, prematuramente scomparso l’anno scorso.

Per chi come me appartiene alla stessa generazione di Alsop, questo “splendido settantenne” ha rappresentato da sempre l’eccezione che conferma la regola che l’architettura è arte ma non può essere solo arte, soprattutto perché sarebbe riduttivo pensarla tale, per la grande valenza sociale e l’importanza che ha nel determinare la qualità della nostra vita. Per questo motivo Porter nella sua introduzione paragona Alsop ad un artista del Rinascimento, periodo storico in cui le qualità di architetto, pittore e scultore erano spesso possedute dalla stessa persona prima che, dal successivo periodo Barocco, cominciasse la separazione tra arte e architettura.

Per Porter,  Alsop “…incarna una nuova e singolare specie di architetto, la cui inclinazione professionale è chiudere la breccia tra arte ed architettura, condensando scultura, pittura e progettazione di edifici in un singolo gesto”. Tutto ciò trova conferma nelle stesse parole di Alsop“…more noise non si occupa di edifici ma piuttosto del pensiero che sottende l’architettura e dell’atmosfera da essi generata – l’effetto che gli edifici hanno sull’ambiente, sulla vita delle persone e la percezione che queste hanno dell’ambiente fisico che le circonda. …Non credo nell’architettura pura. Preferisco un’architettura “corrotta”, che non si ferma al progetto ma dialoga con il contesto. Che invita ed incoraggia l’intervento di artisti, o anche solo di chi ci abita. L’architettura non è solo risolvere problemi tecnici. Nei miei edifici vedo persone felici, che li amano e li usano.

Se succede, vuol dire che quello che ho fatto è giusto”.

Forse basterebbero queste poche frasi per capire che Alsop era un predestinato, un architetto ed un artista che con le sue opere avrebbe fatto parlare di sé, “…in positivo o in negativo non ha importanza purché non si cada nell’indifferenza, come ama ripetere. E lo si poteva prevedere già nel 1977 quando a soli 23 anni, ancora studente dell’Architectural Association di Londra, non avendo i requisiti per partecipare al concorso internazionale per il “Centre Georges Pompidou, a Parigi, deve chiedere al suo tutor, Dennis Crompton, di iscriversi in sua vece, utilizzando il suo progetto, che aveva elaborato da solo, con il quale si aggiudica il II premio dietro i vincitori Piano & Rogers, ma battendo lo Studio Foster & Partners relegati al III posto.

“…un progetto che era pura anti-architettura, per ribadire l’idea che l’architettura moderna era un totale disastro, proponendo che il museo non fosse affatto un edificio, ma un grande spazio verde aperto e modellato come l’ondulato paesaggio parigino, comprensivo di due colline e una valle sotto le quali i servizi del Centro sarebbero stati interrati”.

 Coinvolgente e straordinariamente efficace quando descrive la “genesi” di un progetto.

“…Tutto comincia sempre da un foglio di carta bianco, non è forse così?…Il niente è il punto di partenza del progettare. L’inizio è sempre la tabula rasa che si infrange nell’istante in cui un’idea è trasferita dalla mente a una qualsiasi forma esterna…una parola, qualche riga di prosa, uno scarabocchio, uno schizzo o un’immagine, un diagramma”.

Per Alsop nella progettazione architettonica il diagramma concettuale, quale descrizione del processo mentale, è fondamentale ed i disegni sono addirittura oggetto di collezionismo e di mostre prestigiose, giocando un ruolo fondamentale nelle presentazioni di architettura, specialmente per la comunicazione dei concetti generatori al pubblico. Ad avvalorare questa tesi di Alsop, Tom Porter ricorda che: “…Charles Moore usava, come Picasso, scarabocchiare gli spunti progettuali su un tovagliolo mentre mangiava; che “…in una conferenza ad Oxford, negli anni “80”, chiese a Niemeyer se era vero che avesse schizzato le prime forme degli edifici di Brasilia sul retro di una busta o era una leggenda”, ricevendo come risposta un “No, non è corretto. Ho fatto lo schizzo sul retro di un pacchetto di sigarette”, ed infine che “…Louis Kahn definiva questi segni iniziali, questi gesti che si tende a considerare casuali ed accidentali “il seme progettuale”, perché in realtà sono le prime manifestazioni di un’idea progettuale in embrione e possono essere addirittura profetiche e rappresentare l’essenza di un’architettura.

Altro aspetto fondamentale per Alsop è il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini e della gente comune nelle scelte progettuali. Consultare il pubblico oggi è diventato di moda. Ma la maggior parte delle consultazioni pubbliche riguarda mere questioni astratte e processi burocratici – azioni insignificanti.

Goldsmith College (Londra)

 “…Viviamo in una società costellata da studi di fattibilità che non danno alcun risultato…Fate sedere le persone e chiedete loro di mostrarvi come vedono un edificio, lavorate con loro, sviluppate le idee, mostrate loro le vostre. La progettazione è un processo esplorativo, come la pittura. I concetti emergono lavorando – non si deve arrivare con idee preconcette riguardo il risultato del progetto”.

Anche in questi processi Alsop dimostra di essere un innovatore, per quanto riguarda la comunicazione, al passo con i tempi, come testimonia il bellissimo video realizzato per la riqualificazione e la rigenerazione urbana di un “pezzo” della città di Bradford.

Alla fine della sua lezione che, tanto per non smentirsi, aveva aperto chiedendo un bicchiere di vino rosso. Una lezione condita purtroppo dalla solita carrellata di progetti realizzati e non, con poche spiegazioni ed una “vagonata” di immagini a cui nemmeno lui è riuscito a rinunciare, e che resta l’unico neo forse di un pomeriggio molto “cool”. Mi sono avvicinato per farmi firmare il suo libro e mentre ci ringraziavamo a vicenda i nostri occhi per qualche secondo si sono incrociati. Occhi che pur non essendo grandi colpiscono e scrutano con uno sguardo di “dolce follia” e accompagnano un corpo che dichiara apertamente oltre all’età che Alsop nella sua vita, come si suol dire, non si è fatto mancare nulla. Quindi senza proferire parola e con un solo sguardo in quel momento Alsop ha risposto alle mie domande iniziali che per noi “ragazzi dell’altro secolo” costituivano il nostro “tormentone”. “Beatles o Rolling Stones? – Pelè o Maradona? Lui è sicuramente per i Rolling Stones e per Maradona, ma da uomo/artista/architetto eclettico e curioso apprezza ed anche tanto i Beatles e Pelè perché, aldilà dei gusti e delle inclinazioni personali, si è di fronte a persone non comuni che nel loro “mestiere” hanno scritto la storia della musica rock e del calcio, siamo di fronte a dei veri “fuoriclasse”… come lui.

Will Alsop