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Nel mese di Luglio del 2017 ho avuto il piacere di conoscere il giornalista Francesco Erbani (la Repubblica), in occasione di alcuni incontri sulle problematiche che pone, all’interno della città, un edificio come quello di Corviale.

Un giornalista, sempre molto attento e consapevole dell’importanza dell’architettura all’interno dello sviluppo e della crescita delle città, in quanto direttamente legata alla qualità della nostra vita, che intervistava Vittorio Gregotti, uno dei più importanti architetti italiani.

C’era anche un motivo che rendeva particolare quell’intervista, perché la “Gregotti Associati”, fondata nel 1974, con lavori in Italia e nel mondo, si apprestava a chiudere.

Il motivo non era solo anagrafico, per i 90 anni di Vittorio Gregotti, ma anche perché:

” L’architettura non interessa più a nessuno”.

Come disse il Maestro, persino sorridendo, nel salotto della sua casa milanese, per nascondere la cocente delusione e ponendosi una evidente e tormentata domanda:

 “Ma cosa sta succedendo nel nostro mondo?”
Una società immobiliare decide se, con i soldi dell’Arabia Saudita, investire a Berlino,
a Shanghai o a Milano, a seconda delle convenienze.
Stabilisce il costo economico, compie un’analisi di mercato, fissa le destinazioni. 
E alla fine arriva l’architetto, a volte “à la mode”, al quale si chiede di confezionare
l’immagine”. E a chi insisteva che il nostro futuro sarebbe stato la tecnologia, si
contrapponeva la dialettica con il passato, con i luoghi in cui si realizzava un’architettura.  Ciò che preesisteva non andava ignorato, anche nel caso in cui il nuovo fosse un’eccezione. Ma oramai anche  “il postmodern” è un’ideologia tramontata, che ha avuto però effetti significativi. Si è interpretato in modo ingenuo il rapporto con la storia, non ponendosi nei suoi confronti in termini dialettici, ma adottandone lo stile.  
E l’involucro è stato considerato indipendente dalla funzione di un edificio.

«Guardi ! Questo è il Centro di ricerca progettato a Las Vegas da Frank Gehry

Gehry è un mio amico, ma ha superato ogni limite nel rapporto fra contenuto e contenitore.
«Il suo fine è la trovata, la calligrafia, senza rapporto con la funzione.

Queste sono architetture popolari, d’altronde se non fossero popolari non potrebbero esistere. Contengono un messaggio pubblicitario.

Anche nel Seicento le facciate barocche delle chiese lo contenevano, ma si riferiva ad un universo spirituale.  Qui è la moda a dettare le prescrizioni».

– Ma le viene rinfacciato il quartiere Zen a Palermo: c’è chi ne invoca la demolizione.

 «Lo Zen avrebbe dovuto essere diverso da quel che è stato, una parte di città e non una periferia. Palermo ha il centro storico, le espansioni otto-novecentesche e poi doveva esserci lo Zen, con residenze, zone commerciali, teatri, impianti sportivi. 

Doveva possedere un’autonomia di vita che non si è realizzata». «Io non sono per demolire lo Zen o Corviale. Sono per demolire il concetto di periferia, non basta il rammendo.

– Ci siamo illusi in quegli anni di poterlo realizzare?

È vero, ci siamo illusi di costruire quartieri mescolati socialmente, dotati delle attrezzature che ne facevano, appunto, parti di città e non luoghi ai margini.

Rispondevamo a un’emergenza abitativa.

Ma se noi ci siamo illusi, quello che contemporaneamente si costruiva o quello che è venuto dopo cos’è stato se non la coincidenza fra interessi speculativi e l’annullamento di ogni ideale progettuale?

Corviale ha un’idea, che andava realizzata. Non è solo un tema d’architettura».

– Le piace la Nuvola di Fuksas?

«Assolutamente no».

– Come guarda ai futuri architetti?

«Mi preoccupa il loro disorientamento.

Vengono spinti a coltivare una pura professionalità, a saper corrispondere alle esigenze del committente, oppure ad avere una formazione figurativa stravagante e capace di essere attraente.  È pericoloso l’abbandono del disegno a mano.

Con il computer si è precisi, è vero, ma non si arriva all’essenza delle cose.

I materiali dell’architettura non sono solo il cemento o il vetro.

Sono anche i bisogni, le speranze e la conoscenza storica».

 

Vittorio Gregotti purtroppo ci ha lasciato nel 2020.

Dall’ intervista di  Francesco Erbani a Vittorio Gregotti nel mese di Luglio del 2017.

 


Immagine di copertina: Vittorio Gregotti (Photo by Leonardo Cendamo/Getty Images)