Viaggiavo, sulla via del ritorno. Ero su un viadotto, dalle casse dello stereo pompava forte un pezzo dei Pearl Jam, facendo vibrare i pannelli negli sportelli.
Ha squillato il telefono, era il mio capo. Ho rallentato, mentre lui parlava guardavo a sinistra il mare che scorreva sotto al viadotto.
Quello ha parlato da solo per cinque minuti buoni, ogni tanto dicevo sì o no tanto per far capire che ero vivo e non avevo interrotto la chiamata.
Poi ho visto lo svincolo, ho rallentato e messo la freccia per uscire, seguendo le curve fino al bivio al mare.
Sono passato nel sottopasso ferroviario, le piogge delle settimane precedenti lo avevano trasformato in un laghetto e un torrentello scorreva fino alla spiaggia.
Ho seguito il lungomare per un po’, poi ho chiuso la telefonata con il capo “sto entrando in galleria, ti chiamo dopo”, quello ha risposto ok, io ho pensato fanculo.
Ho parcheggiato, sono sceso dall’auto e mi sono fatto bagnare dal sole; era velato, un sole adolescente di aprile, ho buttato la giacca sul sedile e ho cominciato a camminare sul marciapiedi che era ancora invaso dalla sabbia delle mareggiate invernali.
Scrutavo il mare, le piccole onde che si spiaggiavano delicatamente con un timido rumore di risacca, un paio di gabbiani inventavano coreografie volanti, tutto sembrava quasi perfetto.
Poi è arrivata una macchina, una di quelle dune-buggy che si noleggiano nelle località turistiche, ne sono scesi due ragazzi e tre ragazze, avranno avuto venti, venticinque anni.
Pallidi, di quel colore lattescente che hanno gli anglosassoni, con capelli lunghi e arruffati: si capiva che si erano appena svegliati, e che il loro unico pensiero era rivolto alla sabbia, al mare, al sole siciliano.
Ho pensato che quel biancore sarebbe diventato presto rosso ustione, ma mi hanno prevenuto cominciando a spalmarsi reciprocamente una crema svizzera col barattolo rosso, si raccontava che la usassero per salvaguardare i capezzoli delle vacche da latte.
Forse era una minchiata partorita dalla mente deviata del creativo di turno.
Mi sono seduto sul muretto dal lato del mare, con le gambe a penzolare nel vuoto, senza particolari pensieri.
Le ragazze si sono tolte il pezzo di sopra del bikini, e ridendo hanno continuato a imbiancarsi con la protezione solare lanciando gridolini e sospiri , e i seni sono diventati più bianchi di quanto non fossero naturalmente.
Guardandomi sul muretto mi sono detto “sembri il solito guardone anziano” e stavo per andarmene.
Nel frattempo è arrivato uno scooter, il tizio che lo guidava si è tolto il casco e si è seduto vicino, aveva la barba incolta e un aspetto trasandato.
Intanto io cominciavo a sentirmi a disagio, i ragazzi in spiaggia pareva si divertissero a trasgredire, sapendo di essere osservati.
Il tizio stazzonato che si era seduto accanto a me ha detto “sono pieni di vita”.
Mi sono detto, il solito pappagallo di paese che conosce quattro parole d’ inglese e ora tenterà di portarsi in giro qualche ragazza da far vedere agli amici.
L’ho guardato con uno sguardo neutro, ma sentivo crescere dentro una specie di rimprovero da somministrare.
Invece lo scooterista ha continuato “mia moglie ha un tumore, il dottore ha detto che ha tre mesi di vita”.
Ho di nuovo girato lo sguardo verso i ragazzi che ora si erano distesi a bersi il debole sole di aprile, poi mi sono alzato e sono tornato verso la macchina.
Ho premuto il pulsante di messa in moto, l’abitacolo si è subito riempito della pressione sonora dei Pearl Jam.
Palermo 5 aprile 2018.
Si fa presto a dire Bio!
Sono nato a Palermo nel 1960, i miei mi hanno portato subito a mare e il mare è rimasto il mio elemento ideale. Studiai senza troppo entusiasmo “è intelligente, potrebbe fare di più ma non si applica” era il mantra dei miei insegnanti: mia madre, insegnante pure lei, rosicava da morire perché avevo imparato a leggere a tre anni seguendo Alberto Manzi in tv, e sapeva che le cose le sapevo, ma non lo dimostravo. Al liceo – e questo doveva farmi presagire il mio futuro – facevo i temi a tutti, o quasi tutti, ovviamente copiando il loro stile e stando bene attento che spuntassero un voto inferiore al mio. Maturità classica traumatica, laurea in farmacia con la velocità di speedy gonzales: avevo la Voigtlander di mio padre ma poi confrontandomi con gli altri studenti acquistammo le prime reflex elettroniche. Io comprai una Yashica FR1, che ho usato fino a poco prima del matrimonio. Per una decina d’anni ho fotogafato e filmato le tappe auxologiche dei miei figli, poi siccome ero stressato e a causa del lavoro di allora passavo tanto tempo a casa davanti al pc, ho cominciato a scrivere racconti. Ho ripreso a fotografare seriamente un giorno che, dopo avere regalato a mio figlio una pesantissima Nikon digitale, fui folgorato dalle Panasonic Micro 4/3: è ancora il mio sistema, e non lo cambierei perché è trasportabile, compatto, mangia poca batteria e mi fa fare belle foto. Sono uno che si concentra sull’inquadratura e non sulla tecnica, e la stessa cosa potrei dire della mia scrittura. Il racconto breve (non avrò mai la pazienza e la costanza di scrivere un romanzo) è una forma narrativa nella quale mi trovo a mio agio, Todo Mundo II è la mia ultima opera, non so se ultima ultima o no. Vivo a Palermo “vado in giro, vedo gente, faccio cose” nel campo delle biotecnologie e malattie genetiche rare. https://www.amazon.it/Sicilia-Ediz-illustrata-Antonio-Musotto/dp/8899003297