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Distopia in atto. La farmacia ha esaurito le mascherine. Rimedio con un travestimento stile L’ Uomo invisibile di H. G. Wells: sciarpa che copre naso e bocca, occhiali da sole, guanti; manca il cappello. In tasca l’autocertificazione con le seguenti motivazioni: passeggiata cane, rifornire il frigo. Al rientro lavo le mani come per entrare il sala operatoria. Andrà tutto bene.
Fine della trasmissione del 12 marzo 2020.

Stato di emergenza, quarantena, misure restrittive, isolamento, terapia intensiva, dispositivi di protezione, pandemia; segue un repertorio terminologico che non riporto per intero. Queste sono alcune delle voci del lessico della paura che ci accompagna nei giorni del corona virus.

Un vocabolario consultato senza risparmio, una fruizione immersiva alla quale non ci si può sottrarre, data l’eccezionalità dell’avvenimento: la pandemia.
La nostra conoscenza del mondo si era fermata alle epidemie geograficamente circoscritte,  ma la pandemia no, non ci eravamo ancora arrivati al giorno d’oggi e ci ha colti di sorpresa, attoniti, disturbati da un evento planetario che ha stravolto la nostra esistenza fatta di interconnessione ossessiva, accelerazione del tempo voluta dalla  consumazione rapida, frequente e incontrastata di ogni possibile godimento.
Tutto e subito, senza pause tra un’attività e la formulazione di un desiderio cui deve far seguito un febbrile appagamento.

Covid-19, bastardo micorganismo che ha infettato  l’organismo di migliaia di persone  e influenzato  la vita delle popolazioni, il tempo che gli serviva per evolversi nel passaggio dall’animale all’uomo, se lo è preso tutto.
Quanto tempo avrà impiegato per attuare il salto di specie? Di sicuro molto più di quello che impieghiamo noi per decidere se acquistare un oggetto online, guardare una serie TV in streaming, incontrare gli amici della movida serale o troncare una relazione via Whatsapp.
Tutto facile, tutto a portata di mano, in una proliferazione maniacale di atti ripetuti, là dove anche l’amore acerbo si piega alla ricerca di qualcuno alla stregua di qualcosa che annulli il tempo di una riflessione, l’accettazione dell’alterità, la mancata corrispondenza di un ideale impossibile; nessuna  pausa tra un innamoramento e l’altro, nessun tempo che dilati l’attesa di un prossimo incontro.

Il tempo sincopato che siamo abituati a vivere è sostituito dal tempo rallentato della vita in un interno, casa nostra se siamo fortunati, l’ospedale se disgraziatamente abbiamo bisogno di cure.

Nella città in pausa dove tutti respiriamo la stessa aria, abbiamo ri-scoperto la vita meditativa del ritiro obbligato, confortata da quello che siamo capaci di fare una volta sottratti alle tentazioni che si trovano all’esterno, dedicandoci a letture, bricolage, cucito, maglia e uncinetto, pulizie straordinarie della casa, riordino degli archivi, cura delle piante, film in TV, esperimenti culinari mai tentati prima. Ci siamo adattati alla situazione riscoprendo il gusto del fare domestico, per alleggerire il peso di una situazione anomala che avremmo preferito vedere in un B movie piuttosto che nella realtà. Il privato è politico si diceva un tempo; in questo frangente è divenuto centrale nel tenere insieme una società compromessa da un elemento erroneamente considerato alieno, di fatto fortemente destabilizzante.

Da buoni improvvisatori e capaci di ammirevole dedizione nell’emergenza, con patriottico richiamo ci siamo organizzati una vita nelle retrovie dello schieramento umano, molto più esposto, dei medici e del personale ospedaliero incaricati di affrontare un patogeno sconosciuto con gli strumenti della scienza, con risorse alterne secondo la regione di appartenenza e tanta abnegazione.

Noi dal balcone di casa abbiamo applaudito il loro sforzo tenace, inviato messaggi di incoraggiamento e ammirazione, fatto del nostro meglio per contribuire ad arginare il contagio restando a casa.

Nel quartiere milanese di Nolo, Federica P. ha cucito mascherine di ottima fattura per chi non le ha trovate in farmacia. Anche un piccolo gesto si è rivelato una risorsa preziosa. Un gesto  riconducibile al concetto di  mateship, sentirsi parte di un vissuto comune.

Alcuni hanno beneficiato del lavoro agile, ma non tutti hanno avuto la stessa possibilità non potendo interrompere la catena produttiva dei servizi essenziali; abbiamo seguito con apprensione la loro esposizione al rischio.

Uno scenario inesplorato quello della vita al tempo del corona virus; molti si sono domandati: “e dopo ?” Cambierà qualcosa nei nostri comportamenti? Vorranno i governi rendersi finalmente conto che sfidare la natura porta guai e che la stessa non si piega alla nostra volontà di umanità incosciente e capricciosa? Non vorrei eccedere nell’elencare altre angosciose domande.
Leggo in un documento dal titolo “Nessuno resti indietro, redatto da un gruppo di consulenti manageriali:

…Si tratterebbe di promuovere da parte del Governo un progetto/campagna per sensibilizzare e condividere la necessità/opportunità di un cambio di paradigma nei comportamenti individuali e collettivi promuovendo un salto culturale che porti a comportamenti attenti al bene comune anziché a “essere furbi”.

Forse abbiamo avuto l’occasione di capire chi siamo o chi vogliamo diventare, in un futuro post-pandemico di maggiore consapevolezza e rimozione della visione alterata di un mondo fatto di confini considerati stabili, ora  divenuti immateriali, e penso alla vanità del tutto.


Tutte le immagini contenute in questo articolo sono state prese dai link segnalati e/o dal web per puro scopo divulgativo, tutte le altre sono soggette a copyright. Foto copertina ©Chiara Beretta