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Cosa ci fa un musicista come Duke Ellington nel mezzo di uno studio televisivo arredato di moduli lunari ed immagini di razzi spaziali? 

È il 20 luglio del 1969 e Neil Armstrong e Buzz Aldrin entrano nella storia mettendo piede sul suolo lunare. L’evento è elettrizzante e tiene il pubblico incollato alla TV, consapevole di assistere a qualcosa di unico nella storia. L’emittente televisiva ABC (American Broadcasting Network) quella sera fa uno speciale sulla missione Apollo 11 e, tra gli ospiti in studio, viene invitato Duke Ellington al quale viene commissionato un lavoro musicale per l’occasione. Accompagnato da Paul Kondziela al contrabbasso e Rufus Jones alla batteria (all’epoca nelle fila della sua orchestra) e dalla chitarra di Al Chernet, troviamo un Ellington nell’insolita veste di narratore e cantante. Il brano che presenta è Moon Maiden, dal testo molto raffinato e sottile.

Andando a spulciare nell’immensa produzione ellingtoniana, si può individuare almeno una decina di titoli aventi come tema la luna o lo spazio. È evidente, dunque, che, come ogni sognatore e come tanti artisti, Ellington abbia trovato nell’immagine e nella simbologia lunare una fonte di ispirazione.

Torniamo così indietro di 27 anni, con un brano sognante e d’atmosfera dal titolo Moon Mist, composto nel 1942 non da Duke Ellington, ma dal figlio Mercer Ellington per l’orchestra del padre. A proposito di questo brano, l’autore disse: “[mio padre] non ci mise una nota, ma cancellò ciò che non era di buon gusto. Moon Mist fu un brano che scrisse quasi per esclusione!” È interessante notare che prima di giungere a questo titolo, il brano fu inizialmente intitolato Mist on the Moon (foschia sulla luna) e successivamente Moon Mist con il sottotitolo Atmosphere.

Come accaduto con suo figlio Mercer, Duke Ellington si avvalse spesso della collaborazione dei musicisti del suo entourage come il portoricano Juan Tizol (famoso per essere l’autore di Caravan), il quale compose per l’orchestra del Duca un brano dalle tinte latine come Moon Over Cuba, o il clarinettista Jimmy Hamilton che compose la meno nota, ma altrettanto sognante Moonstone.

Rimaniamo in questa epoca, ma cambiamo atmosfera e ritmo. Questa volta siamo nel 1958, anno in cui Duke Ellington pubblica, sotto la casa discografica Columbia, un album alquanto insolito, sia per la formazione, sia per la musica. Non si tratta infatti della consueta orchestra, ma di una formazione ridotta che vede, oltre alla ritmica piano-batteria-contrabbasso, tre dei solisti dell’orchestra più avvezzi con il linguaggio jazzistico più moderno, quello di matrice bebop: Paul Gonsalves al sax tenore, Jimmy Hamilton al clarinetto e Clark Terry al flicorno, i quali vengono sorretti da un coro di tre tromboni. Tale formazione, chiamata per l’occasione Duke Ellington’s Spacemen, darà luogo all’album The Cosmic Scene, sulle cui note di copertina si legge “sul perché questi nove [musicisti] debbano essere chiamati “Spacemen”, gli storici del jazz avranno da inventarsi le loro proprie ragioni. Duke ha utilizzato questa parola appena il primo satellite americano è andato in orbita e, forse, con l’idea di offrire il jazz sui viaggi verso la luna, si sta semplicemente esercitando sulle dimensioni della band che potrà entrare in un veicolo spaziale. Escluso lui, ovviamente. Duke Ellington, a meno che le sue abitudine cambieranno, andrà sulla luna in treno!”.  Il produttore discografico Irving Townsend, che scrisse queste parole, fa riferimento alla fobia di Ellington per gli aerei, con cui, suo malgrado, dovette convivere viste le numerose tournées intercontinentali.

Ed ora torniamo da dove eravamo partiti, ovvero allo sbarco dell’uomo sulla luna. Come accennato già all’inizio, ad Ellington fu commissionato un brano per celebrare l’impresa. Deve aver avuto particolarmente a cuore questo compito, visto che lo troviamo non solo come compositore e pianista, ma anche come narratore-cantante (se così si può dire) ed autore del testo. Testo che, ad un’attenta analisi, si scopre essere molto più intrigante e sottile di quanto ci si aspetterebbe. Innanzi tutto il titolo Moon Maiden. Il termine maiden può avere due accezioni: come sostantivo significa fanciulla, mentre come aggettivo indica qualcosa di inaugurale (ad es. la frase This is my maiden speech significa Questo è il mio primo discorso/discorso inaugurale). Quindi potremmo tradurre Moon Maiden sia come candida luna che, prendendoci qualche libertà interpretativa, come vergine luna. Dato che l’ispirazione del poemetto è il primo sbarco dell’Uomo sulla Luna, entrambe le accezioni hanno senso! Se dal titolo questa doppia chiave di lettura può sembrare un po’ forzata, analizzando tutto il poemetto, ci accorgiamo che il parallelismo tra la conquista della luna ed il corteggiamento di una ragazza è la chiave di lettura. Vale la pena dunque andare avanti nel tentativo di tradurre questo testo tanto breve quanto denso. Leggiamo i primi due versi cercando di rendere poeticamente accettabile la traduzione in italiano:

Moon Maiden, way out there in the blue
Moon Maiden, got to get with you

Potremmo tradurli con:

Candida Luna, là fuori nel blu
Vergine Luna, devo entrare nella tua orbita

I successivi versi recitano:

I’ve made my approach and then revolved
But my big problem is still unresolved.

Che potremmo tradurre come:

Mi sono fatto avanti e ti ho girato un po’ attorno
Ma il mio grande problema è rimasto irrisolto

Moon Maiden, listen here, my dear.
Your vibrations are coming in loud and clear
Cause I’m just a fly-by-night guy

Vergine Luna, ascoltami, mia cara.
Le tue vibrazioni arrivano forte e chiaro
Poiché sono solo un farfallone notturno.

Fly-by-night infatti è un’espressione popolare che sta per “inaffidabile” ma qui è anche perfetta nel senso letterale del volo e della notte! È così che farfallone è frivolo e civettuolo, ma allo stesso tempo vola.

I versi finali recitano:

But for you I might be quite the right “do right” guy
Moon Maiden, Moon Maiden, Lady de Luna

Qui the right “do right” guy sta per ragazzo giusto al momento giusto che è un’allusione alla “prima volta” giusta, quella da ricordare!

Ricapitolando, potremmo tradurre in italiano questo poemetto così, nel tentativo di rendere il più possibile il linguaggio poetico:

Candida Luna, là fuori nel blu
Vergine Luna, devo entrare nella tua orbita.
Mi sono fatto avanti e ti ho girato un po’ attorno
Ma il mio grande problema è rimasto irrisolto
Vergine Luna, ascoltami, mia cara.
Le tue vibrazioni arrivano forte e chiaro
Poiché sono solo un farfallone notturno.
Ma per te potrei essere proprio il ragazzo giusto al momento giusto
Candida Luna, Vergine Luna, Lady de Luna

Ma è ora di riascoltare questa deliziosa miniatura, ma questa volta nella versione in studio di registrazione che differisce sensibilmente da quella nello studio televisivo, innanzitutto perché qui è Ellington solo che suona senza altri musicisti ad accompagnarlo. Questa volta, però, non è alla tastiera del pianoforte che accompagna la sua narrazione, ma a quella di una celesta, che conferisce al poema un’atmosfera molto più eterea.
Ed ora non rimane che alzare gli occhi al cielo e farci cullare dalla voce calda e suadente di Ellington.