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Era il gennaio del 2009 quando in Italia usciva Il suggeritore, opera prima di Donato Carrisi, specializzato in “criminologia” e “scienze del comportamento”, destinata a ridisegnare gli elementi fondanti del genere letterario comunemente indicato come “ thriller psicologico”, genere che fino ad allora aveva avuto i propri maestri indiscussi negli Stati Uniti, capaci, per anni, di tenerci incollati alle loro pagine. Il suggeritore, per chi scrive, ha ottenuto il medesimo effetto nel mondo del “Crime” di quello che “Nevermind” ha avuto nella scena musicale alternativa dei primi anni Novanta. Romanzo seminale, rivoluzionario, scardinava le regole di schemi che sembravano granitici, regalandoci quel passo in avanti di cui il genere necessitava per non rimanere troppo uguale a se stesso.

Dinanzi a un tale successo, proseguito senza soluzione di continuità con i libri successivi (Il tribunale delle anime, L’ipotesi del male, Il cacciatore del buio, La ragazza nella nebbia, Il maestro delle ombre, L’uomo del labirinto, Il gioco del suggeritore), la sfida che attendeva l’autore era titanica: innalzare ancora una volta l’asticella e regalare un’avventura capace di entrare nel cuore e nella psiche del lettore.

Donato Carrisi fa ancora una volta centro grazie alla sua ultima fatica, La casa delle voci. Sparigliando nuovamente le carte, non ci fa incontrare assassini psicopatici, poliziotte non risolte, lati oscuri di impeccabili professionisti; qui i protagonisti sono persone comuni, con percorsi professionali delineati, vite apparentemente tranquille, sconvolte dall’arrivo di una telefonata dall’Australia. Il protagonista assoluto del libro non è più il male, ma il disagio psichico e psichiatrico, le storture dei manicomi, le conseguenze sottovalutate di una legge rivoluzionaria e necessaria (La legge Basaglia), che, se da una parte ha liberato dall’oblìo un esercito di dimenticati, dall’altra ha messo il nostro Paese di fronte alle sue ataviche mancanze, pagate, a caro prezzo, da quelle stesse persone che volevamo liberare.

Sia chiaro però, La casa delle voci non è un saggio, è,  e rimane, un  thriller psicologico entusiasmante dove l’autore spinge la paura e l’ansia un gradino più in alto di dove si era spinto fino ad oggi ed i suoi personaggi, già dalle prime righe, sono destinati ad entrare nella nostra memoria e restarvi per tantissimo tempo grazie ad uno stile asciutto, ad un ritmo incalzante, ad una trama che attraversa vent’anni e ad un andirivieni sorprendente che regala al lettore un’onda emozionale tale che lo induce a sperare di non chiudere il libro. Secondo chi scrive, un libro è valido quando chi lo legge vorrebbe non finisse mai, una dicotomia tra la voglia di “sapere come va a finire” e la speranza, neanche tanto nascosta, che le pagine non si esauriscano: un nuovo tassello nella trama è, allo stesso tempo, una conquista e un timore. La casa delle voci è, per gli amanti del genere,  un’ulteriore conferma che il “thriller psicologico” abbia trovato la sua nuova casa in Italia e che Donato Carrisi, di questa nuova casa, abbia costruito le fondamenta.