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Vi ricordate quando da bambini si giocava a cosa vorresti essere da grande? Ecco io da grande avrei voluto essere – anche – Luis Sepúlveda. Poche le persone che mantengono un cuore puro e capace di scrivere parlando ai bambini come se fossero adulti, agli adulti come se fossero bambini; chi non vorrebbe avere un’anima così duttile e incline al sorriso? Quella che scaturisce dalla consapevolezza che ognuno di noi ha un verso per essere accarezzato. Sudamericano anzi cileno, che è come dire italiana anzi romana; ci sono luoghi così forti, così connotati che appartieni a essi anche per pochi centimetri al giorno, anche quando vai via perché diventano poco accoglienti, anche in esilio. Perché arrivano personaggi come Pinochet e se ne vanno personaggi come Allende, e ti torturano, ti mettono in carcere e non puoi più assistere allo scempio e neanche vuoi morire di dolore, perché la vita ti piace. Luis nasce che è già in viaggio, in una camera d’albergo, mentre suo padre fuggiva per motivi politici; del resto il nonno paterno con cui crescerà, è un anarchico andaluso che si rifugia in Sudamerica sempre per motivi politici. Mi viene da immaginare che respiri un’aria anarchica, stimolante, vicina al popolo di cui parlerà in tutti i suoi romanzi, anche tramite personaggi non umani. È pieno di gabbianelle che si sentono gatti, affrontando con immensa delicatezza il tema del corpo e dell’anima, quando si nasce in un corpo, ma non lo si riconosce. Quindi questa è la storia di un uomo che ha viaggiato tanto, di un comunista che non ha potuto fare a meno di esserlo, soprattutto con la sua scrittura colta, ma popolare. Questa è anche una storia d’amore, perché i lettori si innamorano eccome; aspettano di mandare avanti il segnalibro, di avere qualche minuto per vivere quella sensazione di relazione intima che ti dà leggere; leggendo tra le righe le proprie storie, per provare quelle emozioni che rimarranno fra te e quella pagina, te e quella frase. Esule politico, attivista per i diritti umani, ecologista, viaggiatore, guerrigliero, scrittore: un uomo libero che ha saputo interpretare la propria libertà. Ho letto il suo primo libro e il motivo per cui continuai a leggerlo con assiduità, è perché come tutte le storie vere, quelle in cui credi, i cattivi non sono mai del tutto cattivi, i buoni mai del tutto buoni; perché in ogni scelta c’è una percentuale di errore e lui questo lo raccontava. E quasi tutte le azioni hanno la loro ragione, individuale; che non sempre si può dividere tutto in giusto e sbagliato. La mia prima relazione con Luis fu “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”. Antonio José Bolívar Proaño, un uomo costretto a dare la caccia a una femmina di tigrillo che è perdutamente addolorata dall’uccisione dei suoi cuccioli e bisognosa di vendetta. Antonio alla fine riuscirà nell’impresa di uccidere il tigrillo, ma con viltà, con la doppietta e non è contento di sé, non si sente vincitore, ma un carnefice perché non ha combattuto ad armi pari. Esattamente come nel nostro mondo, uno non vale uno se l’altro ha una doppietta e tu no, quindi Bolívar tornerà nella sua capanna a leggere romanzi d’amore, romanzi che gli porta il dentista e selezionati da una prostituta. Financo i titoli dei suoi libri raccontano la contraddizione che ci manda avanti, penso a “Diario di un killer sentimentale” e come non pensare che in fondo anche la terra è nata da un’esplosione, allora un’esplosione è una cosa deprecabile? Un killer sentimentale è cattivo? Sepúlveda mi ha insegnato che “dipende” e questo rimarrà sempre la cosa che mi porterò dentro, per sempre. Luis Sepúlveda Calfucura nato a Ovalle in Cile il 4 ottobre del 1949, vissuto un po’ qua e un po’ là, fino a stabilirsi in Spagna dove muore oggi: 16 aprile 2020, ucciso da un virus infame, ma lui direbbe che un virus non sa di essere cattivo, fa quello per cui è nato.  Adiós amigo.”