Nel 2014, in un capitolo di Irriverenti e libere, scrivevo così:
“Primo pomeriggio. Ci dividiamo in gruppi di lavoro e fra i pochi uomini presenti c’è Tano D’Amico che saltella qua e là fra le colonne di un cortile, fotocamera ben stretta in mano a scattare istantanee, mentre con Lidia e Nicoletta discutiamo dell’ordine sentimentale della globalizzazione, ossia di come gli intrecci economici, culturali, politici e tecnologici influenzano la vita quotidiana delle persone, le loro relazioni e le loro emozioni.
Parliamo della paura, a partire dai nostri corpi e dal loro sentire, nonostante viviamo in un mondo apparentemente aperto e senza confini. Cosa c’entrano adesso i sentimenti con la globalizzazione? Qualcuna borbotta, poi il discorso si accende e i dubbi svaniscono. Siamo a Genova, a Palazzo San Giorgio, un mese prima che – nella stessa città e dopo tre giorni di forum, dibattiti, assemblee e manifestazioni pacifiche – si scatenasse l’orrore di una piazza repressa nel sangue. I sentimenti c’entravano, e sono stati travolti”.
Dopo questo incipit davo la parola a Laura Guidetti e Monica Lanfranco, alcune delle protagoniste di “Punto G: Genova genere e globalizzazione”, evento che si era svolto a Genova un mese prima esatto del G8, con oltre mille donne in rappresentanza di centoquaranta associazioni e movimenti femministi e femminili da tutto il mondo.
Oggi, nel 2021, i sentimenti che provo sono soprattutto di smarrimento e amarezza, con un groppo in gola che non va giù. A Genova nel 2001 ci sono stata due volte. A giugno a Punto G dove ho respirato un’aria di cambiamento, anche dentro le dinamiche delle relazioni fra donne, ci siamo riconosciute fra femminismi diversi ed eravamo forti di una visione sul futuro del mondo che arrivava da lontano.
Poi a luglio, come cronista in erba, i miei occhi hanno visto, fra l’altro, due scene agli antipodi: il calore e i colori della manifestazione dei migranti del giovedì e il sangue sotto ai termosifoni della Diaz e le prove, tutte, della mattanza avvenuta.
Il giorno prima, nel vedere la violenza cieca delle forze dell’ordine avevo cercato con lo sguardo un sampietrino, manco fossi a Roma, mi dicevo che forse avrei dovuto usarlo per difendermi, cosa mai fatta o pensata in vita mia, e continuavo a ripetermi che avevamo sbagliato a essere lì. Che eravamo cadute tutte e tutti nella trappola preparata con sapienza da tempo.
A Punto G avevamo visto giusto, avevamo ipotizzato di fare diversamente: spiazziamoli, avevamo detto, andiamo altrove con i nostri corpi, loro ci aspettano sotto la zona rossa? noi andiamo al mare e facciamo sentire al resto del mondo il nostro potente messaggio per una società non sessista, equa, sostenibile, solidale, pacifica e democratica.
Invece, chissà se nel 2021 si può finalmente dire, è prevalso il testosterone e la retorica maschilista, a vari livelli, di affrontare il conflitto, e anche il dissenso all’interno della società civile. Del resto a nessuno piaceva essere definito “no global” ma leader sì. E non ho ancora sentito i maschi leader di quei giorni dire: (forse) abbiamo sbagliato. E, attenzione, ammettere questo non toglie nulla alla violenta, inammissibile, atroce reazione dello Stato, ma significherebbe dare un senso ai sentimenti che hanno travolto la maggior parte delle persone, ma si sa che i sentimenti son roba da donne.
Ecco, oggi dopo 20 anni, l’amarezza torna su in ogni articolo che leggo, ogni podcast che sento, ogni video ricostruzione che vedo, dove c’è tutto di quelle tre giornate, la ricostruzione puntuale, come giusto che sia, di ogni minima violenza, ma nessuna/nessun collega, neanche le migliori, che abbiano immaginato, nelle loro ricostruzioni, di dover sentire anche il punto di vista delle donne, delle femministe. Ecco, di questo mi rammarico, perché significa che ancora si racconta la storia a metà, come se le donne non ci fossero, come se le loro pratiche politiche non contassero, come se le loro parole non valessero.
Immagine di copertina © Tano D’Amico
Barbara Bonomi Romagnoli, [http://www.barbararomagnoli.info/] è nata a Roma nel 1974, giornalista professionista dal 2004, apicoltrice [www.bioro.it] ed esperta di analisi sensoriale del miele; in attesa che l’Italia adegui la normativa sul cognome materno, ha deciso di usarli entrambi per la pubblicazione del suo primo libro “Irriverenti e libere. Femminismi nel nuovo millennio” (andato esaurito, si trova con stampa su richiesta o versione eBook) e di continuare a farlo ogni volta che è possibile, convinta che l’imposizione del solo cognome paterno sia un’altro modo di declinare il maschilismo delle nostre società. Nel frattempo ha scritto anche “Bee Happy. Storie di alveari, mieli e apiculture” [Derive Approdi, 2016].
Dal 2008 collabora con Iowa State University – College of Design, Rome Program e da maggio 2015 collabora con l’Osservatorio AiDS – Aids Diritti Salute, rete di 11 Ong italiane e internazionali impegnate nei temi della salute globale e nella lotta contro l’Aids e contro la povertà.
È laureata in filosofia con una tesi su “Louise du Neant: esperienza mistica e linguaggio del corpo”, da allora si interessa di studi di genere e femminismi, ha partecipato a seminari, incontri, workshop e convegni sulla storia e i movimenti politici delle donne in Italia e all’estero; fra le occasioni più recenti, è intervenuta al convegno internazionale “BASTA! Patterns of Protest in Modern Italy: History, Agents and Representation” promosso da Asmi – Association for the Study of Modern Italy presso University of London. Dal 2009 al 2012 ha collaborato con Editori Laterza. Dal 1999 al 2004 ha lavorato presso la rivista Carta; ha collaborato come freelance con varie testate [fra cui F, LetterateMagazine, Glamour, Giulia.Globalist.it, Marea e in passato con BCC Magazine, Liberazione, Peacereporter, Amisnet, Carta, Aprile, Nigrizia, Left, La nuova ecologia, Confronti, Cem mondialità, Noi donne, La27esima ora/Corriere della Sera ]; fra il 2002 e il 2005 è stata coordinatrice del progetto Radio Carta [magazine radiofonico settimanale distribuito a circa 25 radio su territorio nazionale] ed è stata docente per corsi di formazione, fra cui “Indipendent Radio and Media” presso Novi Sad (Serbia) nell’ambito del progetto Radio Radionica, promosso da Cie e Radio Popolare Network.
Ha lavorato come ufficio stampa per convegni ed eventi culturali (fra cui Eurovisioni 2007 e 2008, Parole per cambiare, parole per piacere – Fiera della piccola editoria, 2005) e presso Dipartimento Diritti e Pari Opportunità, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (2007-2008).
Ha vissuto due anni in Olanda a Leiden, dove ha imparato a convivere con il vento.
Ha fatto parte per diversi anni del collettivo A/matrix con cui ha condiviso la passione per la politica, il femminismo e la buona tavola. È socia Sil – Società delle letterate, ha fatto parte del Direttivo 2016/2017, e partecipa alle attività di Giulia – Rete nazionale delle giornaliste unite libere autonome.