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Quattro.

 

Arrivò presto il giorno nel quale Annie e i gemelli vennero dimessi dall’ospedale. Rocco venne con la macchina e caricò a bordo la famigliola, improvvisamente amplificata, i kit di prodotti per la cura dei neonati offerti dalle aziende che sponsorizzavano il reparto di Ostetricia, il borsone con i cambi di Annie e i regali che alcuni amici avevano frettolosamente portato in Ospedale.

Alcuni altri tra gli amici della coppia si erano spinti poco oltre la tradizionale riservatezza anglosassone e avevano promesso visite a casa, Linda aveva tenuto una piccola agenda rossa a portata di mano, nella quale aveva appuntato le date delle visite, qualche numero di telefono, e altre cose che sarebbe stato importante ricordare come le date dei controlli ai neonati, gli orari delle poppate, la dose del latte artificiale nel caso in cui quello materno non fosse stato sufficiente per due bambini.

Ci vuole metodo, si era detta Linda subito dopo il parto di Annie, e aveva cominciato a segnare numeri e nomi sull’agenda rossa con una matitina tascabile.

Rocco finì di caricare la macchina, mise in moto e si avviò in direzione di casa, Linda salutò una infermiera che li aveva aiutati nel trasbordo, si inginocchiò per stringere bene le stringhe delle scarpe da corsa giallo fluorescente, indossò gli auricolari e fece partire la compilation che aveva preparato per quel giorno.

L’ospedale ti ruba una vita ma te ne consegna due, pensò Linda non appena la berlina coreana di Rocco ebbe svoltato l’angolo.

La voce ipnotica di Lana del Rey le diede la spinta e Linda cominciò a correre verso casa.

 

Cinque.

 

Il secondo giorno dopo il ritorno a casa, Annie chiamò Linda “da domani vieni ad aiutarmi, per piacere. Mia madre fa solo confusione”.

Lo dicevo che ci vuole metodo, sussurrò Linda sorridendo mentre chiudeva la chiamata; scelse una insalata dal frigo, la condì con l’olio e  l’aceto balsamico italiani che le aveva regalato la madre di Rocco, provò ad immaginare cosa sarebbe avvenuto l’indomani.

Provò ad immaginare anche quali nomi sarebbero stati imposti ai gemelli, dato che nei giorni in Ospedale Annie e Rocco avevano avuto un acceso braistorming sull’argomento che si era concluso con un nulla di fatto: in effetti un primo accordo era stato stipulato, uno dei bambini avrebbe avuto nome italiano, l’altro inglese.

Era stato un accordo molto faticoso, che aveva lasciato qualche strascico, si percepivano offese ad antenati non pronunciate ma immaginate.

Linda capiva che quello poteva essere un serio banco di prova per la tenuta del matrimonio: mettere d’accordo e sincronizzare culture differenti poteva risultare complesso, si disse uscendo da casa la mattina dopo, prima di cominciare la corsa e prima di andare a casa di Annie e Rocco.

Durante i chilometri che percorse nel parco pensò prima di tutto al ritmo giusto da tenere, poi al regalo che avrebbe voluto comprare ai gemelli.

Uscì dal parco e iniziò a correre lungo la strada che lo costeggiava, fermandosi davanti alla vetrina del negozio di articoli per bambini e mamme in attesa.

La sua attenzione era stata attratta da una carrozzina gemellare che luccicava in vetrina, si trattava di un modello particolare: aveva ruote alte e sottili, un aspetto aerodinamico che la faceva somigliare ad una capsula spaziale, e per i bambini era previsto che i rispettivi gusci sarebbero stati posti uno di fronte all’altro, cosicché durante le passeggiate si potevano guardare.

Linda entrò nel negozio, scusandosi con le commesse per l’abbigliamento poco consono alla situazione, e chiese informazioni su quella carrozzella vista poco prima in vetrina.

“E’ un modello nuovo, studiato appositamente per le mamme che non vogliono smettere di correre…costruito in leghe leggere e plastiche aeronautiche, e con queste ruote molto scorrevoli e ad alta stabilità si può stare certi che-spingendo la carrozzina di corsa-non ci saranno problemi”.

Linda ascoltò attentamente tutte le altre descrizioni che la commessa del negozio sciorinava con competenza – è appena tornata dal corso di formazione – si disse – ma pensò anche al costo, sicuramente spropositato, di questa carrozzella così speciale.

“E’ magnifica, assolutamente adatta ai miei scopi, ma quanto costa?” chiese timidamente Linda.

“Beh, Signora, abbiamo ritirato questo modello particolare per una coppia che aveva progettato di avere due gemelli tramite inseminazione artificiale, ne hanno anche pagato l’acconto, ma poi la coppia si è divisa e nessuno è venuto a reclamare la carrozzella. Con il permesso della direttrice del negozio sono autorizzata a vendergliela con uno sconto dell’ottanta per cento”.

Linda si era un po’ irritata per la poca delicatezza della commessa che le aveva raccontato i fatti privati di una coppia sfortunata, ma poi si era sentita quasi baciata da una inattesa fortuna quando aveva scoperto che con meno di cento sterline avrebbe avuto la possibilità di fare un regalo ai gemellini e a se stessa.

 

Sei.

 

Ogni mattina Linda si recava correndo a casa di Annie e Rocco, superava la barriera pneumatica della madre di Annie – che si era installata nella casa della coppia e non dava segno di volersene andare, arrogandosi il diritto di dare la prima poppata della mattina ai gemelli, che erano stati salomonicamente chiamati Andrea e Francesco, aiutava la nonna a vestire i bambini, li sistemava nella carrozzella da corsa – così era stata chiamata – e usciva con loro per un giro nel parco di circa sei chilometri.

Quando ritornava a casa con i gemelli, questi erano coloriti e con un robusto appetito, e si lasciavano imboccare senza fare troppe storie.

Il rito del pasto avveniva sotto la stretta sorveglianza della madre di Annie, sempre pronta a criticare la velocità o l’angolazione del cucchiaio con il quale Linda nutriva ora l’uno e ora l’altro, alla fine del pasto i bambini erano serenamente sazi, e si predisponevano al canonico ruttino sulla spalla di Linda, mentre la madre di Annie – che nel frattempo si era bevuta almeno un bicchiere di vino, si adagiava sul divano e iniziava a russare.

Quello era il momento nel quale Linda metteva a turno i gemellini sul fasciatoio, li osservava da vicino, li manipolava con tenerezza, si inebriava ascoltandone i versi gutturali e le risatine di soddisfazione.

“Non ho potuto avere un figlio mio, ma ne ho trovati due senza neanche la fatica della gravidanza” si diceva Linda quando metteva i bambini nelle cullette e aspettava che tornasse Annie a casa, che aveva ancora orario ridotto per via del recente parto.

Poi Annie apriva la porta di casa, e Linda sospendeva quel momento di intima familiarità con i gemelli, tornando ad essere quella baby-sitter semivolontaria che aveva ottenuto la fiducia di quella famiglia.

 

 

Sette.

 

Quella mattina presto, Rocco era partito in auto per un seminario in una università nel nord del paese, non era abbastanza distante da poter coprire la tratta con un volo aereo, e gli orari di treni e bus risultavano decisamente scomodi, soprattutto quelli di rientro: a Rocco piaceva dormire a casa “come a tutti gli italiani” diceva ridendo quando Annie lo invitava a restare a pernottare in un albergo,  laddove i lavori del seminario si fossero protratti fino a tardi.

Linda arrivò come sempre alle otto in punto, trafelata dalla corsa attraverso il parco per raggiungere la casa con i gemelli, non vide la station wagon di Rocco in giardino, e si ricordò della partenza per il seminario.

Aprì la porta, dentro casa una calma surreale: i bambini erano sicuramente ancora a letto, forse che Linda avesse deciso di prendere un giorno di ferie, per compensare l’assenza di Rocco?

Neanche la suocera era in giro, probabilmente avrà dimenticato di puntare la sveglia, argomentò Linda, ma le sue ipotesi vennero interrotte dalla vista di Annie stesa a terra, vicino al divano, ancora con la camicia da notte.

Passarono alcuni secondi, durante i quali, nella testa di Linda prese forma un puzzle di ipotesi che si ricomponeva lentamente, fluttuando come alghe in un mare buio.

Si avvicinò a Annie, le prese il polso, era debole ma almeno segnalava la sua presenza nel mondo dei vivi, si alzò di scatto, aprì la porta della camera di Rosa, la suocera di Annie: era seduta sul bordo del letto, ancora incredula per la mancata sveglia.

“Aiutami, presto!” le urlò Linda “ vieni di corsa in soggiorno e aiutami”.

Le due donne arrivarono al divano, ai piedi del quale Annie giaceva ancora esanime, Linda prese la carrozzella dei gemelli, abbassò gli schienali fino a formare un piano unico, con l’aiuto di Rose adagiò Annie su quella barella improvvisata.

“Tu pensa ai gemelli, falli mangiare” disse Linda a Rose che ora era completamente sveglia e paonazza per lo sforzo e lo stress mentale sostenuto.

Linda uscì sul cortile, spingendo la carrozzella “Linda ora corri, corri davvero” si disse ad alta voce imboccando la strada in direzione dell’ospedale.

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