image_pdfimage_print

Abituati a vederci e considerarci secondo il discutibile concetto di modernità, viviamo confusi e continuamente assoggettati a stereotipi che ci vogliono tenere ancorati alle ingannevoli offerte di un mondo artefatto negli stili di vita. Lo scopo perverso è l’invito nemmeno tanto nascosto a  comportarci da buoni consumatori.
Diversa e augurabile è l’attitudine del flâneur che, nel racconto di Lorenzo De Francesco, pedala  in bicicletta per la città, godendosi le buone cose ritrovate, anche se l’inevitabile cambiamento dovuto alle diverse opportunità e necessità di una città trasformata può averle modificate.
Lorenzo ironicamente si definisce Bicighellone, simpatico appellativo del bighellone perditempo, ma anche flâneur, per essere precisi, allo scopo di evidenziare l’aspetto qualificante dell’osservazione curiosa e riflessiva di colui che ritrova e rivive i luoghi della memoria, con l’affetto di chi è radicato nel proprio mondo, quindi non un vagare inconsapevole per le vie della città.
Il bicighellone prende mentalmente nota e confronta ma non valuta i fenomeni.
Questo è il primo racconto della serie Appunti del Bicighellone.

Rita Manganello


C’è una luce sottile, leggera che avvolge  monumenti e case stranamente puliti, in questo novembre che è ancora settembre. Le ruote della bici saltellano sui blocchi di selciato, sgusciano tra le rotaie, mentre gli occhi scrutano scorci interessanti da fermare, le orecchie indovinano l’avvicinarsi di motori minacciosi.

Che sensazione poter rivivere la città in questo modo vecchio eppure nuovo; centellinare luoghi percorsi nevroticamente migliaia di volte, di giorni, di urgenze.

Ho attraversato i Giardini: erano il mio povero premio, in alcune domeniche, venire qui allo Zoo, [1]  nutrire gli animali tristemente ingabbiati, farmi riprendere dalla 8mm Kodak del babbo, vestito a festa in pose fiere. Luoghi di emozione allora, insignificanti oggi; ma in dissolvenza quelle immagini scorrono ancora.

Mi fermo ad aspettare che il vecchio tram sbuchi dall’arco medievale di porta Nuova, mentre raggi di ultima luce fanno persino bello il  candido bassorilievo fascista del palazzo dell’Informazione. Più in là la conica cuspide di San Marco è affiancata in prospettiva dalla sagoma quasi mostruosa del Curvo di Citylife. [2]

Il Bicighellone, un bighellone in bici o più esoticamente un flâneur in velocipede, si compiace di vagare senza meta, rincorrendo la luce che scappa tra palazzi e vie più deserti del solito a causa di questa pandemia assassina che molti accolgono con indifferenza arrogante.

Un’umanità scarsa e mascherata percorre vie nitidamente vuote, file di taxi aspettano dei fantasmi.

La Scala tetramente chiusa, devitalizzata, sospesa a qualcosa, attende una nota ancora invisibile.

Le rotaie tracciano la strada, ma a volte macabri frammenti ciechi, annegati e troncati dall’asfalto mi ricordano linee estinte. Cicatrici di una guerra che annientò il trasporto pubblico elettrico, silenzioso ed ecologico per far spazio a fumosi autobus assordanti.

Corro ipnotizzato da queste rotaie, lucide di freddo riflesso, incurante dell’incessante martirio del selciato che trasforma la sella in una tortura sfiancante. Inevitabilmente l’atmosfera serale, la luce cadente e radente, l’aria più fresca, scatenano nella mia romantica mente musiche e ricordi, una sequela incessante che sempre si affaccia in queste occasioni, malinconico spartito che raccatta musiche amate che si accavallano per affacciarsi alla mente, un po’ tristi, un po’ gioiose, tutte legate a precisi momenti, a intense emozioni. Sotto gli occhi a volte passa uno scambio, con l’ago diritto o piegato, come nella vita il tuo simbolico tram prende una direzione o l’altra. A seconda del percorso il conducente fa scattare lo scambio, un rumore metallico inconfondibile, se sei vicino è stupore assordante improvviso.

Alla fine il vagare estingue il suo impulso, devi ritornare a casa, seguire la rotaia invisibile: la fantasia si spegne come quel riflesso di sole ormai stinto, il buio della sera avvolge i pensieri e i ricordi in un pacchetto quotidiano, accurato, sempre uguale. Quel tram allo scambio è andato da un’altra parte, ora il suo posteriore annega là in fondo, diventa invisibile, imprendibile, assorbito dalla prospettiva delle case in lontananza, mentre si avvicina al capolinea. Ogni fine è un nuovo inizio, fino all’ultima corsa verso il deposito.


[1] gli attuali giardini Montanelli in via Palestro a Milano.

[2] Il grattacielo  progetto Daniel Libeskind


Tutte le immagini contenute in questo articolo sono state prese dai link segnalati e/o dal web per puro scopo divulgativo, tutte le altre sono soggette a copyright © Lorenzo De Francesco