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Tempo di quarantena, tempo di reinventarci, tempo di condividere il più possibile, tempo di riscoprire cosa amiamo e cosa pensavamo fosse importante e che invece oggi ci appare superfluo, tempo in cui si scopre che tante cose non sono per niente scontate come ci sembravano fino a poche settimane fa.

È così che musicisti di ogni ordine e grado impiegano il loro tempo e la loro arte suonando il proprio strumento e, spesso, condividendo le proprie note attraverso i social o, meglio, dalla finestra del proprio appartamento, per consolare o far passare qualche minuto di svago agli abitanti dei palazzi limitrofi.

Musicisti di ogni ordine e grado. Chi prima strimpellava la chitarra in chiesa, chi cantava in un coro, chi si esibiva con la band del liceo in qualche pub, chi fino a pochi giorni prima si esibiva sul palco di un grande auditorium.

Ma quello che stiamo notando in questi giorni non sono solo esternazioni personali, scelte individuali; sta nascendo anche un interessante fenomeno globale che consiste nel condividere ciò che i musicisti sentono come un patrimonio condiviso e trasversale. Sì, perché ci sono canzoni, assoli, introduzioni di brani che hanno segnato la storia di alcuni generi musicali e che, a distanza di decenni, continuano a interessare ed appassionare generazioni di musicisti.

Succede così che il 21 marzo Todd Stoll, importante trombettista jazz americano, nonché Vice Presidente dell’Education Department del Jazz at Lincoln Center di New York, scrive un post lanciando quella che in gergo si chiama una challenge, ossia un appello-sfida. L’invito è quello di “postare un video di te che suoni l’iconica introduzione a West End Blues di Pops [Louis Armstrong] e taggare 10 amici”.

I post sono seguiti dall’hashtag #westendblueschallenge in modo che tutti possano trovare e vedere i video di coloro che stanno aderendo all’appello.  Non è più l’epoca della televisione, ma quella dei social network e il limite ma forse il bello di questo mezzo di comunicazione è il fatto che le cose bisogna cercarsele, bisogna volerle; non vengono trasmesse in modo univoco e c’è chi le recepisce più o meno passivamente e consapevolmente.

Sembra una cosa carina da fare. Subito rispondono vari trombettisti che postano la loro versione ritaggando altri colleghi. La cosa nel giro di poche ore diventa (è il caso di dirlo) virale. Ma non solo tra trombettisti e non solo negli Stati Uniti. Se un virus non conosce nazionalità né confini, la stessa cosa si può dire della musica.

Tra i primi in Italia a rilanciare la challenge è stato il trombettista Nicola Tariello che, come richiesto, ha postato la sua versione taggando altri dieci trombettisti e diffondendo la cosa in tutta la nazione.

Ma di cosa si tratta? West End Blues è un brano jazz composto da Joe ‘King’ Oliver ed inciso nel 1928 da Louis Armstrong con i suoi Hot Five. La sua introduzione alla tromba (o alla cornetta?) fu l’insieme di note più folgorante di tutta la prima metà del ‘900 nella musica popolare. Essa segnò all’epoca un gesto di rottura sorprendete, dato che combinava due idee – il break d’apertura […] e l’esteso chorus stoptime – in una cadenza a tempo libero.[1]  Fu una di quelle esternazioni piene di vitalità, genio e intuito che lasciarono di stucco qualunque musicista. Oggi forse alle nostre orecchie non pare così trasgressiva o audace, ma ciò è dovuto al fatto che abbiamo talmente interiorizzato (oserei dire geneticamente) quel modo di esprimersi che lo diamo per scontato. Ma, all’epoca, scontato non lo era affatto. Quelle poche note segnarono una svolta, cambiarono per sempre il corso della storia della musica e nulla poté più prescindere da esse. Schiere di trombettisti (ma non solo) per anni continuarono a risuonare quelle note sentite squillare dalla campana di un grammofono a 78 giri. Persino un sassofonista così moderno come Charlie Parker l’aveva studiata e di tanto in tanto la inseriva nei suoi assoli. [2]

Ma ora tralasciamo gli aspetti tecnici e quelli puramente storici. Ciò che è importante osservare, oggi, è come e perché poche note incise quasi un secolo fa stanno risuonando nelle case di mezzo mondo, durante una crisi globale senza precedenti, che vede le persone di qualsiasi grado sociale ed economico recluse in casa. Il fenomeno meriterebbe un’attenzione particolare non solo tra musicisti e musicologi ma anche tra sociologi. E il fenomeno è assolutamente trasversale: troviamo il ragazzino alle prime armi con la tromba come il super professionista con il sassofono. Già, perché si vedono musicisti con qualsiasi strumento condividere la loro versione di West End Blues: non solo trombettisti, ma anche sassofonisti, trombonisti, pianisti, violinisti, tubisti, clarinettisti, cornisti, strumenti modificati con l’elettronica e Dio solo sa quanti altri.

All’inizio di questo articolo parlavamo di un patrimonio condiviso. In una conversazione con il jazzista Giorgio Cuscito, ha detto:

«È come una call, un richiamo della foresta, un richiamo alla vita, non so cosa ha. Però è incredibile il rinnovato successo globale di questa cosa. Non solo, ma mi pare che sia trasversale: essendo scritto, lo suonano tutti: jazzisti e non.

Ci stiamo divertendo a farlo, ma non è soltanto un divertimento. Qui si è scelto questa cosa, non si sa perché, in questo momento. È fondamentale! Vuol dire che, in nome di una ricerca di un’unione in questo isolamento assurdo, per non sentirsi soli benché isolati, si è scelto un incipit di Louis Armstrong del 1928 e non tante altre introduzioni di altri brani come potrebbe essere quella di In The Mood. E invece no. E non so quale sia il motivo! È una cosa che andrebbe analizzata a livello musicologico in maniera molto attenta. Esce fuori che questo West End non lo conosce nessuno (a parte i trombettisti per via di Armstrong), ma ritorna ad essere quello che è: fondamentalmente il brano più importante della storia del jazz.

In tutto ciò credo che abbia anche a che fare la solarità di Armstrong, la sua personalità, il suo travalicare il fatto musicale in sé».

A me è venuta in mente una scena rimasta nella storia: alla caduta del muro di Berlino, nel 1989, fu suonata la IX di Beethoven da un’orchestra composta da musicisti provenienti da Est e da Ovest, diretti da Leonard Bernstein. Non so se sia il caso di paragonare i due episodi – sono epoche e situazioni differenti – ma nel piccolo grande mondo del jazz possiamo affermare senza ombra di dubbio che la West End Blues di Louis Armstrong è la nostra IX di Beethoven!

A questo punto ascoltiamo questa pietra miliare che ancora oggi anima tanti musicisti:

Si sta inoltre cercando di fare una playlist di tutti i video trovati in condivisione con questo hashtag. L’operazione è quasi impossibile dato il sempre crescente numero di video prodotti e condivisi, ma la playlist viene quotidianamente aggiornata!

Playlist dei video raccolti – [clicca sull’immagine]


Note

[1] Gunther Schuller, Il Jazz. Il periodo classico. EDT 1996.

[2] https://jazzontherecord.blogspot.com/2018/08/bird-quotes-satchmo.html