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Vancouver città dei murales, opere d’arte a cielo aperto, insieme a cavi elettrici confusi e pendenti, ti chiedi se fanno male alla salute mentre sotto ci passeggi.

Vancouver così grigia e colorata assieme, un concentrato di grattacieli che svettano – come Boston, Londra, Tapei – e piccole aiuole di fiori e piante officinali quando meno te lo aspetti, come le piccole arnie nella terrazza di un hotel, a pochi metri dagli ospiti che impavidi si tuffano in piscina.

Vancouver rilassata sul porticciolo che è mare ma non te ne accorgi, nell’insenatura che prima o poi sfocia nel Pacifico, così lontano e ad un tratto così vicino, come i mitili che giri lo sguardo e sono lì ad asserragliare i pali della banchina.

Vancouver, sullo sfondo le montagne innevate, in metropolitana un ragazzo in canottiera con gli sci sottobraccio, l’eco dell’esploratore nel nome e la scritta sul marciapiede a ricordarci che “colonialism does not spark joy/il colonialismo non provoca gioia”.

Vancouver, ritrovo per senza fissa dimora da tutto il Canada: il clima è mite e, forse, la città accogliente o semplicemente indifferente. Del resto l’Economist sostiene che sia la città più vivibile al mondo. Di sicuro scivola via leggera, come i suoi ciclisti nel sali scendi delle sue colline.


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