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A un certo punto, mancavano pochi chilometri al raccordo anulare, mentre la radio suonava i Creedence Clearwater Revival, ho visto che il traffico sull’autostrada era fermo.

Le automobili che prima mi avevano sorpassato ora erano con i lampeggianti di emergenza accesi, e qualcuno era pure sceso dall’auto.

Ho rallentato fino a fermarmi a un paio di metri dalle ultime auto, ho acceso anch’io le quattro frecce, e siccome nello specchietto non vedevo altre macchine sopravvenire, ho aperto lo sportello e sono sceso, andandomi ad appoggiare sul guard-rail della piazzola per la sosta di emergenza.

Che se arrivava il solito Nicky Lauda e mi tamponava, almeno ero in luogo sicuro, forse: certo che se invece ci piombava addosso una autocisterna carica di gas, ma ho scacciato il pensiero fastidioso, uno con la cravatta e la camicia macchiate di sugo si era avvicinato e mi aveva domandato cosa fosse successo, perché eravamo fermi.

“non lo so, ora ci informiamo”, gli ho risposto.

“andiamo” ha ribadito quello macchiato di sugo, curioso di scoprire la causa del campeggio di lamiera improvvisato sulla A1.

Ho fatto scattare la chiusura centralizzata della utilitaria, il cicalino ha fatto bip, e abbiamo risalito la corrente congelata di carrozzerie, qualcuno era rimasto in auto a sbraitare nel vivavoce, che i cazzi suoi si sentivano a chilometri di distanza, qualcun’altro leggeva il giornale, altri scorrevano le notifiche dei social network.

Più o meno una sessantina di esseri umani assortiti intrappolati in duecento metri di autostrada, poco prima dello svincolo per un autogrill.

“potevano entrare e parcare lì dentro” disse il mio accompagnatore occasionale, con un accento inequivocabilmente romagnolo “evidentemente non ci hanno pensato” ho ribadito senza troppa convinzione.

Poi abbiamo sentito bambini che piangevano, un uomo che chiamava “Birillo, Birillo” e quindi abbiamo notato una truccatissima che fumava seduta sul cofano del suv con la stella, e che imprecava “col cazzo che Birillo torna”.

Siccome lavoro nella comunicazione scientifica mi sono sentito in diritto di chiedere alla truccatissima cosa fosse successo “è scappato Birillo” ha sibilato quella, buttando il fumo di lato.

“Un bambino che scappa in autostrada?” ha allora ribadito il mio accompagnatore occasionale.

“ma no, si figuri” ha esalato quella che non si era mossa dal cofano, con la mano destra a reggere la sigaretta in posa plastica, polso piegato a novanta gradi “Birillo è il cane”.

Praticamente si erano fermati per fare pisciare il cane, una specie di meticcio multicolor che stava abbaiando nella scarpata, e quello si era fiondato fuori dall’auto lanciandosi verso l’autostrada, poi era stato scansato da un furgone e si era più prudentemente spostato verso la cunetta, dove il compagno di quella che fumava era sceso per cercare di riprendere Birillo e riportarlo ai bambini che piangevano.

Ma per fare questo aveva convinto un paio di camionisti a fermare il traffico, per evitare che gli ammazzassero il cane.

Nel frattempo uno con la faccia da politico aveva preso lo smartphone e aveva detto “ora chiamo la stradale e mettiamo fine a questo scandalo, qui c’è gente che deve andare a lavorare” anche se non era per niente credibile.

Il tizio con la cravatta sporca aveva attaccato bottone con la truccatissima chiedendole una sigaretta, e siccome io non fumo mi sono spostato di qualche metro, indeciso se tifare per Birillo, che fiutava tutti i cespugli e schizzava piscio random, o per il marito di quella seduta sul cofano del suv, che si era anche inzaccherato le stringate di fango, e un po’ chiamava il cane, un po’ bestemmiava in aramaico antico.

Ho cominciato a guardare anch’io le notifiche sui social, i miei amici elettronici sfigati mandavano messaggi prenatalizi, con immagini di santi, alberi di natale, pacchi dono e altra paccottiglia del genere. Nel frattempo pensavo a Sante, un amico virtuale, lontano cugino nella realtà, che passava almeno venticinque ore al giorno seduto davanti al PC, certificando la propria esistenza in vita a se stesso e ai suoi contatti con qualche selfie  qualche idiozia linkata in giro.

Che glielo volevo dire a Sante: “Sante,  poi ti accorgi che la tua vita sta andando a fondo, stringendo in un balletto mortale anche quella delle persone che ti stanno accanto. Ma non anneghi, no: è come se avessi le branchie oppure una dose inesauribile di ossigeno nei polmoni, e continui ad affondare, con l’acqua che diventa più scura ma a poco a poco, lentamente. E le bollicine intorno. E tu invece stai davanti al computer a fare cosa”

Ho smesso di pensare perché il cane era uscito dal fosso e si era avvicinato a me, forse ha capito che non odio i cani. L’ho arpionato dal collare e siccome era anche arrivato il suo autista, con le scarpe sporche e la camicia sudata, gliel’ho riconsegnato.

Quello aveva iniziato a spiegare il perché e il percome ma io avevo fretta e me ne sono andato.

Le persone che erano scese dalle auto si sono affrettate a risalire, in pochissimo tempo avevamo il motore acceso, io ho guardato sul sedile posteriore il regalo incartato, ho ingranato la prima e sono ripartito “stasera è Natale, questo regalo deve essere consegnato”

 


Foto copertina: © Antonio Musotto.