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Spesso, guardando al paese del Sol Levante, non possiamo fare a meno di riconoscere quanta originalità (e a volte stravaganza) ci sia in molte sfaccettature della cultura nipponica.

Manga, letteratura, riferimenti cinematografici più o meno palesi e facilmente individuabili, citazioni di divinità che ai nostri occhi paiono assurde ed anacronistiche.

Già, perché dovete sapere che il Giappone viene definito come “il Paese con otto milioni di divinità”, divinità che risiedono un po’ ovunque e che agli occhi di noi Occidentali appaiono ben poco divine.

Centinaia sono gli esempi che potrei fare per dimostrarvi quanto spesso, davanti ai miei occhi di appassionato (e vi garantisco che ora che ve ne parlerò vi accorgerete di quanto spesso sono passati anche davanti a voi!) , ho visto passare rimandi e citazioni a questa che è un’ altra particolarità della cultura nipponica, che spesso mi ha “costretto” ad andare a ricercare la genesi di questa o quella citazione.

Immagine tratta da medias.spotern.com

Non dimenticherò mai quando, durante la visione de “La principessa Mononoke”, del Maestro Hayao Miyazaki, vidi per la prima volta sullo schermo i divertentissimi kodama, rappresentazione degli spiriti della foresta. Ne rimasi così affascinato che, una volta tornato a casa, corsi a sfogliare un bellissimo libro illustrato, “L’enciclopedia dei mostri giapponesi” di Shigeru Mizuki, per saperne di più!! Da quel giorno, ogni volta che mi capita di cogliere quello che credo essere un rimando a qualche spirito o divinità, in qualche film o fumetto, corro a cercare conferme, e spesso le trovo con facilità!!

Vi ricordate Samara, l’inquietante bambina di “The ring”? E se vi dicessi che il suo aspetto è stato deciso citando i tratti distintivi degli “yurei” giapponesi? Non mi credete?!

Ok, andiamo con ordine, magari vi farò cambiare idea… 

La parola giapponese che viene usata, sopratutto nello shintoismo per indicare qualsiasi entità dotata di una particolare forza è kami. Ad esempio in quasi tutti i templi shintoisti si possono trovare un albero maestoso o una roccia dalle forme inusuali adornati con gli shimegawa, corde che delimitano la zona sacra in cui abita il kami. Possiamo ben dire che in Giappone, ogni cosa è un kami, viva e dotata di energia spirituale; gli uomini non sono i padroni incontrastati della Terra: la dividono con altre entità, con cui è necessario che mantengano rapporti di equilibrata convivenza.

In un Paese come il Giappone, tormentato da terremoti e dagli incendi, gli uomini hanno imparato a celebrare riti per chiedere scusa alla Terra, e a pacificare gli spiriti della stessa prima di gettare le fondamenta di una nuova costruzione. L’universo delle entità e delle creature mistiche (mutuate dalle filosofie buddista e shintoista) che popola l’immaginario collettivo nipponico è assai popolato e variopinto. Queste entità possono essere suddivise principalmente in quattro categorie: yokai, bakemono, oni e yurei.

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Sono definite yokai tutte quelle creature che vanno al di là della comprensione umana; creature inquietanti, apparizioni, che però non sono necessariamente malevole anzi, esistono yokai pacifici che scelgono di non interagire con la sfera umana.

Gli yokai sono mostri dotati di poteri straordinari, divini, generalmente con una fisionomia umanoide, anche se non è raro individuare yokai con fattezze di animali, o di oggetti, o addirittura dotati di forme astratte indescrivibili; spesso possiedono la dote di mutare il proprio aspetto a loro piacimento: in questo caso gli yokai prendono il nome di bakemono (obake, una forma più rispettosa per definire la stessa entità).

Il bakemono è qualcosa che ha cambiato il proprio stato, la propria natura; per i giapponesi è fondamentale mantenere l’ordine prestabilito delle cose e così vedono come una calamità ogni anomalia rispetto alla consuetudine. Credenza diffusa è quella secondo cui ogni animale che raggiunga una innaturale anzianità acquisti poteri magici sovrannaturali: quello di mutare la propria forma, appunto, e quello di ingannare gli uomini con visioni. Gli obake presentano alcuni tratti distintivi: un particolare colore della pelliccia, la dimensione eccezionale, e la presenza di più code (spesso nei gatti e nelle volpi).

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Esistono numerosissimi tipi di yokai; tra i più conosciuti troviamo i kappa, considerati divinità acquatiche minori, simili a tartarughe semi umane fornite di becco, nati anticamente per spaventare i bambini così che non si avvicinassero a luoghi vicini ad acque profonde, narrando che i kappa fossero in grado di trascinare chiunque a fondo verso morte certa.

Vengono chiamati tengu le creature umanoidi con il naso lungo, il volto cremisi e le ali da uccello; si narra che fossero oppositori sovrannaturali del buddismo, e che uccidessero i monaci afferrandoli con le zampe artigliate e lasciandoli cadere nel vuoto. Oggi possono essere considerati sia amici che nemici dell’uomo; nel primo caso sono protettori dei monti e delle foreste, mentre quelli malvagi si dice che siano il prodotto della reincarnazione delle anime di chi ha vissuto la propria vita con arroganza.

Tra gli yokai che hanno forma animale, troviamo i kitsune, bakemono dall’aspetto di volpe in grado di assumere l’aspetto di donne dalla bellezza stupefacente. In passato erano ritenute creature ingannatrici, mentre oggi sono ritenute creature sagge e formidabili guardiani.

Così come per ogni essere umano, le credenze shintoiste attribuiscono un’identità a tutti gli oggetti. Quando questi oggetti raggiungono il centesimo anno di età, si crede che questi oggetti acquisiscano un’anima, diventando vivi e coscienti; questi oggetti prendono il nome di tsukumogami, e il loro nome vuol dire proprio oggetto divino.

Gli oni sono ciò che più si avvicina alla concezione occidentale dei demoni: antropomorfi, grandi, muscolosi e dotati di corna. Le loro mani spesso hanno solo tre dita, artigliate, e hanno una bocca smisuratamente ampia e dotata di denti aguzzi; alcuni risiedono nell’Inferno buddista e tormentano i dannati nei modi più atroci. Le origini degli oni sono state a lungo dibattute da antropologi e studiosi delle religioni, da cui sono scaturite teorie differenti: sia che abbiano radici nella dottrina dello yin e dello yang, sia che si possano riconoscere nelle semidivinità infernali shintoiste, agli oni sono ascrivibili caratteristiche ben precise: antropofagia, potere di trasformarsi, la capacità di emettere luce e, nonostante sembri in completa antitesi con quanto detto fin ora, la capacità di portare fortuna.

Immagine tratta da oubliettemagazine.com

Anche se spesso vengono associati agli obake, si parla invece di  yurei quando si vogliono indicare gli spettri dei defunti incapaci, per qualche ragione, di raggiungere l’aldilà.

La classica rappresentazione degli  yurei giapponesi si presenta con lunghi capelli neri,scompigliati, una veste bianca da cui non spuntano gambe, un triangolo di carta sulla fronte, e in perenne compagnia di due fuochi fatui (hitodama).

La genesi degli  yurei è riconoscita dallo shintoismo nel reikon: ogni essere umano, nella cultura giapponese, possiede uno spirito, un anima (chiamata reikon, appunto).

Al momento della morte, il reikon lascia il corpo e resta in attesa del funerale prima di potersi riunire ai propri antenati nell’aldilà.

Se le cerimonie vengono svolte nel modo appropriato, il reikon del defunto diviene protettore della famiglia, e torna a farle visita durante la festa obon,ogni anno ad agosto, quando i vivi porgono ai defunti i propri ringraziamenti.

In caso invece di morti improvvise, o violente, o in caso di riti funebri non celebrati nel modo corretto (o anche in caso di spiriti trattenuti nel modo dei vivi da emozioni troppo forti), il reikon diviene uno yurei e riesce ad entrare in contatto con il mondo fisico.

Lo yurei può in alcuni casi infestare un oggetto, un luogo, una persona, e l’unico modo per scacciarlo e rimandarlo nel luogo che gli è consono è celebrare i riti funebri o risolvere i conflitti emotivi che lo tengono legato al mondo fisico, anche se esistono forme di esorcismo in grado di ottemperare a tale compito.

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Approfondire fin nel dettaglio questo mondo ancestrale, che spesso viene preso in prestito da manga, cinema, letteratura, videogiochi (possiamo citare i famosi Pokemon, piuttosto che le creature create ad arte dal maestro Hayao Miyazaki, il gigantesco Godzilla, o i giganti antropofagi di Attack on Titans, ad esempio) è compito arduo, se non addirittura impossibile. Se però quanto fin qui esposto ha catturato la vostra attenzione, consiglio vivissimo è quello di tentare la lettura di un testo, “La paura in Giappone” di Marta Berzieri, che ha studiato il fenomeno dei mostri nella loro terra d’origine, tramite interviste e ricerche. Un viaggio condotto in modo magistrale e degno di nota, attraverso le creature e le entità che costellano le credenze religiose nipponiche, il teatro kabuki, cercando di svelare retroscena di una cultura secolare che nasconde ben più di semplici mostri inventati per spaventare i bambini.