image_pdfimage_print

L’anno è il 1906 e il giornale è L’Illustrazione Italiana, settimanale ad ampia diffusione, edito a Milano da Treves che, con le sue belle tavole in xilografia e fotografia, si ispira a modelli inglesi e francesi (The Illustrated London News e L’Illustration). Tra le notizie varie, di attualità e di costume, della rubrica Corriere, curata dal giornalista Alfredo Comandini (si firma Spectator), nelle prime pagine del n. 10 dell’11 marzo, si affaccia una questione che in Italia, in quel primo Novecento, trova qualche spazio nelle aule dei tribunali, ma viene ignorata dalla carta stampata: «La cronaca quotidiana torna a rimpinzarsi di brutti delitti coniugali. Di preferenza sono mariti che ammazzano le mogli. Noto, per l’onore del gentil sesso, anche una moglie che accoltella ferocemente il marito».
Una coincidenza casuale: siamo alla vigilia dell’8 marzo (la rubrica è datata 7), ma la Giornata della donna ancora non c’è. La proposta sarà lanciata tra qualche anno, nel 1910, dal congresso internazionale delle donne socialiste, su iniziativa delle delegate americane, ripresa da Clara Zetkin, dirigente della sinistra socialdemocratica tedesca. E passerà ancora molto tempo prima che l’appuntamento si stabilizzi ovunque all’8 marzo.
«A tutti questi dannati nel cerchione della disperazione coniugale, dedico, fresca fresca, una paginetta di curiosità americane», scrive Spectator, che – con qualche sgradevole scivolata di cattivo gusto (ma siamo nel 1906 e il suo pubblico è la buona, medio-alta borghesia, che certo non brilla per progressismo) – apre uno spiraglio sul trattamento dei casi di violenza sulle donne negli Stati Uniti. La prima «curiosità americana» viene dal Congresso: «La Camera dei rappresentanti in Washington, ha respinto quindici giorni [or] sono, quasi all’unanimità, un progetto di legge di Adams, deputato della Pensilvania [sic], tendente ad assoggettare alla pena della frusta qualunque uomo risultasse responsabile di percosse inferte ad una donna». «Va notato che Adams è scapolo», commenta Spectator, certo di strappare ai lettori un sorriso di complicità, mentre «la maggioranza dei deputati al Congresso nord-americano è di ammogliati, e si capisce che la legge sia stata respinta».
«Ma non bisogna credere che i mariti, agli Stati Uniti, possano impunemente applicare il proverbio: “Chi batte ama”», continua il pezzo, introducendo la seconda «curiosità». «In certi Stati della Confederazione esistono leggi durissime a tutela esclusiva dell’incolumità personale delle mogli. Se debbo credere al World, un ricco gioielliere dello Stato di Alabama è stato condannato or ora a 75 dollari di multa [al valore attuale si dovrebbe trattare, più o meno, di 1700 euro] per avere bastonato troppo spietatamente la propria metà». Poi Spectator completa la notizia, senza evitare una battuta che ritiene spiritosa: «Una lezione a certe mogli può ben valere 75 dollari; ma il ricco gioielliere è stato condannato, per giunta, a due mesi di lavori forzati; ed i suoi concittadini hanno la soddisfazione di vederlo ogni mattina, in mezzo a forzati negri, spazzare le strade e spingere la carretta dell’immondizie trascinando ai piedi una catena più fastidiosa della catena coniugale».
Due parole, infine, sul deputato della Pennsylvania Robert Adams, che avrebbe voluto mettere mano alla frusta. Esponente del Partito repubblicano (ai suoi tempi su posizioni liberal-progressiste: era ancora il «partito di Lincoln»), era stato eletto alla Camera dei rappresentanti nel 1893, dopo un passato di politico locale e una breve esperienza diplomatica in Brasile. La proposta registrata negli atti parlamentari, frutto evidentemente di uno scatto di indignazione e con ogni probabilità soltanto provocatoria, sembra essere l’unico passaggio significativo di una biografia politica non particolarmente brillante. Certamente fu l’ultimo: pochi mesi dopo, a 57 anni, Adams si suicidò, sparandosi un colpo di pistola, travolto da sfortunate speculazioni finanziarie.