Ci sono notti tranquille, agitate, anonime. Ci sono notti travolgenti, ansiose o ricche di speranza. Ci sono notti dove qualcuno decide di andarsene per sempre e poi ci sono quelle che non si dimenticheranno mai. Il 16 novembre 1992 fu una di quelle…
Intendiamoci, dopo ne ho vissute altre indimenticabili e forse anche più belle, ma quella notte fu, semplicemente, la prima. Avevo 17 anni, avevamo 17 anni, eravamo fatti di rabbia, rivincite, sogni adolescenziali di riscatto, erano anni verde smeraldo, ma 17 anni possono essere pericolosi, soprattutto se decidi di chiuderti in una riserva protetta fatta di 4 amici uguali e diversi da te, che hanno, come linea di confine nei confronti del mondo, assoli fulminanti e ritmi sincopati. Se eri un adolescente complicato e terrorizzato dal futuro, con più complessi di quelli che ascoltavi, al quale bastava un sorriso mancato di una ragazza per sprofondare in un abisso nero, la necessità di un appiglio, di una bandiera da sventolare che da una parte urlasse al mondo la tua esistenza, e dall’altra ti difendesse da quel mondo ostile, era una questione vitale. Quella bandiera era, è, ancora oggi, la musica metal e, nel 1992, il Metal erano i Metallica, quattro cavalieri vestiti di nero che arrivavano da San Francisco per indicarci la via, la strada da percorrere per esistere, erano il nostro riscatto, il modo che avevamo trovato per dire: noi esistiamo. Avevano cinque dischi alla spalle, quattro dei quali molti di noi consideravano come vangeli (Kill’em All – Ride the Lightning – Master of Puppets – and Justice for All), più un quinto, il “Black Album”, di cui parlerò più avanti…
Il 16 novembre 1992 i Metallica sarebbero arrivati a Roma per tenere un concerto, l’evento che tutti noi aspettavamo da anni, sarebbe stato il giorno dei giorni, fu così e fu perfetto.
Di quel giorno vi potrei raccontare ogni singolo minuto, che tempo facesse, come fossi vestito, che odore avesse l’aria, il tuffo al cuore quando mia mamma firmò la giustificazione per uscire prima da scuola, era un lunedì ed io e i mei amici dovevamo essere l’avanguardia che prima di tutte arrivasse davanti ai cancelli del palaghiaccio di Marino per omaggiare i nostri dèi pagani. Vi potrei raccontare tutto, cosa che in parte ho fatto, ma ci sono degli attimi che ancora oggi, che di anni ne ho quasi 45, ancora mi accompagnano. La corsa ai cancelli, gli spintoni per accaparrarsi le prime file, la fanzine ufficiale tra le mani, l’attesa infinita in un caldo innaturale dovuto a diecimila metalkids radunati come fossero un’unica, invincibile armata.
James Hethfield, finalmente, saliva le scale che lo portavano sul palco e la mia testa esplodeva, lui era lì, esisteva davvero ed era lì per me e per i miei amici. Il cuore cedeva al primo colpo di batteria di Lars Ulrich, era il segnale che la battaglia era cominciata e che per quelle tre ore tu saresti stato il vincitore, non avresti potuto perdere finché Kirk Hammett avesse continuato a suonare la chitarra e Jason Newsted il basso. Ogni singola canzone si legava ad un ricordo unico, cementava i cuori di quattro ragazzi che erano lì sì, per i Metallica, ma anche e soprattutto per l’amicizia che li legava, i quattro cavalieri neri non facevano altro che farla diventare indistruttibile. Indistruttibile, questa amicizia, la rendevano anche le lacrime dei miei occhi quando le note di “Fade To Black” avvolgevano il palazzetto, e erano gli stessi occhi che incrociavo cercando i miei amici, occhi lucidi come per tutte le volte che quella canzone mi aveva fatto sprofondare nell’abisso insieme a loro, per tutte le volte che avevamo cercato la nostra parte più bella, ma lei se ne era andata. Ma se a 17 anni piangi per una canzone vuol dire che ti stai facendo una promessa per il futuro, la promessa più dura, quella che ci saremmo sempre stati, e dopo 26 anni posso dire che quel tacito patto sancito sotto il palco, è stato rispettato.
Quella notte però gli occhi erano stati anche molto altro, erano stati anche paura, la gioiosa paura di essere travolti da teste e gomiti sconvolti dalle note di “Creeping Death”,” Master of Puppets”, “Last Carees” e “One”
26 anni dopo i Metallica, almeno per scrive, sono finiti, fermati dal tempo e dalle mode dettate da sedicenti fashion blogger, e soprattutto uccisi dal loro quinto album, il disco “capolavoro”, quel “Black Album” che li aveva lanciati nell’olimpo degli immortali ma che aveva lasciato indietro noi. Il “Black Album” era stato vissuto come un tradimento di un patto di sangue, un patto che diceva che noi non saremmo mai stati come tutti gli altri, i Metallica e i loro fans sarebbero stati sempre “altro”, né migliori né peggiori, ma semplicemente diversi. Saremmo stati sempre dalla parte sbagliata, quelli che alle feste si mettevano vicini alle tende per rendersi invisibili a mondi che non capivamo e che non volevamo capire, non saremmo mai stati moda. Invece no, il “Black Album” aveva spalancato il nostro mondo ai nemici, “Nothing else matters” era finita su radio Dj, per gli altri non eravamo più gli alieni.
Il nostro posto nel mondo alla fine lo abbiamo trovato e quel concerto di risate, lacrime e promesse era stato il primo passo di un cammino difficile ma fatto sempre insieme a quei quattro, perché nonostante il tempo, gli album sbagliati, i cambiamenti, gli errori e le vittorie, James Hethfield quelle scale le sta salendo ancora, perché nessuna promessa può essere mantenuta se non viene continuamente rinnovata…
La Setlist del concerto:
- The Ecstasy of Gold
- Enter Sandman
- Creeping Death
- Harvester of Sorrow
- Welcome Home (Sanitarium)
- Sad but True
- Wherever I May Roam
- The Unforgiven
- Justice Medley
- Bass Solo
- Guitar Solo
- Through the Never
- For Whom the Bell Tolls
- Fade to Black
- Master of puppets (short version)
- Seek & Destroy
- Whiplash
Encore:
Encore 2:
Questo articolo è dedicato alla memoria di CLIFF BURTON (Castro Valley, 10 febbraio 1962 – Ljungby, 27 settembre 1986), primo, storico e inarrivabile bassista dei Metallica.
“Quando un uomo mente uccide una parte del mondo
Queste sono le pallide morti che gli uomini chiamano erroneamente le loro vite
Non riesco a sopportare di dover testimoniare tutto questo
Il Regno della Salvezza non può portarmi a casa”
to live is to die
“To Live is to Die” è la canzone che i Metallica hanno dedicato a Cliff dopo la sua morte causata da un incidente stradale in Svezia, mentre la band era in tour. Le parole sono in gran parte prese da una poesia scritta dallo stesso Cliff poco prima di morire.
L’ultima frase dalla canzone “cannot the Kingdom of Salvation take me home” è incisa sulla tomba di Cliff.
A Carlo, Emanuele, Gianluca, Maurizio…loro sanno perché
Lettore compulsivo, considera i libri dei veri e propri amici. Altra grande passione è la musica metal, grazie alla quale collabora per alcuni anni come redattore e animatore del forum di Metal.it, soprattutto nell’ambito Melodic Black Metal. Tra un libro e un disco si laurea in Scienze Politiche e grazie anche ai testi delle canzoni, si appassiona alla Storia Medievale, percorrendo un nuova e felice avventura accademica.