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Via Riscatto. È questo il nome di un viottolo che costeggia la Cattedrale di Matera. L’ho notato subito, il primo giorno che sono arrivato: striscia lungo il fianco sinistro dell’edificio, dalla parte opposta di Piazza Duomo, fino ad affacciarsi sul meraviglioso belvedere che domina il Sasso Barisano.

© Alberto Manno

Via Riscatto, cioè percorso di liberazione, strada per la rinascita, viatico di redenzione. Curioso che un nome così altisonante e denso di significato sia stato dato ad una piccola stradina della Civita, la parte della città che giace tra i due Sassi e li sorveglia dall’alto. Ma poi, riscatto da chi? Da quale condizione morale, economica o sociale? E, soprattutto, riscatto di chi? Di un singolo, di una città e della comunità che la abita, o di un popolo intero?  Per capirlo, ho dovuto aspettare il giorno successivo, quando sono andato a visitare la Casa Grotta. Durante questo viaggio mi aspettavo di avvertire costantemente ed unicamente quel misto di stupore ed ammirazione che si prova di fronte allo spettacolo della bellezza in tutte le forme in cui si manifesta. Entrando in questo minuscolo antro, gli unici sentimenti che provo sono un’infinita tristezza ed una profonda commozione. Più guardo gli oggetti che riempiono questa grotta buia e angusta scavata nel tufo e più penso, con sconcerto, alle persone che vi hanno abitato, alle sofferenze che hanno sopportato, a tutto quello che la miseria ha loro sottratto. Non c’è nulla di pittoresco o caratteristico in questo luogo. È la testimonianza di come il degrado fisico e morale possa portare alla perdita della speranza e all’accettazione di un’ineluttabile condizione di sofferenza. La Casa Grotta è uno struggente museo della rimembranza, con tutto il suo valore di monito per questa e per le generazioni a venire, affinché quello che è accaduto non si verifichi più. Era dunque da questo che bisognava riscattarsi, dalla miseria materiale e spirituale, e questo ha fatto il popolo di Matera, in poco più di sessant’anni. Lo ha fatto per se stesso e per tutti noi, con le proprie forze e con l’aiuto di una riforma coraggiosa ed illuminata, la “Legge Speciale per lo sfollamento dei Sassi”, portata avanti dai vertici della politica italiana nazionale e locale nei primi anni cinquanta. Il viottolo da cui sono scaturite queste riflessioni, con il suo nome altisonante e fortemente evocativo, nel suo serpeggiare per pochi metri di fianco alla cattedrale, non dà certamente l’idea del tempo e della fatica che sono stati necessari per ottenere il riscatto delle genti di Matera. Me ne rendo conto riflettendo sulle date e sui traguardi raggiunti: sessantasette anni, dal 1952 al 2019, da vergogna d’Italia, come fu definita da Togliatti, a Patrimonio Mondiale dell’Umanità fino a Capitale Europea della Cultura 2019. Di questo vertiginoso upgrading materiale, spirituale e culturale trovo parecchie testimonianze nel mio girovagare tra i Sassi, insieme a turisti provenienti da ogni dove. Un’altra grotta, per esempio, un’altra casa, ma questa volta riqualificata e rimodellata dalla mano sapiente di architetti locali sotto la spinta di realtà culturali illuminate, che l’hanno fatta risorgere dall’antico stato di fatiscente testimonianza di un triste passato a luogo dove si celebra il presente più entusiasmante. Chi si immaginava, entrando con un gruppo di congressisti multietnici nella Casa Cava, di ritrovarsi nell’unico centro culturale ipogeo del mondo, dove gradinate di legno e vetro, sapientemente utilizzato per lasciar intravedere il passato, portano ad un palcoscenico anch’esso trasparente, davanti al quale si apre una platea di sedute avveniristiche, su cui occhieggiano schermi al plasma incastrati sulle pareti di tufo

© Alberto Manno

Una confortante, gratificante e inaspettata realtà che lascio a malincuore agli indaffarati congressisti immersi nel loro dibattito solo dopo aver scattato, o meglio rubato come un navigato street photographer, molte immagini con la mia fotocamera.

Eh, già, la fotografia, la mia passione. Desidero ardentemente soddisfarla anche durante questo viaggio a Matera. Reflex in mano e zaino fotografico in spalla cercando la mia immagine della città. Il compito è arduo: Matera è un landmark fotografico per dilettanti e professionisti. È stata fotografata in tutte le condizioni climatiche, di giorno come di notte, all’alba ed al tramonto, in ogni suo angolo o recesso e secondo le più varie chiavi interpretative. Ma questo spicchio di mondo, dove l’identità ancestrale si mescola sapientemente con la modernità, mi affascina, sento che devo celebrarlo anch’io con i miei scatti, e non mi intimidisce la consapevolezza che molti anni fa lo abbiano già fatto i padrini della Magnum Photos. Quei grandi maestri, con le loro immagini hanno svelato al mondo la miseria e la desolazione che regnavano in questi luoghi fino ai primi anni cinquanta, io, con le mie voglio sentirmi partecipe della rinascita.

I Sassi nascono dal tufo, sono scavati nel tufo, emergono dal tufo.

© Alberto Manno

Un paesaggio fatto di bianchi e grigi mai troppo definiti, senza forti contrasti, e mi rendo presto conto che ritrarlo a colori non ne esalta il fascino. Dunque, per la prima volta nella mia carriera di fotoamatore appassionato, decido di lanciarmi nell’elitario mondo del bianco e nero. L’intreccio dei tetti, l’incrocio dei muri sgretolati, i vicoli angusti raggiunti percorrendo gradinate impervie, tutto è stretto, ravvicinato, quasi asfissiante.

Un’architettura di pieni che si incastrano in altri pieni, perché i vuoti, gli antri scavati nel tufo e ora garbatamente e spesso elegantemente riadattati al viver moderno, sono celati allo sguardo, chiusi da portoni o inferiate, forse anche, penso io, ad occultare con non sopita vergogna la loro triste passata esistenza.

© Alberto Manno

Non c’è scampo, la luce perpendicolare non potrà mai esaltare quest’architettura. I grigi diventeranno bianchi sfavillanti e neri luminosi solo all’alba o al tramonto: beh, ovviamente, scelgo il tramonto, ma per tutto il giorno, in realtà, si protrae questa faticosa ma inebriante shooting session. All’inizio rifuggo dalle panoramiche, determinato a non cedere alla tentazione dell’immagine cartolina, e mi concentro sui particolari, sui dettagli: piccoli edifici che si aprono, come minuscoli anfiteatri, su slarghi appena accennati di angusti viottoli di pietra; le chiese rupestri, con i loro interni riccamente arredati dalla semplice nudità del tufo in cui sono state scavate; le facciate delle case, che nel  loro sovrapporsi prospettico evocano l’intersecarsi dei quadrati e delle linee delle opere di Mondrian, solo private del gioco dei colori primari.

© Alberto Manno
© Alberto Manno

Non è facile far percepire il fascino di questo paesaggio riprendendolo dall’interno, scendendo negli ipogei, nelle grotte e nei cortili degli antichi palazzi secenteschi al cui interno, inaspettato premio al mio ossessivo girovagare, si rivelano alla mia ammirazione i tesori della scultura contemporanea del MUSMA° o le opere dei fotografi professionisti celebrate nella mostra del World Press Photo 2019.

© Alberto Manno

Via via che passano le ore e poi i giorni, questo addentrarsi sempre più spinto all’interno dei Sassi mi provoca una sensazione fastidiosa di esaurimento, di claustrofobia, e mi convinco che devo uscire fuori da questi vicoli, per cercare una prospettiva più ampia. Ripercorro allora in salita le impervie stradine fino a raggiungere le gradinate e gli spiazzi più alti dei Sassi, o i magnifici belvedere che li dominano, e da lì lascio spaziare lo sguardo e poi scatto. Spero di poter immortalare sul sensore, e quindi per sempre nel mio ricordo, quel misto di stupore ed ammirazione che tanto mi aspettavo di provare fin dall’inizio di questo viaggio di fronte allo spettacolo della bellezza, che ora si manifesta di fronte a me in tutta la sua potenza.  Mi sento tuttavia un po’ in imbarazzo quando mi rendo conto che questa sequenza di scatti ritrarrà proprio quella Matera da cartolina da cui mi ero riproposto di rifuggire.

© Alberto Manno

Ma alla puntuale verifica di ogni singolo fotogramma sul piccolo schermo LCD della reflex, routinaria consuetudine di ogni fotografo che si rispetti, cresce in me la consapevolezza, o forse la presunzione, di aver capito, di aver trovato la chiave interpretativa giusta: per ritrarre un luogo come questo bisogna abbandonare ogni desiderio di stupire, perché lo stupore nasce dalla semplice constatazione. Le inquadrature ardite, l’esaltazione del dettaglio, la trasformazione dell’immagine concreata in astratta, che hanno sempre caratterizzato il mio modo di ritrarre il paesaggio, questa volta rischiano di rivelarsi inefficaci nell’obiettivo di esaltare il fascino di questo luogo. Fotografiamo tutti Matera come un presepe perché Matera “è” un presepe. Un presepe vivente però, salvato dall’oblio grazie alla saggezza e alla lungimiranza di alcuni ed alla forza e al coraggio di molti.  E questo a cui penso stanotte affacciato al belvedere, dopo l’ultimo scatto al presepe che si illumina della luce di mille piccole lampadine.

© Alberto Manno

Chissà chi avrà attaccato la spina e premuto l’interruttore…


*Resoconto di un viaggio fatto un anno fa, quando la maggior parte di noi pandemia non sapeva neanche cosa significasse.

°Museo della Scultura Contemporanea Matera


Tutte le immagini sono coperte da copyright © Alberto Manno