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Sembra che in molti, compresi noi  progettisti, lo abbiano però dimenticato.

Infatti, la logica che oggi purtroppo guida molte operazioni speculative legate alle trasformazioni urbanistiche del territorio, possiamo dire che è sempre la stessa. Prima si certifica l’impossibilità di recuperare e riqualificare quartieri, in particolare quelli delle tante disastrate e dimenticate periferie italiane che, qualche anno fa, si erano meritate anche l’attenzione dell’architetto Renzo Piano con un progetto/programma denominato e poi diventato famoso come “il rammendo delle periferie”. Poi naturalmente, dopo i primi mesi di entusiasmo e di annunci con roboanti casse di risonanze per la comunicazione, non sappiamo più che fine ha fatto questo programma. Mentre continua a succedere tranquillamente tutto quello che è sempre successo. In poche parole si giustifica una inattuabile operazione di recupero con il pretesto dei costi eccessivi, non sempre reali, per poi sostenere, invece, una più remunerativa e completa demolizione e ricostruzione o la realizzazione di nuovi insediamenti “compensativi”, in altri luoghi da urbanizzare. Una logica che permette al potere politico di chiamare al capezzale del territorio ammalato, i medici delle grandi società di costruzione, che poi sono quasi sempre i proprietari di questi terreni. Soluzioni che, noi pensiamo, non abbiano più nessuna ragion d’essere di fronte ai disastri odierni compiuti dal potere economico-finanziario che spesso si immola al dogma neoliberista della crescita infinita. Queste soluzioni non possono più trovare giustificazioni dal punto di vista urbanistico ed architettonico perché in un nuovo modello di sviluppo o in una nuova idea di città non dovrebbe essere più consentito disattendere le aspettative di qualità della vita di quelle persone che, come tutti, hanno il Diritto di vivere degnamente i luoghi e gli spazi delle nostre città, al di là della loro collocazione sul territorio. In nome di quei sacrosanti diritti, alcuni sanciti anche dalla nostra Costituzione, ma soprattutto di quelli che potremmo chiamare Diritti per vivere degnamente la propria vita.

 

Diritto ad una Sostenibilità Ambientale.

Diritto ad un Risparmio energetico con l’uso delle Energie Rinnovabili.

Diritto ad una Riqualificazione di territori e strutture dismesse o abbandonate.

Diritto ad una Qualità diffusa dell’Architettura.

Diritto ad una migliore qualità della vita.

 

Inoltre siamo fermamente convinti che questo grande processo di rinnovamento, prima di tutto culturale, debba per forza coinvolgere il Progettista (Architetto, Ingegnere, Urbanista) che da sempre, con o senza complicità, ha avuto il compito di rappresentare, attraverso l’architettura, il “potere dominante”,  sia esso politico, finanziario che religioso, come la storia ci ha testimoniato. Ma purtroppo oggi le sorti di interi Paesi dipendono invece dal PIL e dall’ammontare del Debito Pubblico, Grecia docet, per cui prima o poi potrebbe toccare anche noi come Comunità europea, in questo momento alle prese per esempio con il Corona Virus e con tutto quello che comporterà. Quindi possiamo affermare che non c’è più nessun aspetto (culturale, etico, sociale e soprattutto politico) in grado di contenere o condizionare il potere economico-finanziario. L’unico capace, nonostante la crisi in cui ci ha fatto precipitare, di orientare scelte di natura architettonica ed urbanistica. Ecco perché diventa assolutamente necessario parlare di “qualità della Progettazione” per cercare di combattere “l’ingiustizia distributiva” che affligge le nostre città. Ecco perché, facendo appello ad una assunzione di responsabilità connaturata alla sua figura, il Progettista rimane l’ultimo “baluardo” che, con la bontà e la qualità del progetto, può porre un argine a questa deriva. Anche per recuperare, all’interno di qualsiasi percorso progettuale, quel ruolo di protagonista che spesso, con la sua complicità, gli è stato cancellato dalla Committenza Pubblica-Politica-Affaristica, prima e da quella Privata-Economico-Finanziaria adesso.