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Le sue foto sono come sogni

Aung San Suu Kyi

Ivano Bolondi, fotografo non convenzionale scomparso di recente, merita un ricordo; allora vorrei raccontarvi brevemente la sua fotografia, anche attraverso le parole di Lorenzo De Francesco che lo ha conosciuto e ha realizzato una monografia a lui dedicata, un video-documento edito dalla FIAF, Federazione Italiana Associazioni Fotografiche.

Ivano Bolondi è nato a Montecchio dell’Emilia nel 1941. Iniziò la sua carriera lavorativa come apprendista meccanico per la riparazione delle macchine agricole, fino a diventare titolare di una importante azienda metalmeccanica produttrice di sofisticate apparecchiature per la pulizia dei serbatoi industriali. Inizia a dedicarsi alla fotografia negli anni Settanta.

Un uomo semplice, grande lavoratore e viaggiatore per passione e curiosità, ha coltivato  la fotografia da vero amatore, svincolato dai canoni e dai rimandi agli autori storici e a quel modo di fotografare ripetitivo e standardizzato tipico della contemporaneità; la sua visione è singolare e privilegia l’estetica come segno distintivo della sua opera, in particolar modo nella fotografia di viaggio, ma non solo, come vedremo.

Apparentemente spontaneo nel proporre foto di primo scatto, non elaborate in post-produzione, ci ha lasciato immagini che rivelano un talento innato.

Mi piace in particolar modo questa  foto icastica che colpisce per la capacità dell’autore di avere colto l’occasione propizia: una doccia reale, aperta in corrispondenza di un manifesto che raffigura una donna nell’atteggiamento di servirsi di quella stessa doccia: un saggio ben riuscito di fusione di due casualità, in un contesto in cui la grafica a due dimensioni è arricchita dalla tridimensionalità della doccia reale, dando spessore alla scena.

Nella sua specificità Bolondi dava forma alle emozioni senza banalizzare l’immagine o perdersi in futili formalismi; alcuni suoi scatti non hanno nulla da invidiare a quelli dei grandi autori della fotografia mondiale.

Per meglio comprendere l’opera di Ivano Bolondi, ne ho parlato con Lorenzo De Francesco che ha rilasciato a Diatomea questa intervista emozionale.

RM: Lorenzo, hai incontrato Ivano Bolondi in più occasioni; vuoi raccontare ai lettori di Diatomea cosa apprezzi dell’uomo e del fotografo?  Possiamo parlare di autore carismatico?

LDF: Quando entrai nel suo mondo, l’Emilia intensa e produttiva – anche fotograficamente -, mi accorsi subito che il suo carisma lo precedeva. Chi lo conosceva ne parlava con deferenza e rispetto, ponendolo subito su di un piano di maggiore attenzione. Io muovevo i primi passi nel mondo degli audiovisivi fotografici su diapositiva: erano gli anni ’90; lo incontrai ai festival internazionali Crespi di Legnano organizzati dalla Famiglia Legnanese e rimasi stupito dalla sua modestia e umiltà, a differenza di altri personaggi del mondo fotografico la cui alterigia era spesso inversamente proporzionale al talento.

Entrammo subito in sintonia: Ivano era attirato dal mio modo narrativo di intendere l’audiovisivo, mentre lui faceva evolvere progressivamente il suo stile nel documentare i paesi che visitava spostandosi progressivamente su emozionanti livelli di astrazione e sintesi di segno e colore.

Mi volle introdurre nei circoli che frequentava, ricordo ancora i commenti severi ma costruttivi  del  GAD – Gruppo Amatori Diapositive, dove lui era soprannominato “il Papa dell’audiovisivo” e il piacere immenso di quando mi invitò a proiettare i miei lavori a Torri del Benaco, ove organizzava proiezioni internazionali, preludio di un’ intensa collaborazione che è  durata sino ai nostri giorni.

RM Parliamo ora dell’aspetto etnografico che possiamo osservare nella fotografia di viaggio;  qui ci troviamo di fronte a qualcosa di inconsueto: la rappresentazione dei luoghi – considerato il gran numero di paesi visitati – non corrisponde a ciò che tradizionalmente si intende per fotografia di viaggio; nessun conformismo bensì uno stile molto personale di intendere la materia. Cosa puoi dirci al riguardo?

LDF Lui rompeva lo schema del documentario impropriamente detto di “viaggio” al quale tutti eravamo abituati.  È prassi comune presso i fotoamatori considerare i viaggi esotici come trofei, esibendo le relative diapositive. Al ritorno da un viaggio si radunavano gli amici e si propinavano proiezioni di centinaia di immagini, che per l’autore erano dense delle emozioni delle esperienze vissute, ma che spesso dopo i primi minuti di interesse provocavano una generale sonnolenza.

Con l’avvento dell’audiovisivo ecco che queste serie di foto venivano organizzate, con l’intento di renderle più interessanti, raccolte in sezioni che raccontavano l’esperienza del viaggio: paesaggi, architetture, gente, bambini, chiese o edifici di culto, street, degrado, quasi sempre denotando una carenza di progettualità fotografica, ma lasciandosi incantare dall’esotico, dal diverso.

Ivano non intendeva documentare un paese in modo tradizionale;  non titolava le sue fotografie con il nome del luogo, ma dava un titolo di fantasia:  “Tracce nel nulla”, “La grotta delle meraviglie”, “L’idea del giorno”, “Viaggio nel tempo”, “La danza della vita”, “Da un’antica leggenda” etc., pur mantenendo un accenno ai luoghi visitati per consentire un appiglio, un riferimento spazio-temporale. Quindi si osservano sintesi di segni e colori, che portano l’osservatore su di un piano diverso dalla semplice documentazione fotografica.

Il suo sguardo assimilava progressivamente l’essenza dei posti visitati, linee e colori caratterizzanti comportamenti umani, architetture e paesaggi; li assimilava e li riproponeva  attraverso luci, riflessi, sfocati, mossi, contrasti, trasparenze che staccavano la mente dalla ricerca del particolare documentato per portarlo in un mondo tutto suo, tutto nostro, tra l’immaginario e l’onirico, ove ognuno poteva continuare il suo viaggio. È importante valutare le foto di Ivano nel contesto narrativo del viaggio e nello sviluppo dello stile dell’autore nel corso degli anni. La singola foto estrapolata può sembrare un segno gratuito, fine a se stesso, a volte indecifrabile. Fruita nell’ambito della sua narrazione fotografica, può estasiare. Può, perché è una fotografia che non incontra il consenso di tutti. Ivano realizza fotograficamente quello che avviene anche nella relazione umana: quando si incontrano individui appartenenti alla stessa classe di sensibilità, si entra irresistibilmente in risonanza.

RM: Lorenzo, a proposito di testimonianza e lascito a chi rimane, si diceva che Bolondi lascia un segno; il mio commento fu: per lasciare un segno bisogna che ci sia. Cosa ne pensi?

LDF Ivano lascia due segni che prolungano il suo essere nel nostro tempo: prima di tutto l’uomo, la sua sobrietà e modestia. Pur essendo benestante, affermato e riconosciuto nel nostro ambiente fotografico non l’ho mai sentito, nei trent’anni di conoscenza, parlare male di qualche collega né in pubblico né in privato o cercare di sgomitare per accaparrarsi qualche premio o riconoscimento o “posizione di potere”. Al contrario è stato un grande seminatore, mettendo i suoi talenti al servizio degli altri, organizzando eventi, con i suoi workshop, il dialogo e l’esempio. Ogni anno regalava a tutti gli amici uno splendido calendario con le sue migliori foto, stampato in grande formato e di grande qualità. Ha girato il Paese in lungo e in largo e ha lasciato ovunque un ricordo

indelebile, dalla Sicilia al Trentino.

Il secondo segno è la sua fotografia, fatta di significanti, siano linee, colori, forme, ombre, riflessi o inventandone di nuovi secondo l’ispirazione del momento, fatta di tracce umane fuse nel contesto.

Dovrei chiudere con una frase di circostanza, tipo “onorato di essere stato suo amico e aver lavorato con lui,  oppure “ sarà sempre con noi” etc. No, chiuderò invece con un’esortazione, che è anche una lezione per me e per tutti, una frase che mi venne subito alla mente quando seppi della sua morte: “”il Nulla è un infinito che ci avvolge:veniamo di là e là torneremo” (Anatole France).

No, Ivano. Ho ben presente questa frase di Anatole France che hai messo in chiusura del tuo audiovisivo “Tracce nel nulla” e sulla quale ci eravamo soffermati nel 2016 durante la preparazione della monografia.

No.

Mi rifiuto di pensare a una gigantesca discarica cosmica che raccoglierà silenziosa ed eterna il nostro essere, il nostro amare, il nostro patire, il nostro godere, una volta terminati.

Le tue immagini. Assimilandole, il mio spirito è come un aquilone, portato lentamente in alto, in un “Oltre” accarezzato dai riflessi, dai colori, dalle sfumature, che permettono di librarsi nell’aria ma sempre trattenuto delicatamente dal filo che lo porta, in un percorso dolce e luminoso e ricco di colori a cogliere i segni/essenza dell’umanità, nel suo lavorare, amare, sognare, in una parola il suo vivere.

La tua fotografia per me è uno degli esempi più alti di una forma di comunicazione universale, che non ha bisogno di parole, ma solo di una musica leggera, per far vibrare il cuore dell’umanità.

Immagine di copertina_Ivano Bolondi – Norvegia 2011

Tutte le immagini sono coperte da ©Ivano Bolondi