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C’è una citazione di Claes Oldenburg: “Sono a favore di un’arte che nasce senza nemmeno sapere di essere tale”. La conoscenza può diventare un limite, la consapevolezza bloccarti.” (Peter Saville)

Non ho potuto essere sintetica su Peter Saville, per lui nutro un amore incondizionato, sia per motivi personali, sia perché Saville è tuttora uno dei graphic designer più produttivi degli ultimi decenni e le sue copertine restano oggi tra le più riconoscibili di tutti i tempi. 

Perciò ho diviso gli articoli sulla sua straordinaria carriera in tre parti:  Input, Output, Joy.

Ho chiesto all’amico Valerio Michetti, anche lui adoratore di Saville, di fare tre playlist a corredo della lettura, grazie al suo entusiasmo possiamo augurarvi non solo buona lettura, ma anche buon ascolto:

Playlist per INPUT|Saville – parte prima: 

Utilitas Firmitas Venustas
“La bellezza è l’inizio di ogni viaggio e il fine ultimo di ogni ricerca, la musica la tiene saldamente stretta a sé perché è nel suo DNA.  Tutti i brani scelti sono legati all’immaginario di Peter Saville”.  (Valerio Michetti)

Peter Saville è nato a Manchester nel 1955, ha frequentato St Ambrose College e in seguito ha studiato graphic design presso il Manchester Polytechnic, dove assume l’ispirazione costruttivista tipica del periodo post-punk di cui è figlio, virando verso una grafica di ideale venustà, in risposta al rumore visuale della grafica punk.  Attinge a De Stijl, John Heartfield, Bauhaus e Die Neue Typographie, che avranno un impatto importante su tutta la sua produzione, e studia la tipografia moderna attraverso i lavori di Herbert Bayer e Jan Tschichold.

Nel 1979 Tony Wilson fonda la Factory Records insieme ad Alan Erasmus, Martin Hannett, Rob Gretton e Peter Saville, che ne diventa direttore creativo.  Sarà una delle più significative etichette discografiche indipendenti del panorama musicale, cui Wilson e Saville hanno dato in più una connotazione estetica nuova, il cover design assunse un’importanza ancora più rilevante di quanto già non fosse.

Peter Saville by Tony Barratt

Gli albori della carriera professionale di Peter Saville sono clamorosi, le sue opere sono oggetto di culto, indimenticabili espressioni del suo genio visionario.

Non si è più fermato, ha continuato in crescita indefessa attraverso un viaggio di progettualità trasversale, ha esplorato senza sosta le potenzialità del design e della propria capacità visionaria, che si sono incrociate con i fenomeni culturali e artistici contemporanei: musica, moda, sport e packaging.  Mai oppresso, anzi stimolato dai cambiamenti che la contemporaneità avrebbe potuto avere sul suo lavoro, nel corso degli anni ha collaborato con i Joy Division e successivamente i New Order, Roxy Music, Peter Gabriel, EMI, OMD, Givenchy, Yohji Yamamoto, Dior, John Galliano, Alexander McQueen, Selfridges, Adidas e Stella McCartney, per citare solo alcuni dei suoi numerosissimi clienti.

Peter Saville

Ma per comprendere il lavoro di Peter Saville e della Factory, occorre conoscere meglio il contesto in cui nacque e si formò, lo facciamo nel modo più autentico, attraverso le parole dello stesso Saville, con una conversazione avuta con Francesco Tenaglia (Mousse Magazine & Publishing, Rolling Stone, Rivista Letteraria), di cui riportiamo uno stralcio significativo (Testo completo: Peter Saville racconta )

“Manchester è cresciuta con l’industrializzazione e, nel Diciannovesimo secolo, è stato uno dei luoghi più importanti del mondo. Lì sono state accese le prime macchine da lavoro e, da ogni angolo del pianeta, si accorreva ad ammirarle.  Karl Marx studiò queste prodigiose novità per le sue ricerche su capitalismo ed economia sociale: come noto, Marx era legato da un rapporto di profonda amicizia e solidarietà con Friedrich Engels che visse a Manchester per un po’.  […]

Nacquero a Manchester i movimenti sindacali, le idee a favore dei diritti dei lavoratori, una nuova cultura morale-politica.  […] Facendo un fast-forward alla fine della seconda guerra mondiale, l’industria, motore del benessere cittadino, subì un declino repentino. La città in cui sono cresciuto era già post-industriale.  Sopravviveva qualche tratto che puntava al passato glorioso, ma era sempre più debole. In un certo senso, venne a mancare un’idea di futuro. […]

C’erano musicisti pop di Manchester, ma nella maggior parte dei casi andavano via. Come i Beatles con Liverpool. […]  Oltre al calcio c’era davvero poco, l’arte contemporanea nel Regno Unito era accessibile solo a un’élite privilegiata di Londra e anche lì, fino alla metà dei Novanta, era una scena concentrata sostanzialmente in un’unica via, Cork Street. […]

Il progressive, il glam e il pop avevano delineato una cultura musicale incentrata sull’immagine. Penso ai T.Rex, ma soprattutto a David Bowie e al peso simbolico del suo disallineamento così radicale con il mainstream.  L’idea che si potesse progettare da zero la propria identità era meravigliosa, decisiva per un adolescente britannico nei primi anni Settanta. […]

Il fenomeno dei super-gruppi a metà anni Settanta era stato spezzato dal colpo di stato del punk: era un momento in cui gli ambasciatori della tua cultura non ti parlavano più. Erano a zonzo per l’America a bordo di quarantotto camion, suonavano di fronte a migliaia di persone assiepate in uno stadio, persi nella mistica delle star milionarie. La loro esperienza di vita non era più legata alla tua.

Il punk arrivò e disse: “Grazie molte, da qui in poi ci pensiamo noi”. […]

Manchester, tra il 1976 e il 1977, divenne luogo di meravigliose venue per il punk e per quello in cui si stava trasformando, ovvero la new wave.  Purtroppo la canzone dei Sex Pistols God Save the Queen infastidì parecchie persone e i comuni, in giro per il Regno Unito, s’impegnarono ad arginare quella rogna sovversiva.  Manchester, dall’essere patria di sale da concerto, si svuotò nell’arco di pochissimi mesi per colpa di politiche rivolte a contenere il fenomeno punk.

Per questo motivo un giovane imprenditore nel settore televisivo, Tony Wilson, si prese carico della situazione trasformandosi nel guardiano della nuova cultura giovanile. Cercò un locale e inizialmente – devo essere onesto – non era qualcosa di diverso da quello che oggi si definirebbe “una serata” in un club.  Il primo Factory durò un paio di mesi e si teneva ogni venerdì sera. Volli assolutamente essere coinvolto e chiesi a Tony in che modo potessi aiutarlo. “Fa’ un poster” mi rispose. All’epoca c’erano solo Tony, il suo migliore amico Alan Erasmus e io. Stavo per diplomarmi e l’unica cosa che m’interessava veramente era realizzare copertine. […]

Peter Saville, Tony Wilson and Alan Erasmus, in front of The Factory Club (Russel Club), Hulme, 1979, by Kevin Cummins

Intanto, mi ero iscritto al politecnico per studiare grafica, la cosa più vicina all’arte che riuscivo a immaginare. […]  Non credo di essere uno stupido, ma nei quattro anni in cui ho studiato design mi trovai più volte a riflettere: “Forse quando avrò quarant’anni mi interesserà questa grafica. Adesso ho bisogno di uno strumento di espressione vivo”. Ed eccomi qui con Tony e il suo amico.

Nessuno di noi aveva alcuna cognizione dell’industria musicale. Tony disponeva di una piccola somma messa da parte, circa cinquemila sterline ereditate dalla madre. Questo punto è fondamentale: non ci fu alcun prestito. Nessuna banca, nessun investitore. Dal primo giorno, l’impresa collaborativa Factory Records era uno strumento per fare esattamente ciò che volevamo. Iniziammo nel 1978 e andammo avanti quattordici anni come collettivo autonomo senza alcuna struttura gerarchica poiché nessuno di noi sapeva come farne. […]


Note biografiche:

Valerio Michetti, classe ’77, è il batterista de La Grazia Obliqua, gruppo musicale romano e collettivo artistico attivo dal 2012.

La Grazia Obliqua prende forma nel laboratorio musicale del Ghostrack Studio a Roma come gruppo aperto ad un notevole eclettismo all’interno di una base musicale e poetica in cui dialogano la darkwave, il cantautorato, l’elettronica e la ballata crepuscolare.

La scrittura e l’immaginario de La Grazia Obliqua è incentrato sul tema della crisi, del disorientamento e della decadenza della civiltà occidentale con un focus sempre sull’uomo e sulla ricerca della Bellezza come antidoto etico ed estetico.

LGO : La Grazia Obliqua per cantare la bellezza – videointervista