Mi sono avvicinata alla lettura di questo volume con prudenza e un po’ di sospetto, lo ammetto. Il tema della maternità è scivoloso e anche un po’ di moda, in un paese in cui si chiede alla maggioranza delle donne di essere buone madri e buone mogli e dove le aspettative sociali rispondono a modelli precostituiti che riducono la scelta [o l’impossibilità] di non riprodurre la specie a velleitari egoismi o commiserevoli imperfezioni. Con in sottofondo il solito paradossale leitmotiv: da una parte la santa mamma italiana che tutto vede e provvede, dall’altro politiche che negano diritti e possibilità alle eventuali future madri.
Da questa premessa e per di più essendo una ‘senza figli’, la lettura di Madri comunque di Serena Marchi si è rivelata invece una piacevolissima sorpresa, per lo stile asciutto mai enfatico, perché la carrellata di ritratti è davvero rappresentativa delle differenze e perché, come afferma Pedro Almódovar in epigrafe: “le donne sanno nascondere un cadavere e affettare i peperoni: hanno un posto per tutto”.
Hai scritto un libro senza filtro, parlano le protagoniste, almeno così sembra a chi legge. Mi racconti meglio come hai raccolto queste storie?
«Le storie le ho raccolte in 4 anni, partendo prima da quelle più “facili” da trovare come la mamma adottiva e la mamma di figli in affido per poi andare, via via, a cercare le maternità meno comuni, quelle più in ombra, quelle che la società lascia in disparte perché sono scomode. Vedi la mamma lesbica, la figlicida (sono entrata nel carcere giudiziario di Castiglione delle Stiviere, dopo un anno di attesa del permesso) ma ancora di più la donna che affitta l’utero e la coppia che ricorre alla surrogazione. Per questo, ho preso il volo e sono andata a Kiev, lo scorso ottobre, dove son rimasta tre giorni e ho parlato sia con la portatrice sia con la coppia. La scelta della prima persona è per dare voce al massimo solo alla protagonista. E questo crea più intimità tra chi racconta e chi legge».
In che modo hai condotto le interviste? Hai mai pensato ad aggiungere un commento, a entrare nelle altre storie e dire la tua?
«Il novanta per cento delle mie interviste è stata fatta di persona. Ho incontrato di persona tutte le protagoniste e ho iniziato con il farmi raccontare chi sono, la loro vita, le loro storie e poi la loro maternità. Sempre una lunga chiacchierata dove le domande mi venivano via via che si parlava. No, non mi è mai venuto in mente di entrare nelle storie e di dire la mia. Ho scritto questo libro per cercare il più possibile di far capire al lettore che le scelte non vanno giudicate, sia di maternità sia di non maternità. Entrare e commentare sarebbe stato tradire l’intento del mio libro. Credo che nessuno possa mai giudicare le scelte di una persona, figuriamoci se io mi sarei permessa. Non condivido e non sono d’accordo con tutte le mie protagoniste, ma credo sia giusto che abbiano voce. Mia è solo l’introduzione. Poi presto la mia penna e lascio la parole alle trenta storie».
“Madri comunque”, anche chi per chi non è madre: non pensi che questo non faccia che rinforzare stereotipi e modelli che vogliono le donne sempre e solo come madri? Non si può essere donne e basta?
«No, al contrario, credo che serva per far capire ai benpensanti, a chi ragiona per stereotipi, a chi sa sempre ciò che è giusto e ciò che non lo è, che una donna non deve essere per forza madre. La negazione della maternità non deve essere tabù. Prima che madri, siamo donne, persone, tanto quanto gli uomini. Purtroppo la società questo non lo valuta. Credo che si possa essere donne e basta e non credo che la maternità ti faccia più donna, più completa. Ci sono donne complete anche senza essere madri. Ma questa è solo la mia opinione…»
Sei stata coraggiosa, hai affrontato un tema scomodo da qualunque punto di vista lo si prenda. Quali le critiche maggiori che hai ricevuto?
«Le critiche maggiori mi sono arrivate per la scelta di parlare solo delle madri, solo delle protagoniste, senza aver mai preso in considerazione i figli e le ricadute delle scelte di queste madri sui figli. Ho fatto una scelta ben precisa: dedicarmi solo ed esclusivamente alle donne. Dei figli, in questo libro, non mi importa. Viviamo in una società ‘figliocentrica’, in cui tutto ruota principalmente attorno ai figli. Sui figli ci sono milioni di libri, sulle madri pochissimi. Per una volta, volevo che il focus, la luce, l’attenzione fosse solo loro».
già pubblicato su LM – Letterate Magazine
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Barbara Bonomi Romagnoli, [http://www.barbararomagnoli.info/] è nata a Roma nel 1974, giornalista professionista dal 2004, apicoltrice [www.bioro.it] ed esperta di analisi sensoriale del miele; in attesa che l’Italia adegui la normativa sul cognome materno, ha deciso di usarli entrambi per la pubblicazione del suo primo libro “Irriverenti e libere. Femminismi nel nuovo millennio” (andato esaurito, si trova con stampa su richiesta o versione eBook) e di continuare a farlo ogni volta che è possibile, convinta che l’imposizione del solo cognome paterno sia un’altro modo di declinare il maschilismo delle nostre società. Nel frattempo ha scritto anche “Bee Happy. Storie di alveari, mieli e apiculture” [Derive Approdi, 2016].
Dal 2008 collabora con Iowa State University – College of Design, Rome Program e da maggio 2015 collabora con l’Osservatorio AiDS – Aids Diritti Salute, rete di 11 Ong italiane e internazionali impegnate nei temi della salute globale e nella lotta contro l’Aids e contro la povertà.
È laureata in filosofia con una tesi su “Louise du Neant: esperienza mistica e linguaggio del corpo”, da allora si interessa di studi di genere e femminismi, ha partecipato a seminari, incontri, workshop e convegni sulla storia e i movimenti politici delle donne in Italia e all’estero; fra le occasioni più recenti, è intervenuta al convegno internazionale “BASTA! Patterns of Protest in Modern Italy: History, Agents and Representation” promosso da Asmi – Association for the Study of Modern Italy presso University of London. Dal 2009 al 2012 ha collaborato con Editori Laterza. Dal 1999 al 2004 ha lavorato presso la rivista Carta; ha collaborato come freelance con varie testate [fra cui F, LetterateMagazine, Glamour, Giulia.Globalist.it, Marea e in passato con BCC Magazine, Liberazione, Peacereporter, Amisnet, Carta, Aprile, Nigrizia, Left, La nuova ecologia, Confronti, Cem mondialità, Noi donne, La27esima ora/Corriere della Sera ]; fra il 2002 e il 2005 è stata coordinatrice del progetto Radio Carta [magazine radiofonico settimanale distribuito a circa 25 radio su territorio nazionale] ed è stata docente per corsi di formazione, fra cui “Indipendent Radio and Media” presso Novi Sad (Serbia) nell’ambito del progetto Radio Radionica, promosso da Cie e Radio Popolare Network.
Ha lavorato come ufficio stampa per convegni ed eventi culturali (fra cui Eurovisioni 2007 e 2008, Parole per cambiare, parole per piacere – Fiera della piccola editoria, 2005) e presso Dipartimento Diritti e Pari Opportunità, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (2007-2008).
Ha vissuto due anni in Olanda a Leiden, dove ha imparato a convivere con il vento.
Ha fatto parte per diversi anni del collettivo A/matrix con cui ha condiviso la passione per la politica, il femminismo e la buona tavola. È socia Sil – Società delle letterate, ha fatto parte del Direttivo 2016/2017, e partecipa alle attività di Giulia – Rete nazionale delle giornaliste unite libere autonome.