Lei esce sul balcone e si mette a suonare il flauto, quello che si usa alle scuole medie per iniziare ad avvicinarsi alla musica, lui inizia a urlarle contro da dentro casa, poi le si avvicina violento e inizia a strattonarla. Non sappiamo se lui sia il marito, il compagno, un anziano di casa. La sostanza non cambia.
Il video ha girato per giorni – con un titolo che pressappoco recitava “lei suona e lui la corca” – ed è rimbalzato ovunque, in questo impeto social che tutti ci ha travolti con il Covid-19. Arrivano di continuo: foto, remake di canzoni famose, cartoline, video satirici ma anche di pessimo gusto, spie di qualcosa d’altro che non c’entra nulla con l’epidemia in corso. Quel video, ad esempio, ci dice molto sulla continua e reiterata violenza maschile sulle donne, ma anche dell’irrilevanza che il fenomeno ha su gran parte della società perché nei commenti a quel video si ride, così come si ride degli striscioni messi sui balconi da mariti che dicono che prima o poi faranno qualcosa alle mogli che devono ‘sopportare’ nella quarantena. Battute che sono prese ancora troppo alla leggera, solleticano i peggiori umori, quelli che una cultura maschilista persistente ancora alimenta ed educa. La stessa cultura che, detto per inciso, non ha molta cura della salute pubblica, che per anni ha privatizzato i servizi e che non prende in seria considerazione i nessi fra salute ambientale e umana.
A peggiorare la situazione è comparso il Covid-19, perché per molte, troppe donne restare a casa è più pericoloso del possibile contagio.
A dirlo subito, appena scattate le restrizioni, sono state le femministe della rete Non Una Di Meno che hanno rilanciato sui social un messaggio chiaro: “Per molte persone, soprattutto molte donne #stareacasa non è un invito rassicurante. Il numero nazionale dei centri antiviolenza 1522 è attivo”.
E suona bizzarro, e ipocrita, che a rilanciare la campagna sia stata la stessa sindaca Raggi, il cui governo non fa nulla per proteggere luoghi importanti per le donne a Roma, da Lucha Y Siesta alla Casa internazionale delle donne.
Le operatrici di Trama di Terre ad Imola scrivono “La nostra piccola campagna territoriale #icentriantiviolenzasonoaperti nasce perché sappiamo come agisce la violenza familiare maschile all’interno delle mura domestiche. Le donne, in emergenza Covid-19, vivono segregate con uomini maltrattanti che hanno in questa situazione il pieno controllo sui movimenti e sulle azioni delle donne e dei figli/e. Diventa dunque difficile per una donna cercare aiuto e sostegno in questa situazione. Non solo, in un regime di isolamento dettato dall’emergenza sanitaria, le madri faticano doppiamente a chieder aiuto. Infatti, è probabile che ritengano giustamente pericoloso esporrei/le figli/e se stesse al rischio di contagio scappando dalla propria abitazione, non avendo la certezza di sapere con chi andranno a vivere e dove”.
Non solo, “per ridurre al minimo l’esposizione al pericolo delle donne vittime di violenza che trovano il coraggio di denunciare il maltrattante – aggiungono da Trama – sollecitiamo un accordo tra le varie istituzioni e le forze dell’ordine affinché siano gli uomini ad essere allontanati (come l’applicazione della legge sul femminicidio consente nella parte in cui attribuisce alle forze dell’ordine il potere di procedere con il fermo, l’arresto o l’allontanamento urgente dall’abitazione familiare tutte le volte che si renda necessario). In questo modo sono le donne e i/le loro figli/e a rimanere nelle loro abitazioni al sicuro. Dopo questa emergenza, ci auguriamo che le istituzioni si rendano finalmente conto che in questo sistema di protezione sono le donne a pagare il prezzo maggiore della violenza, prima e dopo una denuncia per violenze. Di fatto allontanare una donna, unitamente ai suoi figli, dalla propria casa vuole dire punirla per aver chiesto aiuto”.
Il 7 marzo scorso, il giorno prima della giornata internazionale delle donne, alla vigilia del decreto che ha iniziato a fermare tutto il paese, proprio a Imola una donna è morta in circostanze ancora poco chiare. Se, come dicono molti esperti quella con il Covid-19 è “una guerra con nemico invisibile”, in questo caso conosciamo perfettamente il nostro nemico e come ripetono da tempo le femministe, l’assassino ha le chiavi di casa e in questa emergenza Covid-19 potrebbe chiudere ben stretta la serratura.
Barbara Bonomi Romagnoli, [http://www.barbararomagnoli.info/] è nata a Roma nel 1974, giornalista professionista dal 2004, apicoltrice [www.bioro.it] ed esperta di analisi sensoriale del miele; in attesa che l’Italia adegui la normativa sul cognome materno, ha deciso di usarli entrambi per la pubblicazione del suo primo libro “Irriverenti e libere. Femminismi nel nuovo millennio” (andato esaurito, si trova con stampa su richiesta o versione eBook) e di continuare a farlo ogni volta che è possibile, convinta che l’imposizione del solo cognome paterno sia un’altro modo di declinare il maschilismo delle nostre società. Nel frattempo ha scritto anche “Bee Happy. Storie di alveari, mieli e apiculture” [Derive Approdi, 2016].
Dal 2008 collabora con Iowa State University – College of Design, Rome Program e da maggio 2015 collabora con l’Osservatorio AiDS – Aids Diritti Salute, rete di 11 Ong italiane e internazionali impegnate nei temi della salute globale e nella lotta contro l’Aids e contro la povertà.
È laureata in filosofia con una tesi su “Louise du Neant: esperienza mistica e linguaggio del corpo”, da allora si interessa di studi di genere e femminismi, ha partecipato a seminari, incontri, workshop e convegni sulla storia e i movimenti politici delle donne in Italia e all’estero; fra le occasioni più recenti, è intervenuta al convegno internazionale “BASTA! Patterns of Protest in Modern Italy: History, Agents and Representation” promosso da Asmi – Association for the Study of Modern Italy presso University of London. Dal 2009 al 2012 ha collaborato con Editori Laterza. Dal 1999 al 2004 ha lavorato presso la rivista Carta; ha collaborato come freelance con varie testate [fra cui F, LetterateMagazine, Glamour, Giulia.Globalist.it, Marea e in passato con BCC Magazine, Liberazione, Peacereporter, Amisnet, Carta, Aprile, Nigrizia, Left, La nuova ecologia, Confronti, Cem mondialità, Noi donne, La27esima ora/Corriere della Sera ]; fra il 2002 e il 2005 è stata coordinatrice del progetto Radio Carta [magazine radiofonico settimanale distribuito a circa 25 radio su territorio nazionale] ed è stata docente per corsi di formazione, fra cui “Indipendent Radio and Media” presso Novi Sad (Serbia) nell’ambito del progetto Radio Radionica, promosso da Cie e Radio Popolare Network.
Ha lavorato come ufficio stampa per convegni ed eventi culturali (fra cui Eurovisioni 2007 e 2008, Parole per cambiare, parole per piacere – Fiera della piccola editoria, 2005) e presso Dipartimento Diritti e Pari Opportunità, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (2007-2008).
Ha vissuto due anni in Olanda a Leiden, dove ha imparato a convivere con il vento.
Ha fatto parte per diversi anni del collettivo A/matrix con cui ha condiviso la passione per la politica, il femminismo e la buona tavola. È socia Sil – Società delle letterate, ha fatto parte del Direttivo 2016/2017, e partecipa alle attività di Giulia – Rete nazionale delle giornaliste unite libere autonome.