image_pdfimage_print

Tra il 20 e il 21 maggio 1927 un figlio di immigrati svedesi, di nome Charles Lindeberg,  trasvola per la prima volta l’Oceano Atlantico partendo dai pressi di New York  e arriva in quelli di Parigi a bordo di un monoplano leggero chiamato Spirit of St. Louis.  In realtà già due aviatori inglesi erano riusciti nell’impresa, coprendo la distanza, più breve, tra Irlanda e Canada, ma l’America è in piena recessione, ha bisogno di miti, e il fatto di aver compiuto l’impresa in solitaria fa di Charles “the man of the year”.

In questo stesso anno si assisterà alla fine della produzione del modello T, o più semplicemente Lizzie, la prima auto creata in serie e con il nuovo sistema della catena di montaggio ideato da Henry Ford, il padre dell’auto Americana, che, dopo aver lavorato nella società elettrica del padre della lampadina Edison, si darà allo sviluppo del motore a combustione interna creato da Karl Benz in Germania. Per gli americani sarà l’Uomo del Secolo, accumulando una ricchezza che lo renderà uno dei nove uomini più ricchi di sempre.

Cosa unisce questi due uomini? Entrambi nati nell’area di Detroit,  rappresentano in pieno quella faccia oscura dell’America mai chiara,  tra libertà e schiavismo, tra dittatura e democrazia, tra diritti civili e segregazione razziale, tra padri fondatori, discendenti di lavoratori dal nord Europa in cerca di fortuna o figli di tratte senza dignità. Charles ed Henry fanno parte di quell’America che, finita la Grande Guerra, deciderà di sovvenzionare lo stato che la causò e contro il quale mandò i suoi soldati a combattere in Europa: la Germania. Quando la crisi del ’29 fa precipitare il dollaro, anche per la Germania si prospetta il baratro ma gli Americani riescono a darle l’ultima boccata di ossigeno nel 1931, quando gli viene assegnata l’organizzazione dei giochi olimpici del 1936. Nel 1933 in Germania si assiste alla scalata al potere di Adolf Hitler. Nuovo punto in comune: sia Charles sia Henry sono due aperti sostenitori del cancelliere tedesco; Charles non nasconde la sua ammirazione e la difesa delle posizioni nazionalsocialiste, Henry finanzia in prima persona il partito di Hitler, arrivando, a detta di molti, a donare tutti i proventi della filiale Ford in Germania al governo tedesco, nonché ispirando la fondazione da parte di Hitler della Volkswagen, l’auto del popolo, nel 1937.  Sia Charles sia Henry vedranno premiare la loro dedizione con due medaglie consegnate dal Fuhrer in persona: Croce dell’Aquila Tedesca il primo, Gran Croce del Supremo Ordine dell’Aquila Tedesca il secondo.  A questo punto sarebbe lecito indignarsi ed è proprio quando il dito punta contro lo Zio Sam, che la realtà si intorbidisce e lascia spazio al sogno e come un filo mosso da un ago inizia ad intrecciare  e a cucire pezzi impensabili da poter mettere insieme. 

Nella società dove per eccellenza aleggia il dubbio, in  questa storia nemmeno il nome è una certezza.

James Cleveland Owens nasce nel 1913, sarebbe il tredicesimo dei suoi fratelli, ma tre sono morti per parto, quindi risulterà il numero 10. Se si parlasse del calcio, la storia sarebbe già fatta, il numero del predestinato. James nasce e cresce nel pieno mondo del latifondo, i suoi genitori sono dei mezzadri, coltivano una terra per conto di un latifondista. La sua salute è più precaria che mai, a soli 5 anni contrae per ben due volte la polmonite. Queste sue disavventure portano la madre a comprendere che questo figlio sarà il più speciale, come spesso era solita  dire. Un giorno il piccolo James chiama la madre facendole notare un’escrescenza sul petto vicino al cuore. La madre comprendendone la natura tumorale, manda il padre a pregare nei campi mentre lei con un coltello da cucina opera di persona il figlio estirpandogli il male. Il figlio si dimostra in effetti subito speciale, pochi giorni dopo è già in piedi. I soldi non bastano mai, e in tutta l’America si sparge una voce, un grande imprenditore del nord cerca operai da inserire in una catena di montaggio umana, e che pagherà 5 dollari al di là del colore della pelle: è Henry Ford che a Detroit ha appena creato la prima auto di serie, Lizzie.  A 9 anni James Cleveland si trasferisce con tutta la famiglia a Cleveland! Qui inizia a frequentare le scuole elementari, portando con sé l’insegnamento principale che il padre gli aveva dato fin da bambino: quando incontri un bianco, stai sempre con la testa bassa e non guardarlo mai negli occhi. James è ossequioso nel rispettare questo comandamento, anche troppo, decidendo di non rispondere nemmeno alla maestra quando gli chiede il suo nome. Costretto dall’insegnante a pronunciare il suo nome, James con un filo di voce e con un accento da sudista proferisce le sue iniziali: J.C.  che alla maestra fanno intendere Jesse. Lui non risponde e da quel giorno, per tutti, diviene Jesse Owens. A 13 anni fa l’incontro della sua vita: coach Riley.

In America, l’educazione fisica è molto importante sin da bambini e quando si arriva alla prima stretta di mano, con Riley, non c’è bisogno di presentazioni, il coach fa capire che lo segue da tempo e sa perfettamente quale sia il suo nome, Jesse per la prima volta alza gli occhi davanti ad un bianco e sorride.  Riley lo mette alla prova su un vialone alla periferia di Cleveland insieme ad altri ragazzetti più grandi di lui. “100 yard, ragazzi, 100 yard, tutto qui”.

Pronti, ai posti… GO!

Sulla partenza c’è poco da insegnare, la testa bassa e china l’aveva appresa dal padre in Alabama, doveroso nello stato con il più alto numero di linciaggi sui neri e nessun processo.  Alzarla lentamente, davanti a Riley, lo aveva fatto per la prima volta e la cosa lasciava ben sperare, per il resto, le cinque fasi della corsa, come le marce di un’automobile, Lizzie.  Il cucciolo parte, crea il vuoto dietro di sé, taglia il traguardo, non si ferma, torna indietro dal Coach e chiede come sia andato.

Undici secondi netti. Il record del mondo all’epoca è di nove secondi e quattro centesimi.

Riley capisce che davanti a sé ha qualcosa di unico in natura. Un giorno va a prendere Jesse con il suo modello T, il suo, perché è senza marmitta. Un rombo assordante impedisce anche di parlare, come a dire, lascia stare la storia delle marce, l’auto è qualcosa di costruito non fa per te. Arrivano all’ippodromo dove in ossequioso silenzio il coach lo fa assistere a tutte le gare dei cavalli. In natura l’animale più di tutti predisposto alla corsa e forse l’animale che più di tutti ha cambiato la vita degli uomini.

Tre i punti su cui riflettere: il cavallo corre velocissimo; il cavallo pur sforzandosi alla morte non lo dà mai a vedere; il cavallo non si guarda mai intorno, corre solo verso il traguardo.

Jesse non dimenticherà mai questi tre insegnamenti.

Ma un atleta ha bisogno anche di figure di riferimento simili a lui, e coach Riley decide di regalare al suo protetto un incontro fondamentale: Charley Paddock, l’eroe delle Olimpiadi di Anversa del 1920, colui che, nel 1924, intreccerà la sua vita con quelle di Abrahams e Liddell, gli eroi di Momenti di Gloria, ma questa è un’altra storia.

Jesse passa all’Istituto Tecnico di Cleveland. Quando la notizia dell’iscrizione arriva al tecnico di atletica dell’Istituto, la chiamata a Riley non tarda ad arrivare. Owens è una promessa troppo importante e a Riley viene chiesto di continuare il suo lavoro con il ragazzo.

Le conferme non tardano ad arrivare e Jesse a soli 19 anni eguaglia il record del mondo di 10 secondi e 3 centesimi.

La notizia fa il giro del paese e tutte le università sono pronte ad accogliere la freccia nera. Proprio tutte no, ovviamente non quelle del sud, quel sud da dove la sua famiglia è scappata, dove la segregazione si protrarrà fino agli anni ‘60/’70 , o ‘71 come in Virginia quando un Coach di colore verrà chiamato ad allenare per la prima volta una squadra di football mista: i Titans, o per molti Il sapore della vittoriaUniti si vince, meraviglioso film del 2000; come in Texas quando coach Haskins vincerà il torneo NCAA del 1966 con un quintetto di soli neri, per molti Glory Road, meraviglioso film del 2006. Ma queste sono altre storie.

Jesse sceglie con il cuore l’Università dell’Ohio  perché l’allenatore dell’università Snyder è un caro amico di Riley ma soprattutto perché Jesse aspetta una figlia da colei che diverrà poi sua moglie: Minnie Ruth Solomon.

Coach Snyder è un allenatore di quelli che sono anni luce avanti, che ti fanno guardare l’America da un altro punto di vista, facendoti dimenticare tutte le cose inspiegabili di questo paese. Coach Snyder è un degno erede di quella generazione di professori di ginnastica che alla fine del secolo scorso hanno visto James Naismith nel 1891 e William Morgan nel 1895 coniare rispettivamente il Basketball e il Volleyball.

Coach Snyder intuisce che ad un talento nato con la testa bassa che ha imparato ad alzarla così velocemente, bisogna solo aiutarlo a gestire e controllare il tempo. Snyder è il primo a capire che il ritmo è alla base di ogni movimento e che è possibile riconoscerlo, gestirlo ed allenarlo. Si presenta a ogni allenamento con un grammofono e dice a Jesse di trovare una musica che gli piaccia, che lo esalti e che gli permetta di cantarsela in testa aiutandolo così a gestire il ritmo nella corsa.

Swing, swing, swing è quello che rimbomba nell’America del 1935, accompagnato dal ballo Lindy Hop, nome dato durante una maratona di ballo da Shorty George Snowden, che dedicò un passo caratterizzato da un grande balzo proprio a colui che in quel momento stava balzando dall’America all’Europa: Charles Lindbergh.

Ci siamo, la colonna sonora è pronta, il protagonista anche, manca il luogo dell’appuntamento per quel 25 maggio del 1935, che nel mondo dell’atletica si continua ancora oggi a chiamare il D-Day. 

Big Ten Meet di Ann Arbor nel Michigan. Giochi studenteschi e in pista gli atleti delle due università che da sempre nel campo del football hanno contrassegnato la più grande rivalità sportiva di tutti I tempi.

Se oggi vi chiedessi di pensare ai 45 minuti più importanti dello sport, credo che tutti andrebbero a cercare nelle imprese del calcio, a qualche rimonta clamorosa o a qualche goleada o al risultato più storico della propria squadra. Ma che nel calcio in 45 minuti si possa vincere un mondiale, una finale ci sta, nell’Atletica mai più nessuno oserà tanto. Il D-Day inizia alle ore 15:15, testa bassa per il ragazzo che viene dai campi dell’Alabama, ready? Go! La testa si alza allo sparo, 1-2-3-4-5 neanche Lizzie, taglio del traguardo… i cronometri dicono uno 9,3 e l’altro 9,4. Gli danno 9,4 record del mondo uguagliato. Chiunque si sarebbe alterato, ma lui no, non è questo che gli ha insegnato il padre. Torna in pedana per il salto in lungo, ma non può perdere tempo perché alle 15:35 ci sono i 200 yard. Un solo salto… swing swing e qui deve aver pensato al Lindy Hop, che in realtà si sarebbe trasformato nel Jesse Hop perché nessuno fino al 1960 avrebbe fatto meglio: 8 metri e 13, “antropologicamente impensabile per l’epoca”. Di corsa tanto per cambiare; 15:35 start per i 200 yard, ready? Go! 20,3 e terzo primato del mondo. Ore 16:00 tempo di mettere 10 ostacoli sulla pista e si parte per i 200 yard ostacoli. 22,6 e quarto record del mondo.

Il mito narra che Jesse fosse anche infortunato alla schiena e che prima della prima gara fosse stato anche vestito da un suo compagno. Finite le gare, Jesse saluta Snyder e se ne torna a casa dalla sua Ruth con coach Riley e il suo modello T, quello sempre senza marmitta, quello dal rumore assordante. Ma sulla strada di ritorno ancora un insegnamento dal suo Coach, la concentrazione. “Quella ti ha fatto vincere da infortunato, sapevi che non potevi sprecare tempo ed energie. Ricordatelo Jesse, ricordatelo sempre anche quando starai bene”.

Invitato ovunque per la sua fama, tra Hollywood, locali e Night Club, Jesse dimostra di non riuscire a gestire quell’ambiente, ma tra i tanti incontri uno avrebbe dovuto illuminarlo, quello con Jim Thorpe, il più grande atleta americano fino a quel momento, vincitore di due ori nel Pentathlon e nel Decathlon a Stoccolma nel 1912, vincitore di medaglie entrambe tolte, per volere dello stesso comitato olimpico Americano, con la scusa che Jim avesse giocato a Baseball da professionista. Le vere motivazioni di questa privazione, invece, vanno ricercate nelle sue origini amerinde, il suo vero nome Wa-Tho-Huk, “sentiero lucente” e in quelle di un paese che ancora non aveva fatto i conti con il razzismo. Jesse scoprirà ben presto quelle due facce dell’America mai definite, mai “chiare”.

Il 4 luglio del 1935, nel Nebraska sotto 40 gradi, davanti ad uno stato gremito Jesse Owens conosce una doppia sconfitta nei 100 metri e nel salto in lungo. Eulace Peacock stabilì il nuovo record dei 100, in 10”2, tempo che non fu mai omologato per la presenza di troppo vento. Tempo che poi anche Jesse otterrà nella sua carriera. Nelle gare successive Peacock batterà Jesse in ogni meeting fino all’aprile del 1936 dove un infortunio interromperà la sua carriera impedendogli di partire per Berlino 36 lasciando quindi a Jesse la possibilità di passare alla storia come il nero che umiliò il regime

Al ritorno da Berlino, acclamato dalla folla, a Jesse e sua moglie non fu dato alloggio in nessun albergo del centro, se non a patto di passare per la porta di servizio. Il presidente Roosevelt in piena campagna elettorale gli negò l’incontro alla Casa Bianca, perché temeva potesse compromettere i voti degli Stati del Sud.

La moglie di Lindbergh  scrisse il libro The Wave of the future considerato la bibbia di ogni nazista americano. Lui si oppose fino alla fine all’intervento americano in Europa considerandola una causa giudaica e non americana. Prima cacciato dall’aviazione americana fu richiamato per collaudare i bombardieri  Ford, quel Henry Ford finanziatore del regime tedesco. Entrambi collaborarono con l’America e parteciparono alla guerra nel Pacifico.  Alla fine risultarono eroi nazionali.

Wa-Tho-Huk finì in miseria, nel 1950 si curò un tumore alla bocca solo grazie alla beneficienza. Lo stesso anno veniva riconosciuto come il più grande atleta del secolo.  Nel 1951 un film sulla sua storia ne celebrò le gesta. Purtroppo per lui molti anni prima aveva ceduto i diritti e quindi non ne ricavò nulla.  Nel 1953 si spense dentro una roulotte in California.

Eulace Peacock dopo aver prestato servizio sulla guardia costiera americana durante la seconda guerra mondiale, aprì un negozio di alcolici e officiò molti meeting di atletica. La sua lapide oggi recita così:

L’umano più veloce del mondo.