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Koudelka’sInvasion 68 PragueOpens in Palermo, così titola Magnum Photos!

Centro Internazionale di Fotografia di Letizia Battaglia ©MjZ

La mostra, inaugurata il 27/10/2018, sarà visibile fino al 31/01/2019 al Centro Internazionale di Fotografia di Palermo diretto da Letizia Battaglia, presso il Padiglione 18 dei Cantieri Culturali della Zisa.

Noi di Diatomea non potevamo perdere questo evento, che fa parte del circuito “Palermo Capitale italiana della Cultura”, l’abbiamo goduto nel silenzio di un’assolata giornata feriale di novembre, con la sorpresa di incontrare proprio lei, Letizia Battaglia, che, molto gentilmente, ci ha anche concesso in esclusiva un piccolo “cameo” che siamo ben felici di condividere con voi!

Come spiega molto bene Irena Šorfova, in un pannello all’ingresso della impressionante mostra in esposizione, il giorno prima dell’invasione degli eserciti del patto di Varsavia in Cecoslovacchia, nell’agosto del 1968, il fotografo trentenne Josef Koudelka (oggi ottantenne), arrivò a Praga direttamente dalla Romania, dove, su invito dell’agenzia Magnum, stava documentando la vita degli zingari, tema sul quale lavorava intensamente già da qualche anno, dopo aver abbandonato la carriera di ingegnere aeronautico.

Racconta Koudelka: «Il telefono squilla alle quattro del mattino; rispondo; un’amica grida: “Sono arrivati i russi”. Penso ad uno scherzo e abbasso. Suona una seconda volta, non ci credo e riattacco di nuovo. Alla terza telefonata la voce urla: “Apri la finestra e ascolta”. Mi alzo, metto la testa fuori per due minuti e sento il rumore degli aerei militari. Capisco che sta succedendo qualcosa. Mi vesto in fretta, prendo la macchina fotografica e tutte le pellicole che mi sono rimaste, ero tornato il giorno prima dalla Romania dov’ero stato a fotografare gli zingari. Scendo in strada, comincia appena ad albeggiare, istintivamente mi dirigo verso la sede della radio, a meno di un quarto d’ora da casa. I russi erano andati alla radio anche nel 1945. Ma allora erano venuti per liberarci».

Nonostante non si fosse mai occupato di reportage, le sue immagini, scattate durante quei sette giorni drammatici di agosto, fanno parte oggi dei classici della fotografia di reportage del dopoguerra.

Grazie ad Anna Fárová, storica della fotografia, ed Eugen Ostroff, curatore del Smithsonian Institute, si riuscirono a far entrare negli Stati Uniti una selezione di queste fotografie. Ostroff mostrò gli scatti ad Elliott Erwitt, fotografo e allora presidente dell’agenzia Magnum Photos. Il reportage di Koudelka fu poi pubblicato dall’agenzia Magnum nel primo anniversario dell’invasione, su molte riviste internazionali, senza che fosse riportato il nome del fotografo. Nello sforzo di proteggere Koudelka e la sua famiglia, queste fotografie furono attribuite dall’agenzia a un “fotografo sconosciuto”. Nello stesso anno Koudelka ricevette un premio, quello dell’Overseas Press Club, che conferì al “fotografo ceco anonimo” la medaglia d’oro “Robert Capa”. Temendo che la paternità delle fotografie potesse essere scoperta facilmente dalla polizia cecoslovacca, Koudelka non tornò più a casa dal suo viaggio in Europa occidentale.

Nel 1984 tenne la sua prima grande mostra alla Hayward Gallery di Londra. In quel periodo, dopo la morte del padre, non sussistendo più alcun rischio per la sua famiglia, Koudelka, per la prima volta, ammise pubblicamente la paternità di queste foto, che furono esposte a Londra, nella Hayward Gallery e pubblicate successivamente anche dal Centre National de la Photographie di Parigi.

Solo nel 1990 queste foto furono pubblicate per la prima vola in Cecoslovacchia, dopo 22 anni, nel supplemento della rivista Respect.

L’invasione dell’agosto 1968 è stata documentata da molti fotografi cechi e stranieri. A nessuno di loro è riuscito però di catturare gli avvenimenti con tale intensità e completezza. In tutti i luoghi in cui qualcosa avvenne, Koudelka c’era.  Ceco di origine, francese naturalizzato, in una frase che forse riassume il senso di tutta la sua produzione fotografica, afferma che Pour essere photographe, il faut être nomade (“per essere fotografo, bisogna essere nomade”).  Koudelka abita il momento dello scatto, lo arreda dei sentimenti dei personaggi che inquadra, costruisce geografie emotive attraverso specifiche gerarchie compositive, le inquadrature diventano affreschi del tempo e dello spazio che vive, sia che descrivano i carri armati nelle strade, sia che riprendano la rabbia di tanti che cercano di fermare la violenza anche solo con il proprio corpo, il pianto o la disperazione.

Le sue immagini in bianco e nero, i cui soggetti sono spesso sfumati, travolti dagli eventi che li circondano, sono immagini che lasciano intuire la lucidità emotiva ma anche la grande umanità di Koudelka. Così racconta: “Mi sono trovato davanti a qualcosa più grande di me. Era una situazione straordinaria, in cui non c’era tempo di ragionare, ma quella era la mia vita, la mia storia, il mio Paese, il mio problema”.

Con gli occhi di chi era già esule nella propria patria Koudelka ha scritto una delle pagine più emozionanti della storia della fotografia. Ma questa condizione, per molti schiacciante e alienante, gli ha permesso di essere il fotografo meraviglioso che è, perché come lui stesso afferma, “l’esilio ti fa due regali: il primo è che ti costringe a costruirti una nuova vita e ti dà la possibilità di farlo in un ambiente nuovo dove nessuno ti conosce e ha pregiudizi su di te; il secondo è che, quando torni a vedere il tuo Paese, lo fai con occhi diversi. Nel 1991 a Praga è stato formidabile: ogni mattina mi svegliavo prestissimo e cominciavo a camminare per guardare più cose possibili. Quando vivi in un luogo a lungo, diventi cieco perché non osservi più nulla. Io viaggio per non diventare cieco».


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