Donna o madre? L’eterno dilemma. La fotografia di Olga Steinpreis

Donna o madre? L’eterno dilemma.
La fotografia di Olga Steinpreis

Woman or Mother? The Eternal Dilemma.
The Photography of Olga Steinpreis

Il portfolio fotografico di Olga Steinpreis di cui vi parlerò è presentato dalla Fiaf (Federazione italiana associazioni fotografiche). Olga è di origine russa e vive a Freigericht.

Le sue immagini mi hanno colpita per la nitida rappresentazione di una maternità al limite del conflittuale. Sono cauta nel definirla tale, nonostante sia palese il dissidio che si è creato tra la donna e la madre.

La maternità conflittuale è ben definita dalla psicologia e non è scopo di questo articolo indagare questo fenomeno da un punto di vista professionale. Limitiamoci a osservare.

Preferisco perciò mantenere un margine di dubbio, cioè che si tratti di un disagio transitorio destinato a risolversi nel tempo; non voglio trarre conclusioni affrettate. Purtroppo il tempo che ci è dato è quello che viviamo nel presente, pertanto il malessere di Olga è attuale ed è di scarsa consolazione immaginare che in un futuro non lontano potrebbe cessare, come le auguriamo, senza grandi turbamenti irrisolti.

Fotografie fredde, minimali, autoritratti che illustrano momenti della giornata di Olga alle prese con le incombenze relative all’accudimento dei figli e della casa. Fa da sfondo il sogno di una realtà nella quale la donna non è subalterna alla madre; l’atmosfera onirica è sottolineata dalle luci smorzate degli ambienti e dei luoghi.

Una storia vecchia come il mondo. Nelle immagini non è presente un’altra figura di accudimento, che sia il padre, i nonni o una tata, Olga è sola con il suo immaginario di donna defraudata del soddisfacimento dei propri desideri che esulano dalle necessità del quotidiano.

Ancora oggi si dibatte sul tema: “se non sei madre non sei una vera donna” e, quali che siano le motivazioni che hanno spinto l’autrice a mettere al mondo tre figli, temo che questo falso concetto usato come monito, si radichi nel suo pensiero come accade per molte altre donne.

Vi risparmio l’ovvio: se le donne fossero aiutate senza costi aggiuntivi per il bilancio familiare – poche si possono permettere un aiuto a pagamento – se il modello di famiglia non fosse esclusivamente un nucleo chiuso, se le politiche di welfare familiare godessero di maggiori investimenti, ecc., molte donne del mondo occidentale vivrebbero con maggiore serenità la maternità, senza essere costrette a conciliare la donna e la madre, vissute come realtà antitetiche.

Impressionante è l’immagine che ritrae Olga come un abito appeso alla gruccia nell’armadio, allo stesso tempo una chiusura e un’assenza, segno di scarsa considerazione per se stessa, o forse una provocazione, l’autrice vuole indicarci come la società la considera, un ruolo al servizio della comunità familiare.

Un altro capitolo è quello della cura di sé: nemmeno nella vasca da bagno la donna è sola a godersi un momento di relax: un figlioletto è insieme a lei rubandole uno spazio di meritato godimento.

Lascio ora parlare Olga, un cenno del suo vissuto:

“Sono in maternità da nove anni, sono mamma di tre figli. La mia routine quotidiana sembra infinita e mi assorbe. Sto cercando di essere una buona madre per i miei figli per non dire che mi sono seppellita in libri che trattano di psicologia infantile. A volte mi sento addirittura come se stessi avendo successo, ma la maggior parte delle volte mi sento sopraffatta dalle faccende quotidiane e i miei sforzi per diventare una versione migliore di me stessa sembrano inutili. No, dovrei togliermi dalla testa questa immagine della “madre perfetta”! Non voglio essere perfetta. Voglio vivere una vita in cui i miei sentimenti, interessi e obiettivi contano. E ad un certo punto, ho un sogno.”

I’ve had a dream è il titolo di questo lucido lavoro fotografico.

“ Sembra che se non scatto, quando i miei figli cresceranno e se ne andranno per vivere la loro vita, avrò una casa pulita e ordinata e il vuoto dentro”.

Questo vuoto dentro è il cuore del problema, la richiesta di aiuto di una madre, emblema di tutte le madri del mondo che rivendicano la propria esistenza di donne oltre la maternità, che non vogliono mettere in secondo piano il loro femminile, o essere considerate in subordine ai loro figli.

The photographic portfolio by Olga Steinpreis, which I will be discussing, is presented by the FIAF (Italian Federation of Photographic Associations). Olga is of Russian origins and lives in Freigericht.

Her images struck me with their clear depiction of motherhood bordering on conflict. I am cautious about defining it as such, even though the disharmony between womanhood and motherhood is evident.

Conflictual motherhood is well-defined in psychology, and it is not the purpose of this article to delve into this phenomenon professionally. Let’s just observe.

I prefer to maintain a margin of doubt, meaning that it may be a transient discomfort destined to resolve itself over time; I do not wish to jump to hasty conclusions. Unfortunately, the time we have is the one we live in the present, so Olga’s distress is current, and it is of little consolation to imagine that it might cease in the not-so-distant future, as we hope, without significant unresolved turmoil.

Cold, minimalist, self-portraits illustrate moments of Olga’s day as she deals with the responsibilities of caring for her children and her home. The dream of a reality in which women are not subordinate to mothers serves as the backdrop; the dreamy atmosphere is emphasized by the soft lighting of the surroundings and places.

A story as old as time itself. There is no other caregiving figure present in the images, whether it be the father, grandparents, or a nanny. Olga is alone with her imagination of a woman deprived of the fulfillment of her desires beyond the daily necessities.

Today, the debate still argues on the theme: “if you’re not a mother, you’re not a real woman,” and whatever motivations led Olga to bring three children into the world, I fear that this false concept used as a warning will take root in her thinking, as it does for many other women.

I do not want to state  the obvious: if women were helped without additional costs to the family budget – few can afford paid help – if the family model were not exclusively a closed unit, if family welfare policies received greater investments, etc., many women in the Western world would experience motherhood with greater serenity, without being forced to reconcile womanhood and motherhood, seen as antithetical realities.

Impressive is the image that shows Olga as a dress hanging in the closet, simultaneously a closure and an absence, a sign of little regard for herself, or perhaps a provocation; the author wants to show us how society views her, as a role in service to the family community.

Another chapter is that of self-care: not even in the bathtub is the woman alone to enjoy a moment of recreation; a child is with her, stealing a space of well-deserved enjoyment.

I will now let Olga speak, a glimpse of her experience:

“I’ve been in motherhood for nine years, I’m a mother of three children. My daily routine seems endless and consumes me. I’m trying to be a good mother to my children, not to mention that I’ve red a lot of books about child psychology. Sometimes, I even feel like I’m succeeding, but most of the time, I feel overwhelmed by daily chores, and my efforts to become a better version of myself seem to fail. No, I should get this image of the ‘perfect mother’ out of my head! I don’t want to be perfect. I want to live a life where my feelings, interests, and goals matter. And at some point, I have a dream.”

“I’ve had a dream” is the title of this powerful photographic work.

“It seems that if I don’t capture moments, when my children grow up and move on to live their own lives, I will have a clean and tidy house and an emptiness inside.”

This emptiness inside is the heart of the problem, a mother’s plea for help, emblematic of all the mothers in the world who assert their existence as women beyond motherhood, who do not want to forget their femininity or be considered subordinate to their children.





Le donne hanno un posto per tutto

Mi sono avvicinata alla lettura di questo volume con prudenza e un po’ di sospetto, lo ammetto. Il tema della maternità è scivoloso e anche un po’ di moda, in un paese in cui si chiede alla maggioranza delle donne di essere buone madri e buone mogli e dove le aspettative sociali rispondono a modelli precostituiti che riducono la scelta [o l’impossibilità] di non riprodurre la specie a velleitari egoismi o commiserevoli imperfezioni. Con in sottofondo il solito paradossale leitmotiv: da una parte la santa mamma italiana che tutto vede e provvede, dall’altro politiche che negano diritti e possibilità alle eventuali future madri.

Da questa premessa e per di più essendo una ‘senza figli’, la lettura di Madri comunque di Serena Marchi si è rivelata invece una piacevolissima sorpresa, per lo stile asciutto mai enfatico, perché la carrellata di ritratti è davvero rappresentativa delle differenze e perché, come afferma Pedro Almódovar in epigrafe: “le donne sanno nascondere un cadavere e affettare i peperoni: hanno un posto per tutto”.

Hai scritto un libro senza filtro, parlano le protagoniste, almeno così sembra a chi legge. Mi racconti meglio come hai raccolto queste storie?

«Le storie le ho raccolte in 4 anni, partendo prima da quelle più “facili” da trovare come la mamma adottiva e la mamma di figli in affido per poi andare, via via, a cercare le maternità meno comuni, quelle più in ombra, quelle che la società lascia in disparte perché sono scomode. Vedi la mamma lesbica, la figlicida (sono entrata nel carcere giudiziario di Castiglione delle Stiviere, dopo un anno di attesa del permesso) ma ancora di più la donna che affitta l’utero e la coppia che ricorre alla surrogazione. Per questo, ho preso il volo e sono andata a Kiev, lo scorso ottobre, dove son rimasta tre giorni e ho parlato sia con la portatrice sia con la coppia. La scelta della prima persona è per dare voce al massimo solo alla protagonista. E questo crea più intimità tra chi racconta e chi legge».

In che modo hai condotto le interviste? Hai mai pensato ad aggiungere un commento, a entrare nelle altre storie e dire la tua?

«Il novanta per cento delle mie interviste è stata fatta di persona. Ho incontrato di persona tutte le protagoniste e ho iniziato con il farmi raccontare chi sono, la loro vita, le loro storie e poi la loro maternità. Sempre una lunga chiacchierata dove le domande mi venivano via via che si parlava. No, non mi è mai venuto in mente di entrare nelle storie e di dire la mia. Ho scritto questo libro per cercare il più possibile di far capire al lettore che le scelte non vanno giudicate, sia di maternità sia di non maternità. Entrare e commentare sarebbe stato tradire l’intento del mio libro. Credo che nessuno possa mai giudicare le scelte di una persona, figuriamoci se io mi sarei permessa. Non condivido e non sono d’accordo con tutte le mie protagoniste, ma credo sia giusto che abbiano voce. Mia è solo l’introduzione. Poi presto la mia penna e lascio la parole alle trenta storie».

Madri comunque”, anche chi per chi non è madre: non pensi che questo non faccia che rinforzare stereotipi e modelli che vogliono le donne sempre e solo come madri? Non si può essere donne e basta?

«No, al contrario, credo che serva per far capire ai benpensanti, a chi ragiona per stereotipi, a chi sa sempre ciò che è giusto e ciò che non lo è, che una donna non deve essere per forza madre. La negazione della maternità non deve essere tabù. Prima che madri, siamo donne, persone, tanto quanto gli uomini. Purtroppo la società questo non lo valuta. Credo che si possa essere donne e basta e non credo che la maternità ti faccia più donna, più completa. Ci sono donne complete anche senza essere madri. Ma questa è solo la mia opinione…»

Sei stata coraggiosa, hai affrontato un tema scomodo da qualunque punto di vista lo si prenda. Quali le critiche maggiori che hai ricevuto?

«Le critiche maggiori mi sono arrivate per la scelta di parlare solo delle madri, solo delle protagoniste, senza aver mai preso in considerazione i figli e le ricadute delle scelte di queste madri sui figli. Ho fatto una scelta ben precisa: dedicarmi solo ed esclusivamente alle donne. Dei figli, in questo libro, non mi importa. Viviamo in una società ‘figliocentrica’, in cui tutto ruota principalmente attorno ai figli. Sui figli ci sono milioni di libri, sulle madri pochissimi. Per una volta, volevo che il focus, la luce, l’attenzione fosse solo loro».

già pubblicato su LM – Letterate Magazine


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