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Visso (MC)© MjZ

Ormai è il mio cuore che comanda. Dopo un bel po’ di anni di dibattimenti interiori in cui pancia e testa hanno spadroneggiato, è il suo turno.

Arriva prima di me, con quella manciata di secondi di anticipo che mi costringe a fermarmi e ad ascoltare.

Mi hanno lasciata eccezionalmente da sola.

Da che vedo peggio, gli amici attenti mi tengono d’occhio e non vogliono che mi allontani, sanno che rischio.

La mia amica è dovuta andare a parlare con un tecnico del Comune per delle carte che riguardano la sua casa demolita.

In piedi, davanti alla vecchia piscina che è diventata sede degli uffici comunali, mi accerto che non ci siano ostacoli particolari e inizio a camminare.

Voglio raggiungere le SAE.

Ora che sono state quasi tutte consegnate, devo fotografarle, per sostituire, come promesso, l’immagine delle roulotte degli “Irriducibili” che, da novembre 2016, sta sulla copertina del mio profilo Facebook.

Immagine tratta dal profilo Fb di Gloria Franco

La giornata è luminosa, perfino troppo. Misuro ogni passo, nella borsa ho il bastone, ma non lo voglio usare, mi piace la sensazione di libertà che mi dà il camminare, sia pur con prudenza, in un posto che conosco tanto bene.

Vado avanti, ed è allora che lo sento: batte forte, in modo scomposto, palpita, mi accorcia il respiro……d’accordo, ascolto.

Mi raggiunge subito la voce del fiume, vicinissimo e qualcosa si scioglie dentro di me al punto da inumidirmi gli occhi.

Mi chiedo se sia sempre stata così forte…ma come no!

Non c’è un posto nel paese, e per chilometri tutto intorno, in cui non si senta l’acqua scorrere e anche se non si sente, si sa che c’è.

Incrocio un uomo anziano, non lo riconosco, ma gli sorrido, penso che lui c’è nato con la voce del fiume nelle orecchie, chissà se si è accorto che a un certo punto è cessata, chissà se l’ha sentita forte come la sento io, quando è tornato a riascoltarla dopo più di un anno.

Io, incredibilmente, scopro solo ora quanto questa voce faccia parte della mia vita e soprattutto quanto mi manchi.

Visso (MC) © MjZ

Le SAE, un po’ inerpicate su un terrapieno ai piedi della montagna, s’impongono alla vista, perfino alla mia. Casette tutte uguali, schierate ordinatamente, con timidi sforzi di personalizzazione: vasi di fiori, qualche aiuola, una tendina, nel corridoio centrale una bicicletta da bimbo, un camioncino, ma non c’è nessuno. Sono le 11 di un sabato della stagione più bella dell’anno e non c’è nessuno.

Ci cammino a fianco finché non finiscono, poi, in cima alla salita, mi fermo e mi giro.

In mezzo al verde prepotente e ignaro, in lontananza, riesco a vedere il campanile della Collegiata e le fedelissime torri, in piedi.

Tutto sembra come sempre, al mio sguardo parziale.

Mi raggiunge una delicata brezza che mi invita a respirare più a fondo e, con l’aria leggera che fa spazio al mio cuore, arriva il profumo dei tigli in fiore, quel profumo famigliare e atteso che da bambina mi dava il benvenuto ai primi di giugno, finite le scuole, in questo luogo tanto amato, carico di promesse.

Ferma, a fianco alle SAE, respiro.

Respiro il verde della vegetazione, i profili delle montagne, il campanile, le torri, la voce del fiume, gli uccelli che cantano, il profumo dei tigli e della mortella, l’umido della terra lambita dall’acqua…

Respiro come se bevessi, con l’intenzione di nutrirmi, e mi sciolgo in lacrime.

Piango e ascolto.

Il mio cuore ora batte regolarmente, nella gabbia toracica, allargata dal respiro, possono circolare liberamente la nostalgia, il dolore, la gioia, i ricordi, le speranze e perfino la paura e la rabbia.

Visso (MC) © MjZ

Anche questa volta non vedrò la mia casa, ferita, tenuta insieme da pesanti impalcature con la speranza di poterla curare, un giorno, forse.

Torno dalla mia amica, spero che abbia avuto fortuna con le carte che le servono.

E continuo a respirare senza mai smettere di ascoltare.

Non conosco altra cura per questo dolore, profondissimo e indicibile, che accoglierlo e viverlo.

Tra poco incontrerò gli amici di una vita, ci siamo dati appuntamento oggi, tutti insieme, per ritrovarci. Tra noi c’è qualcuno che, dopo la botta grossa di ottobre di due anni fa, non ha ancora avuto il coraggio di venire a guardare, così da vicino, la devastazione e il dolore.

Insieme saluteremo la gente di sempre, le persone che da due anni lottano per restare e per tornare ad una vita possibile.

Ci abbracceremo, ci sorrideremo, cercheremo, come al solito senza grandi risultati, le parole per dire quanto è incredibile ciò che sta accadendo; qualcuno racconterà per l’ennesima volta quella notte; sentiremo parole di rassegnazione, di rabbia, o nessuna parola e tutti ci guarderemo con quello sguardo nuovo, a volte profondo, a volte fugace, che il terremoto ci ha dato.

Uno sguardo che dice: “lo so che stai soffrendo, anche se non posso capire il tuo dolore così come tu non puoi capire il mio.”

E’ incredibile quanto ci si possa sentire soli quando si è in così tanti a soffrire di dolori comuni e allo stesso tempo personalissimi e indicibili.

Soli, ma accomunati dalla stessa condizione di esseri umani.


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