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Columbus Monument – Barcelona

Il 12 novembre 1492 si dice che sia il giorno riconosciuto come la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, o meglio, il giorno in cui approdando su un isola dei Caraibi il navigatore Colombo dimostrò che la terra non fosse piatta.

Molti si soffermarono sul fatto che Colombo, in realtà, non scoprì l’America ma vi sbatté contro, nella convinzione di trovare una nuova via per le Indie che evitasse la famosa “via della seta”, oramai quasi completamente in mano all’impero ottomano, diventata estremamente pericolosa ed economicamente tempestata di dazi.

Così l’America prese il nome di colui che, per primo, intuì l’esistenza di un nuovo continente, il sempre italiano Amerigo Vespucci, anche se altri ipotizzano che la scelta del nome fu presa dal famoso Amerik, lord gallese che finanziò la traversata di un altro navigatore, Caboto.

In tutti questi casi, comunque, prese il sopravvento la parola “scoperta”: la scoperta di chi riconobbe un nuovo territorio e lo consegnò al mondo come tale. Già, perché ad essere chiari, quei territori erano stati già battuti dai vichinghi, dai baschi, dai danesi e alcuni di questi avevano anche costruito capanne e piccoli centri abitati, ma sembravano ignari del reale luogo in cui si trovassero. Anche perché a guardar bene i tratti degli indigeni, quei luoghi non erano disabitati, ergo, scoperti e colonizzati lo erano stati già, ed è molto più plausibile pensare che la razza mongola avesse chissà in che tempi attraversato lo stretto di Bering e si fosse trasferita in parte in quelle terre. Il concetto di “scoperta” , quindi, dovrebbe essere limitatamente inteso nel momento in cui il vecchio mondo prese atto di non essere il solo a popolare la terra.

Credo che la figura di Colombo debba essere arricchita, non solo come grande Navigatore, scopritore od altro, ma soprattutto come visionario. Ogni impresa nasce da una visione, in questo caso una visione nata probabilmente davanti al mare, magari proprio mentre leggeva il meraviglioso libro “Il Milione”, certo mezzo di ispirazione verso quel mondo orientale che conquistò la sue fantasie all’istante.

Ognuno di noi credo abbia avuto il piacere di sedersi su una riva a fissare l’orizzonte; il mare ha sempre rappresentato quel senso di libertà, quel suo senso di infinito che poi infinito non è, ma alla mente umana quella linea curva d’orizzonte è sempre stata metafora di riflessioni, sulla piccolezza o sulla grandezza dell’uomo;  quel rumore di risacca, così simile ai nostri respiri che tutto assopisce ci rigetta con forza verso quell’ambiente naturale che diede inizio alla vita stessa.

È tutto vero, il mare è anche questo, ma in Colombo quella linea creò quell’idea malsana che la terra non fosse piatta, o meglio, lo convinse che quelle stravaganti idee in campo scientifico, che aleggiavano nel primo Rinascimento, non fossero così eretiche,  creò quella curiosità di cosa ci fosse al di là della terra dove ancoravano le certezze e le vite di tutti. Sfidò la religione, le credenze dell’epoca, ma per farlo sapeva che non poteva essere solo.

Così forse “inventò” la storia delle Indie, convinse i ricchi di poterlo diventare ancora di più, promise oro agli spagnoli, ai portoghesi, ai Medici di Firenze ed ebbe in cambio tre imbarcazioni di dubbia tecnologica fattezza e un equipaggio di poco di buono, di scarti della società, di galeotti sottratti alla forca, che si portò nel cuore fino a quando, per la popolazione del nuovo mondo, propose l’indulto nel vecchio mondo; insomma, un manipolo di uomini che non avevano nulla da perdere, per i quali quell’impresa poteva solo essere un’alternativa alla prigione.

Fu Colombo che li convinse ad andare avanti, davanti alle tempeste, alla fame, al sole cocente; la leggenda narra che proprio mentre la ciurma si votava all’ammutinamento, Colombo fu salvato da quel grido, “Terra”!,  circa 526 anni fa. Non erano le Indie, ma un paradiso terrestre degli odierni Caraibi, quella che lui definì l’isola più bella del mondo, frase quasi anacronistica per chi, proprio in quel momento, attestava con ignara ragione che il mondo non fosse conosciuto affatto nella sua interezza, da colui che più di ogni altro si convinse di essere arrivato sulle coste del Giappone, idea tratta da un errato calcolo della sfericità della Terra e dell’assurda convinzione che le coste del Giappone fossero così vicine all’Europa, ma soprattutto da colui che confuse l’indigena parola Cibao, con quella di Cibango, medioevale termine con cui si era soliti chiamare la terra del Sol Levante.

Le tre navi di Colombo  https://www.tuttoamerica.it

Il fatto è tutto qui, in queste poche righe si cela l’arcano; forse a dare il nome al nuovo continente furono i soldi di Amerik, fu il nome di Amerigo Vespucci che fornì dettagliati particolari della nuova terra, ma ciò che dovrebbe restare nelle menti degli uomini è la potenza delle visioni di Colombo, la sua ferrea convinzione che non potesse finire lì, che dovesse esserci qualcosa al di là dell’orizzonte; quella visione rappresentava la volontà di salpare davanti alle difficoltà e ad affrontare quel viaggio che sembrava un suicidio, che malgrado mesi di onde e di tempeste, restò lì anche quando tutto sembrava perduto.

Andare avanti, navigare mentre tutti chiedevano di fermarsi, mentre tutti chiedevano di tornare indietro per porre fine a quella follia. La sua visione lo tenne lì, fermo davanti a quella linea d’orizzonte;  nulla lo scostò dall’idea di portare a termine ciò che aveva iniziato.

Sarebbe troppo facile affermare che ognuno debba sentirsi un Colombo, crearsi una visione di ciò che vorrebbe essere, di cosa vorrebbe trovare dall’altra parte dell’orizzonte, e limitarsi a pensare  che non saranno le tempeste o le paure a fermare il Colombo che è in noi, per quanto quella visione possa essere chiara, limpida e più forte di ogni cosa che vorrà impedire di farci sentire quella voce:  “terra”! L’America esiste, esisteva già, come esistevano gli oceani, le tempeste, come esistevano le navi, il vento e le vele, come esistevano le stelle.

Allora si potrebbe dire che in realtà non  sempre bisogna scoprire  qualcosa, ma ricordare che un viaggio  è una visione dove è necessario mantenere saldo il timone verso una meta, fino a scorgerne  il profilo, sempre più nitido, fino a vederne chiaramente le fattezze, una riva, gli alberi, i colori,  fino a toccarla con le proprie mani e farla parte di sé. È tutto qui, non esistono mezzi navigatori, non esistono mezze rotte,  l’oceano è questo: o si arriva o si finisce in fondo al mare, o si arriva o si leggono i libri di avventura, o si arriva o aspetti qualche cartolina con scritto “saluti da….”.

Colombo non sarebbe potuto tornare indietro, perché quella domanda non lo avrebbe mai lasciato vivere in pace: “cosa c’è  dietro l’orizzonte”? Colombo arrivò, perché la sua visione era chiara, forte e nitida, lui la terra ce l’ha sempre avuta davanti agli occhi. Partì solo per dire al mondo che la sua visione era reale, che chi credeva ad un mondo piatto, si sbagliava.

Colombo non fu un eroe, Colombo fu un realista, perché pretese l’Impossibile, e proprio mentre la geografia rendeva palesi i suoi errori di calcolo e le sue mancanze sulla conoscenza della fisionomia terrestre, la Storia gli diede ragione.


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