Sushi, non chiamatelo solo un piatto!

Quanti di noi, quando sentono la parola sushi, pensano al piatto tipico della cultura giapponese? Ebbene, quanto sto per “rivelarvi” sarà di certo una sorpresa!

Il sushi non è nato in Giappone, per quanto una volta giunto lì gli eventi storici abbiano generato modifiche importanti a questo “piatto”, adeguandolo sempre di più ai gusti di chi lo consumava e portandolo ad essere come oggi lo conosciamo.

Altro mito da sfatare è quello che riguarda il suo nome: sushi, in realtà, non significa affatto pesce crudo, come molti credono in modo erroneo (quello è il “sashimi”), bensì “dal sapore acido”! Il motivo risiede nelle origini di quello che, nel IV secolo, venne importato in Giappone dalla Cina e dalla Corea come metodo di conservazione: il pesce, eviscerato e salato, veniva posto nel riso cotto e pressato. La fermentazione del riso creava così un ambiente acido (da cui appunto deriva il nome sushi) in cui il pesce poteva essere conservato per mesi, stoccato e trasportato con facilità; al momento della consumazione del pesce, il riso veniva originariamente eliminato; fu proprio relativa al riso la prima modifica apportata dai giapponesi alla tecnica originale giunta da Cina e Corea: i giapponesi preferivano consumare il pesce con il riso, e, così, nel periodo Muromachi (1336-1573) si giunse al namanare. Ebbe così inizio un processo di mutamento di quello che era nato come un semplice metodo di conservazione del pesce ma che stava invece diventando un piatto sempre più apprezzato nel paese del Sol Levante. Il sapore acidulo del riso, consumato assieme al pesce, divenne sempre più gradito, tanto che i giapponesi iniziarono ad abbreviare i tempi di attesa sostituendo la fermentazione del riso con l’aggiunta di aceto dopo la bollitura.

Immagine tratta da http://www.sushiloversclub.it/wp-content/uploads/2016/03/famous-places-in-edo-e1458075316633.jpg

Nacque così nel periodo Edo (1603-1867) l’haya-zushi (non si tratta di un refuso: quando viene usato come sostantivo, la parola sushi diventa zushi) , letteralmente “sushi veloce” nel quale al riso e al pesce venivano aggiunte verdure e uova.

Per giungere a quello che è paragonabile al sushi moderno bisognerà attendere il 1800, quando il sushi iniziò ad essere venduto sulle bancarelle di Tokyo, con l’aggiunta del celeberrimo wasabi (altra nota di colore: il wasabi veniva generalmente usato non come condimento, ma per coprire il sapore non proprio piacevole del pesce poco fresco!). In assenza dei moderni metodi di promozione dei ristoranti, unico indice di qualità e bontà del sushi servito sui banchi era, udite udite, il grado di pulizia della tenda bianca della bancarella stessa; il motivo? Una tenda più “sporca” indicava il passaggio di un maggior numero di avventori, e quindi un prodotto di migliore qualità!

Immagine tratta da https://us.jnto.go.jp/blog/wp-content/uploads/2012/10/news04.jpg

Fu solo dopo la seconda guerra mondiale che il sushi iniziò a lasciare le bancarelle divenendo dapprima un piatto di lusso, per poi tornare, grazie all’invenzione del kaiten-zushi da parte di Shiraishi (sistema “rubato” da lui stesso durante una visita al birrificio Asahi) ad essere un piatto accessibile a tutti: si tratta del famoso nastro girevole intorno al quale siedono gli avventori, liberi di prendere le proprie consumazioni da soli; in questo modo vennero ridotti i costi per gli addetti al servizio, e, di conseguenza, i prezzi del sushi stesso per i consumatori!

È poi negli anni ’80, con il boom economico e l’inizio della diffusione della cultura giapponese in Occidente, che il sushi viene conosciuto a livello mondiale, grazie ai sushi bar e ai ristoranti negli Stati Uniti, in Europa e nel resto del mondo.

Quella del sushi è una vera e propria arte in cui ogni dettaglio è studiato per esaltare sapori, ingredienti, combinazioni, al massimo delle possibilità. È un’arte studiata per essere gustata prima con gli occhi, e poi con il gusto, e, come tale, porta con sé delle regole. Anzi, un vero e proprio galateo per gustare il sushi. Ad esempio il galateo del sushi prevede che vengano utilizzate le bacchette per prendere il boccone intero, senza dividerlo o infilzarlo; in caso di difficoltà nell’uso delle bacchette è ampiamente concesso l’uso delle mani per mangiare.

Immagine tratta da https://media-cdn.tripadvisor.com/media/photo-s/09/ba/d6/94/85-fazio.jpg

Mettendo un po’ di voglia a chi sta leggendo di assaggiare (o provare per la prima volta) un po’ di sushi, illustriamo qualche tipo di preparazione: una di queste è il nigiri-zushi, cioè la preparazione fatta con il riso pressato, il wasabi e una fettina di pesce crudo, che può prevedere tonno (maguro), gamberi (ebi), capasanta (motategai) ed altri tipi di pesce; altra preparazione è quella chiamata maki-zushi o nori maki-zushi in cui il rotolo di riso è avvolto in un pezzo di alga con l’aggiunta di uno (hosomaki) o più ingredienti (futomaki). L’alga può essere inserita all’interno del rotolo (uromaki), lasciando il riso all’esterno; inoltre l’alga può contenere, al suo interno, riso ed altri ingredienti formando un cono da mangiare a morsi (temaki).

Immagine tratta da http://www.passionegourmet.it/wp-content/uploads/2013/10/JIR32ROB.jpg

Esempio vivente di come l’arte millenaria del sushi sia molto più che una semplice preparazione gastronomica, è rappresentata da Jiro Ono, anziano shokunin giapponese specializzato nel sushi. Ha ricevuto nel 2008 3 stelle Michelin, divenendo il cuoco più anziano insignito di tale onorificenza.

Se questo articolo ha catturato la vostra attenzione il mio invito più grande è quello di andare ad approfondire la storia di Jiro e del suo Sukiyabashi nel tentativo di comprendere quello che è da sempre il suo personalissimo mantra, che lo ha portato, e potrebbe verosimilmente farlo con ognuno di noi, a vette e traguardi altissimi:

Dovete innamorarvi del vostro lavoro”.

Al prossimo articolo!

Konnichiwa!!


Tutte le immagini contenute in questo articolo sono state prese dai link segnalati o per gentile concessione dell’autore