“Por una cabeza”. Io e il Tango.

La fascinazione, l’innamoramento arrivò una sera, davanti al grande schermo, con la scena di tango del film “Scent of a woman” (1992) con Al Pacino.

Frank (Al Pacino), tenente colonnello in pensione non vedente, e Charlie, che gli fa compagnia per pagarsi gli studi, nella sala da pranzo del Waldorf Astoria di New York, incontrano la bella e giovane Dana. Frank la invita a ballare un tango e le spiega: “non c’è possibilità di errore nel tango, non è come la vita: è più semplice. Per questo il tango è così bello: commetti uno sbaglio ma non è irreparabile, seguiti a ballare”.
Il tango che ballano è una canzone di Carlos Gardel del 1935 “Por una cabeza” (Per un colpo di testa) che paragona la corsa di un cavallo alla corsa della vita e all’amore per una donna:

Por una cabeza (por una cabeza) 
Si ella me olvida (si ella me olvida)
Qué importa perderme
Mil veces la vida ¿Para qué vivir
? ”.

Uno dei temi ricorrenti del tango cantato è l’amore, spesso l’amore perduto e quindi la sofferenza, il tradimento, la vendetta, la disperazione; c’è poco da ridere, ogni felicità nei versi del tango è effimera, illusoria, per fortuna quando si balla si segue la musica e non le parole dei versi.

Dana balla con Frank,  ignorando la sua menomazione, si lascia andare senza sottomissione o subordinazione, si lascia portare, accetta la guida di un cieco che sa ballare il tango  ed ha consapevolezza del proprio corpo e del proprio equilibrio; Dana si consegna alla passione del ballo che non conosce,  ma che grazie alla sua sensibilità può seguire e apprezzare senza paura di sbagliare. Una grande scena, ne cullai il ricordo della magia per un po’ di anni, prima di cimentarmi con questo ballo miracoloso, il tango, l’arte del comunicare.

Iniziare a ballare il tango non fu cosa facile, un percorso impegnativo fatto di lezioni e pratica. Appresi subito che per imparare era necessario provare i passi, andando a ballare nelle milonghe (luoghi dove si balla il tango).

Acquistai via web direttamente da Buenos Aires, (la patria del tango, anche se le origini sono da attribuire ad una regione più ampia, quella del Rio della Plata, che si estende tra Buenos Aires e Montevideo) anche un bellissimo paio di scarpe rosse e nere, con tacco alto  10 cm che tanto aiutava la mia postura ed eleganza; diventò presto facile stare su quei tacchi, insomma un miracolo. Arrivai negli anni a consumarne ben tre paia, tanto era il fervore che muoveva i miei piedi, facevo tardi, sacrificavo il sonno, ma poco importava, ballavo il tango, ballavo tanto, vivevo, fiducia e autostima raggiunsero le stelle. Mi forzai a star seduta dritta a testa alta e gambe accavallate, in atteggiamento fiero e deciso, era d’obbligo affinché arrivasse un invito, qualche volta era necessario anche un gioco di sguardi (mirada). Beh un ballo impegnativo anche emotivamente, metteva a nudo la tanto odiata timidezza, era importante lasciarsi andare per riuscire a vivere la magia di quella scena memorabile, di quella danza sofisticata e solo apparentemente naturale. Però di facile, di congeniale, c’era che durante il ballo non si parlava, sarebbe stato un sacrilegio, quindi spesso era la scusa che mi evitava di cercare parole che non sarebbero mai arrivate, tale era l’imbarazzo per aver ballato stretta, guancia a guancia  e con trasporto, senza sapere neppure il nome dello sconosciuto di turno, di cui però, grazie al ballo, avevo conosciuto il temperamento e l’essenza. Nel tango ci si abbraccia con lo scopo di ballare: l’abbraccio è ciò che rende possibile i movimenti dei piedi. La donna passa il braccio sinistro intorno al collo dell’uomo, abbraccio chiuso (apilado) oppure aperto intorno alle spalle, l’uomo passa il braccio destro intorno al busto della donna, non c’è forza nelle braccia, non c’è sforzo. Il braccio sinistro dell’uomo è aperto all’altezza delle spalle e contiene e non stringe la mano della donna. L’abbraccio è l’essenza del tango, il fulcro di una comunicazione non verbale, a volte fluida, a volte spigolosa e incomprensibile. Mi capitò spesso di dovermi disimpegnare con abilità circensi  da abbracci asfissianti, languidi o da compagni sordi perché fuori tempo. Ballavo, ballavo tanto nella ricerca dell’abbraccio perfetto, dell’intesa perfetta.

 
Immagini tratte dal web

E come cantava Paolo Conte:

Ho ballato un po’ con tutti lo sai
gente nuova gente vecchia lo sai,
Smoothie smoothie”.

E sì, ho ballato con tutti, alti, bassi, magri, grassi, sudati,  anche un uomo senza un braccio. Il tango non è una magia per pochi eletti, si entra in contatto con la propria fisicità  attraverso quella degli altri.

Ballare sulle note struggenti del bandoneón, strumento caratterizzante, dal timbro rauco e lamentoso, e riconoscere i musicisti famosi (Pugliese, Di Sarli, De Caro, D’Arienzo) dallo stile di esecuzione delle loro orchestre era diventato facile.

Questa musica/ballo caratterizzò almeno un lustro della mia vita, poi vicissitudini più o meno tristi ma non gravi,  misero Baby in un angolo, “The time of my life

Il tango era stato per me, per citare ancora  Paolo Conte:

Una danza vertigine, un ballo frin frun
Che toglie le scarpe e le calze alle femmine…”


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