Io la vedo quasi tutti i giorni la Signorina.
Arriva la mattina presto, nel momento in cui comincio a spolverare l’ufficio del direttore. Mi piace ascoltarne i passi che fanno eco lungo il corridoio del piano e che la portano in una delle tante stanze, piena di faldoni. Una volta li ho pure contati quei passi; mi sono concentrata sul rumore e mentalmente ho cominciato a calcolare: quattordici. Dall’ascensore fino alla porta della sua stanza sono quattordici, lo dico con certezza. Quattordici rintocchi familiari che ogni mattina mi fanno compagnia mentre pulisco l’ufficio più importante di tutto il palazzo.
Lei non lo sa, ma ormai conosco a memoria le sue mosse non appena varca la soglia della sua stanza. Per prima cosa toglie la giacca, appoggia la borsa su un mobile di legno, accende il computer che comincia a fare strani suoni, poi controlla tutte le carte sulla scrivania che ha di fronte: è precisa la Signorina, me ne sono accorta.
Quando entro nella sua stanza per fare le pulizie e lei ancora non c’è, mi diverto a guardare gli appunti che lascia in giro. Una volta ho trovato sul suo tavolo una lettera d’amore: sono rimasta sorpresa, l’aveva stampata dal computer come un documento qualsiasi e dimenticata là. Quanto era bella quella lettera, per un attimo volevo prenderla, ma poi ho avuto paura che entrasse qualcuno e mi vedesse e non ho voluto rischiare.
Un’altra mattina, invece, avevo finito il turno e me ne stavo andando; sono passata davanti alla porta della sua stanza e ho sbirciato dentro, come faccio sempre per essere sicura che tutto sia stato pulito: la Signorina era lì da sola, in piedi con il viso rivolto alla finestra e guardava fuori. Mi è sembrata triste, un pò come me quando penso a Tonino mio che sta lontano. Mi ha fatto tenerezza vederla in quel modo, ma non ho avuto il coraggio di dirle nulla perché mi sentivo in colpa per averla guardata senza che lei se ne accorgesse; sono discreta, è necessario per il mio lavoro, e poi certe cose io le capisco.
Da quel giorno è successo altre volte: la Signorina, immobile davanti alla finestra con gli occhi persi chissà dove, che sembrano chiedere aiuto a qualcuno là fuori. Una volta ho provato pure a guardare da un’altra finestra se magari ci fosse una persona affacciata nel palazzo di fronte, per capire cosa stesse realmente osservando: niente di niente, nessuno.
Non so perché, ma ho cominciato ad affezionarmi alla Signorina e penso che anche lei si sia affezionata un po’a me. Mi saluta sempre con un sorriso quando mi vede, e questa cosa mi fa sentire bene.
E così, ogni mattina, ho un compito speciale da svolgere appena arrivo al lavoro: lucido lo specchio che è attaccato ad un parete della sua stanza, quasi nascosto. Lo faccio per lei, perché so che di lì a poco, in quell’angolo e davanti a quello specchio, la Signorina stenderà un po’ di trucco sul viso, prima che arrivino gli altri colleghi.
Un trucco leggero, come un utile velo, per nascondere chissà quante cose.
Credo che in tutti questi anni solo a me sia stato concesso di vederla veramente senza quel velo, quasi bambina. Di questo le sono grata.
Sono nata a Roma nel 1970 e sono cresciuta nella periferia della città, Ostia Lido, in una casa vicina al mare. I miei ricordi d’infanzia sono soprattutto legati alle Estati trascorse in spiaggia con famiglia ed amici ed ai giochi in cortile con i ragazzini del vicinato. Altri tempi, altre avventure. Sin da piccola ero portata per lo studio, che detto così fa molto ‘nerd’, ma in realtà e’ una cosa legata alla mia curiosità. Ricordo che da bambina, durante i fine settimana, spesso mi alzavo presto e mentre tutti dormivano sfogliavo le pagine dell’enciclopedia per ragazzi. Era un momento tutto mio, di svago in silenzio. A rifletterci bene era una specie di Facebook dei tempi: si passava dalla storia alla geografia alle informazioni più frivole, tutto correlato da immagini. Ho avuto una grande famiglia che e’ stata fondamentale nella mia vita, vivevamo vicini anche se una parte era emigrata negli Stati Uniti, a Boston. Dopo una laurea in Scienze Politiche ed il sogno di una carriera diplomatica, la cose hanno preso una piega diversa e per un po’ di tempo ho lavorato nella pubblica amministrazione. Durante quel periodo ed in concomitanza con una lunga malattia di mia madre, ho cominciato a scrivere brevi storie. La scrittura era un modo per evadere ed alleggerire la realtà, una compagnia alla quale ho voluto veramente bene. Ad un certo punto, nel mezzo del cammin della mia vita e a causa di una certa insofferenza esistenziale, ho deciso di lasciare tutto: casa, lavoro, paese e città, trasferendomi a Londra. Non so se sia stata incoscienza o coraggio. Diversa da quella che avevo prospettato inizialmente, quella di Londra si e’ rivelata comunque una vita soddisfacente e vivace. Vivo in questa città ormai da quasi otto anni e qui ho incontrato persone tanto diverse che hanno lasciato tracce profonde in me. Il mare, la musica, la fotografia e gli animali, in particolare i gatti sono tra le cose che amo. Romeo, il gatto siamese con il quale ho vissuto 16 anni, è stato il mio grande amore a quattro zampe. Porto con me alcuni insegnamenti: la positività e la capacità di godere delle piccole cose, trasmessa dai miei genitori che sento sempre vicini, e la memoria di una frase che fu detta a Patti Smith ‘Costruisci un buon nome e tienilo pulito’. Per il resto, navigo a vista cercando di non prendermi troppo sul serio e mantenendo una buona dose di gratitudine nei confronti della vita.