La bomba.

© Desirèe Esposito

Da sempre, quando ho paura, penso che passerà. Mi concentro sul giorno futuro in cui tutto sarà un ricordo agrodolce. In cui si penserà a quel momento per darsi forza. Era a quello a cui pensavo, la testa appoggiata al freddo vetro. Oltre le sbarre, le tapparelle socchiuse. Cercavo di fissare oltre quelle righe scure, immaginando di aprirle, di fare entrare una luce che non c’era. Mesi prima, avrei desiderato soltanto buttarmici da quella finestra. Da più in alto possibile. Immaginavo di fluttuare nell’aria, con gli occhi chiusi, prima di cadere. Ma nessuna poesia in quel pensiero, solo un dolore sordo e senza speranza. La chiamano depressione post partum. Ma è un nome freddo. Se pensi a una mela, riesci ad immaginarne il profumo, la croccantezza della buccia sotto i denti. Anche se poi magari la mela non ti piace. Invece quella parola non evoca nulla. Non racconta delle notti insonni, dell’ansia che ti divora, del male che ti schiaccia. Non parla della desolazione, del non capirne il perché, perché proprio a te. Del non vedere nulla intorno, e che dell’intorno improvvisamente non ti importa più nulla. Al corso preparto, nessuno te lo dice. Non scatta il grande amore quando hai in braccio tuo figlio. O almeno, io non ho fatto in tempo a provare nulla. Un attimo ed ero da sola, mai come prima. A scoprirmi una sopravvissuta, senza nemmeno essermi resa conto di essere stata in pericolo. Tutto poi è stato un vortice, e mi son ritrovata sul fondo. Troppo buio per ricordarsi che una volta esisteva la luce. Anzi, essere convinti che non c’era mai stata. Il resto è la mente che lo rimuove. Fino ad arrivare alla fredda finestra del reparto psichiatria. Il resto è la forza nel voler aprire a tutti i costi quelle tapparelle. E i giorni che passano, uno dietro l’altro, come rifare i primi passi. Prima al buio, non si vedono nemmeno i piedi. Li si fa perché ti fidi di chi ti tiene la mano e ti indica gli ostacoli. Poi piano piano sempre più sicuri, più felici. Più veloci. Come quando si corre a perdifiato in un prato e si cade, e ridendo ci si rotola per terra. Mi piace immaginare che quelle tapparelle siano saltate in aria, esplose come se colpite da una bomba. E che io, ora, sono una bomba.


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