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La strage in piazza Fontana a Milano

1969, quell’anno del secolo breve che vede l’uomo camminare sulla luna mentre solo due anni prima, il 3 dicembre 1967, il cardiochirurgo Christian Barnard eseguiva il primo trapianto di cuore sull’uomo. In alcuni strati della società serpeggia un ottimismo pionieristico che spinge a sognare un avvenire carico di promesse.

Un freddo pomeriggio di dicembre nell’attivissima Milano sotto l’effetto del Natale alle porte. In pieno centro cittadino le signore bene di una florida società dei consumi, ancora benedetta dai rosei cascami del boom economico, si aggirano per le vie che costeggiano il Duomo, prese dalla frenesia degli acquisti natalizi; a completare la scena gli studenti della vicina Università Statale e la gente che lavora nei palazzi adiacenti.

Un ordinario e rituale spaccato di vita quotidiana. Fino al momento dell’esplosione. Nel pavimento della sede centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, immediatamente alle spalle del Duomo, si apre uno squarcio causato da una forte esplosione. Nessuna fuga di gas, si tratta di una bomba che ferma la vita di 17 persone, morte nello scoppio, più 88 feriti anche gravi. La banca era frequentata da imprenditori agricoli, contadini, affaristi del settore e chi, avendovi aperto un conto, ebbe la disgrazia di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

Un’altra bomba collocata nella sede della Banca Commerciale in piazza della Scala e rimasta inesplosa, fu fatta brillare dagli artificieri ostacolando il compimento di indagini che potevano evidenziare elementi utili all’inchiesta. Un terzo ordigno esplose a Roma in un sotterraneo collegato con la Banca Nazionale del Lavoro, tra via Veneto e via San Basilio. La cronaca parla anche di altre due bombe all’Altare della Patria, per concludere la nefasta triangolazione che lasciò alcune vittime sul campo.

Corriere della Sera, 13 dicembre 1969

Una concertazione da manuale, si potrebbe definire, per alimentare la tesi della necessità di misure d’emergenza a tutela della sicurezza dei cittadini terrorizzati dagli attentati.
L’evento di piazza Fontana, definito dai commentatori “la madre di tutte le stragi” segnò l’inizio della cosiddetta strategia della tensione.
All’epoca ero una giovanissima studentessa di liceo, figlia di quella solida borghesia imprenditoriale attiva da alcuni decenni. Nel bozzolo confortevole che mi avvolgeva, al riparo dalle brutture della vita, ma già esposta ad alcuni traumi dell’esistenza, sentivo confusamente che c’erano delle stonature nel consorzio civile e politico, che allora non ero in grado di decifrare.

Ma facciamo un passo indietro.

Giusto un cenno per meglio inquadrare lo scenario politico del momento e lo faccio introducendo un rapido rimando tratto da un libro di Giorgio Bocca: Il terrorismo italiano 1970/1978, Rizzoli Editore:

“Si è detto dei vari filoni del terrorismo; aggiungiamo che la causa scatenante va ravvisata nella disperazione da immobilismo che coglie non pochi italiani dopo il riflusso del ’68 e dopo piazza Fontana dove una bomba esplode nella Banca dell’Agricoltura facendo strage: disperazione da immobilismo causata da ignavia politica del partito di governo, la Democrazia Cristiana, e dal mancato funzionamento dell’opposizione.”

Italiani sfiancati dalla politica della provvidenzialità democristiana di cui fu noto teorico Aldo Moro.

Alla pista anarchica che coinvolse Giuseppe Pinelli, morto “suicida” dopo un volo da una finestra della Questura di Milano in via Fatebenefratelli, la notte fra il 15 e 16 dicembre, fanno seguito anni di indagini, inchieste e processi frammentari, alcuni risoltisi nella prescrizione o nell’assoluzione degli imputati per giungere, infine, alla matrice neofascista di Ordine Nuovo e, verosimilmente, ai servizi segreti deviati. Una continua narrazione sconvolgente fatta di depistaggi e intrighi volti a intorbidire le acque.

Pier Paolo Pasolini, un anno dopo la morte di Pinelli in circostanze misteriose, si recò a casa della famiglia dell’anarchico e intervistò la moglie Licia: uno scomodo intellettuale sempre alla ricerca della verità; una verità arenatasi in una serie di archiviazioni e nessun processo. Pasolini fu anche autore del documentario “12 dicembre”, nel quale sosteneva la tesi della strage di Stato.

Scopo di questo articolo non è riassumere un’orrenda catena di azioni criminali che hanno coinvolto  innocenti cittadini colpiti da una casualità brutale e gratuita; molti articoli e libri sono stati scritti sull’argomento, nel tentativo di chiarire vicende volutamente rese opache al fine di impedire l’individuazione dei mandanti. Scopo di questo articolo è rinfrescare la memoria o informare i più giovani i quali, per loro fortuna, quei tempi oscuri non li hanno vissuti.

Gli anni di piombo che hanno marcato il decennio successivo, la lotta armata contro i simboli del potere politico, istituzionale e finanziario,  non sono altro che la risposta dirompente di militanti politici chiusi in una clandestinità succedanea alla frustrazione provocata dagli esiti della contestazione studentesca, il ’68, partita con la necessaria ribellione all’autoritarismo patriarcale, dissoltasi poi in fantasie di cambiamento che non hanno fatto presa sulla realtà.

Dunque terrorismo di sinistra, di destra e la colpevole “distrazione” degli apparati di Stato, hanno di fatto alzato i toni ad uso di una platea di cittadini attoniti e disorientati.

In un susseguirsi di governi immobilisti incapaci di intercettare il disagio sociale e politico che gradualmente amplia la sua base di generale discontento, il terrorismo delle brigate rosse (più altri gruppi sovversivi che ne riprendono le mosse) e le trame nere, si mescolano senza soluzione di continuità, dando luogo alle manipolazioni eversive di uno stragismo di cui molto si è parlato.

La sinistra istituzionale, naturalmente ferma nella condanna, viveva le sue ansie: nella fattispecie il bisogno di legittimazione da parte non solo politica ma anche dell’opinione pubblica era molto sentito e la Primavera di Praga un ricordo ancora vicino. Il socialismo dal volto umano: un percorso accidentato per il Partito Comunista Italiano, per ragioni sulle quali non mi soffermerò e che merita una trattazione a parte.

“È il 15 dicembre 1969, davanti alle bare allineate stanno i ministri democristiani, al centro il presidente del consiglio Mariano Rumor, con quei volti un po’ lucidi sotto le luci dei riflettori. Prima della benedizione  il cardinale Colombo con la sua voce da gran prete lombardo incomincia a dire: “Avanti così non si può andare”, e vedi i ministri immobili, il volto di Rumor impassibile, senti che quella frase ambigua passa sopra le teste dei ministri, sopra coloro – magistrati, poliziotti, politici – che da anni conducono la danza feroce delle trame nere, dei fascisti mercenari mandati avanti sulle piazze, sempre protetti dalla polizia. E ognuno di noi capisce che domani tutto riprenderà come prima, con un ministro democristiano al posto di un ministro democristiano”.

Giorgio Bocca, Il terrorismo italiano 1970-1978, Rizzoli Editore.

Il 5 maggio 2009, giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi, l’allora Presidente Giorgio Napolitano riabilita Giuseppe Pinelli nominandolo diciottesima vittima dell’attentanto alla Banca Nazionale dell’Agricoltura.


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