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La Magnolia © MjZ

Nomade sono
per il viaggio raro
sotterraneo

Haiku, da Isolanotte di Edda Billi

È un ambiente molto informale quello in cui si entra e l’aria che si respira è estremamente colta non appena si stabilisce un contatto con le persone che lavorano nella Casa Internazionale Delle Donne.

La prima richiesta è quella di condivisione di una lotta comune, quella di far sopravvivere un luogo, un’idea, una casa. Sottoscrivo la petizione per far sì che questo luogo mantenga la stessa vitalità che mi colpisce non appena entro. Ad accoglierci è Noemi Caputo, una volontaria della Casa. Di evidente valutazione il fatto che per chiamare questo luogo in maniera informale ed intima ci si esprima solo con il termine Casa. Se si va oltre alla definizione strettamente legata al significato del termine, con cui si designa uno spazio abitato da un nucleo di persone, e se si scavalca quello legato all’aspetto architettonico, che fa del luogo un complesso di ambienti costruiti da persone per svolgere l’attività dell’abitare, è quasi impossibile non approdare al legame che esiste tra il concetto architettonico-funzionale e quello antropologico-sociale.

Il Movimento Moderno in architettura, con uno dei suoi massimi esponenti, Le Corbusier, partendo dal problema del suo tempo nei riguardi delle tipologie di insediamento umano a seguito dei bombardamenti, pensa ad un’abitazione che diventi un vero e proprio edificio-città. Ed è proprio questo il principale contributo che ha dato all’architettura moderna, quello di aver concepito luoghi fatti per le persone e costruiti a misura delle stesse.

In questo senso, è impossibile tralasciare le nozioni storiche sulla destinazione d’uso che aveva la struttura prima che fosse legittimamente assegnata nel 1983 dalla Giunta Comunale del Sindaco Ugo Vetere ai gruppi femministi che lasciavano la sede di via del Governo Vecchio, e designata come luogo per la cittadinanza femminile e femminista, ed è altresì fondamentale porre l’accento sull’alto significato simbolico del perché della scelta della nuova sede della Casa delle Donne in via della Lungara.

Leggo una breve storia del complesso sul sito di Archivia http://www.archiviaabcd.it/associazione/ 

“Nato nel 1615 come primo reclusorio femminile laico carmelitano dello Stato della Chiesa, denominato Ospizio della S. Croce per Pentite, nella seconda metà del Seicento, l’Ospizio diventò il Monastero della S. Croce in cui le Oblate vivevano un’esperienza di stampo teresiano e le loro educande vivevano in silenzio e in preghiera, catechizzate, alfabetizzate e addestrate nei lavori di cura o lavori donneschi. Ridotte a pochissime, nel 1802 le Oblate misero il Monastero a disposizione del Collegio dei Parroci, che v’internò, a suo criterio, adulte e bambine dirette, con criteri volontaristici, da un Patronato di Dame. Nel 1838, il Cardinal Vicario Carlo Odescalchi affidò la gestione all’ordine vandeano Nostra Signora della Carità del Buon Pastore. L’ingresso delle suore francesi avviò un profondo cambiamento nell’organizzazione del carcere monastero e, nel 1854, con l’ampliamento dell’edificio, carcere statale dove si scontavano ergastoli e lavori forzati. Entrarono nelle sue celle recluse di altri carceri femminili, patriote e filosofe perseguitate per le loro idee, suore di cui gli ordini volevano liberarsi e donne in transito verso o dal manicomio. Nel 1895 il Regno d’Italia trasferì il carcere statale a Regina Coeli e affidò la gestione della struttura ad una serie di Opere Pie che proseguirono l’operato delle suore. Il Riformatorio monarchico diventò, con la Repubblica, un Osservatorio minorile (Osm), mentre la vendita dell’edificio al Comune di Roma, nel 1941, da parte dell’Opera Pia, si concluse con varie cause legali nel 1983. Quello stesso anno, l’edificio fu assegnato a finalità sociali, con particolare riguardo alla cittadinanza femminile e destinato dal Comune, in parte, al Centro Femminista Separatista, costituito da dieci Associazioni e gruppi che in cambio lasciarono la Casa della donna occupata di Via del Governo Vecchio.

Le condizioni in cui versava l’edificio, quando divenne la Casa delle Donne, erano di profondo degrado e solo la loro forza, animata da lotte amate, ha fatto sì che questo complesso oggi sia il frutto del legame stretto che esiste tra una struttura progettata architettonicamente per un vivere funzionale ed il concetto antropologico-sociale del luogo che lo rende uno spazio dell’abitare comune, un’edificio-città, un luogo di incontro, una Casa.

La storia del vissuto all’interno di questi spazi ci viene incontro non appena oltrepassiamo l’atrio dove troviamo di fronte a noi un’intera parete tappezzata di nomi di donne uccise, morte per femminicidio. Noemi ci spiega che l’idea di fare dei necrologi delle donne morte nel corso degli anni è un progetto nato anni addietro di cui ne rimane traccia in una delle ex-celle di reclusione per sole donne che si trovano al secondo piano, dove, Illuminata all’interno da un cono di luce intensa che entra dalla finestra, c’è il pavimento tappezzato di necrologi ‹‹Lì – racconta Noemi – venivano internate tutte quelle donne che decidevano di non seguire il destino che era stato loro designato, tutte quelle donne definite “trasgressive” che si ribellavano alle decisioni imposte da altri››.

La parete al piano terra, invece, è stata fatta per continuare a dare voce a queste donne, seppur morte per cause diverse; si è deciso di farlo in occasione della Notte Bianca del 2017, in una serata gremita di persone che ha visto una grande partecipazione tra le Associazioni che lavorano per La Casa e che ha segnato un’esperienza molto bella nella memoria di tutti. ‹‹Durante la Notte Bianca, il 30 settembre, qui sembrava tutto rinato, gli spazi erano attivi contemporaneamente – racconta Noemi – Abbiamo fatto una chiamata a tutte le Associazioni perché proponessero delle attività in modo da aprire le porte della Casa e, soprattutto, per farlo tutti insieme. È stata una bellissima occasione per raccontarsi e per far conoscere le Associazioni, di quello di cui si occupano ed i servizi che offrono nella Casa. Donne senza Confini, questo è il nome che abbiamo dato alla serata, che ha visto 100 eventi svolgersi contemporaneamente, dalle ore 17 fino a notte inoltrata ed alla quale tutti hanno partecipato. È stato proprio per questa occasione che abbiamo pensato di recuperare tutti i nomi delle donne uccise tra il 2015 ed il 2017 per femminicidio, cioè donne uccise in quanto donne da mariti, compagni, padri, fidanzati che non sopportavano di essere lasciati, e di mettere i loro necrologi attaccati alla parete, così che non siano nomi dimenticati››.Martina Agrosi, 14 anni, uccisa con un colpo di pistola dal padre; Nona Movila, 42 anni, sgozzata dal marito; Antonella Lettieri, 42 anni, massacrata di percosse dall’amante; Gina Paoli, 82 anni, uccisa a fucilate dal marito che uccide anche la figlia; Sabrina Magnolfi, 44 anni, figlia di Gina Paoli, uccisa da suo padre a fucilate; questi sono solo alcuni dei nomi che leggo.

Atrio della Casa Internazionale delle Donne  © MjZ

Non posso che concordare con Noemi quando dice che ‹‹In questa casa c’è un’energia trasmessa che è talmente travolgente che ti fa appassionare ed innamorare ed è quella stessa forza che porta a prendere decisioni tutte insieme. La Casa delle Donne per chi ci lavora diventa una vera e propria Casa in cui passiamo tutta la giornata, anche dopo le ore lavorative, per fare tutte quelle attività che normalmente si svolgono al di fuori dell’ambito professionale, il pranzo, la palestra, la cena. Entri la mattina ed esci la sera››. Sono tante le Associazioni e le Cooperative presenti che danno un contributo reale ed attivo a diversi livelli ed insieme formano l’APS Casa Internazionale delle Donne. Gli ambiti sono molteplici, dai diritti tutelati da associazioni di avvocate a consulenze per la salute, dall’assistenza psicosociale delle donne vittime di violenza alla consulenza lavorativa per donne senza distinzione di età, nazionalità e formazione culturale, dal turismo accessibile per persone sorde ad un centro di documentazione servito da una biblioteca. ‹‹Tutte queste Associazioni di tradizione sociale – ci dice Noemi – che concorrono a sviluppare idee ed eventi all’interno della Casa, sono una realtà del luogo, alcune vengono dall’esterno, altre hanno sede qui, per dare atto all’idea di entrare nella Casa fisicamente››.

Associazioni © MjZ

Noemi ci accompagna nel bellissimo giardino che si trova all’interno del complesso, un corte sovrastata dalla presenza di un albero di Magnolia.

La Magnolia nel giardino interno della Casa © MjZ

‹‹La Magnolia è il simbolo della Casa, quando fiorisce c’è un profumo che arriva in tutta la casa. Questo albero è centenario e, insieme al Noce detto il Nocio che si trova nell’altro cortile e che è stato piantato da Giovanna Olivieri, coordinatrice di Archivia, il Centro di Documentazione della Casa, ed Edda Billi, Presidente onoraria dell’AffiAssociazione Federativa Femminista Internazionale e fondatrice di Archivia, sono, insieme, i nostri simboli così come Giovanna ed Edda sono la nostra memoria storica››.

Attraversando il giardino, possiamo entrare in contatto con alcune delle Associazioni che hanno sede all’interno della Casa. Incontriamo Azucar Family-lab e spazio Baby Care. Dolcemente insieme.

Sede dell’Associazione Azucar © MjZ

‹‹Qui si organizzano dei laboratori sulla lettura, sulla scrittura e sulla produzione dei libri per bambini. Durante l’estate tirano fuori tutti i seggiolini quando si mangia e l’ora di pranzo diventa un momento di condivisione per loro e per noi che lavoriamo qui››; la foresteria Orsa maggiore, che si trova al secondo piano, e che è l’unico Ostello per donne dedicato anche all’accoglienza delle donne che viaggiano da sole. Insieme al Centro Congressi, sono direttamente gestiti dal Consorzio della Casa e sono un’importante risorsa sia per le Associazioni che per gli ospiti che ne fruiscono;

Foresteria Orsa Maggiore © MjZ

il Ristrò Luna e l’altra, che come cooperativa sociale è interamente rivolta all’inserimento lavorativo per donne, e che offre “pappa buona” e calorosa accoglienza.

Ristrò © MjZ

Eco Diversità che si occupa dell’integrazione delle ragazze sorde nella gestione dell’orto e nella vendita del mercatino biologico, inserendole nella produzione e nella vendita. ‹‹Sono loro – racconta Noemi – che si sono occupate di risistemare l’Orto ed hanno iniziato queste aiuole di permacultura, una tecnica particolare di coltivazione del terreno intesa anche come filosofia di approccio››. Sono più di quaranta associazioni femministe hanno dato vita a questa struttura aperta, un vero e proprio laboratorio dove coniugare impresa culturale e servizi e che racchiude la storia ed i successi del movimento di liberazione delle donne.

Orto © MjZ
È al primo piano che troviamo l’Associazione Archivia, una delle realtà più belle della Casa, che in qualità di biblioteca/archivio è specializzata nella storia e nella cultura delle donne. Conserva libri, riviste di donne e documenti, volantini foto e manifesti del movimento femminista dalla fine degli anni ’60 ed è senza dubbio il patrimonio bibliografico, in continua espansione, a cui tutte le donne che abitano la Casa, sono particolarmente legate. Archivia è una fonte inesauribile e preziosa di storia delle donne cui attingono le studenti per il lavoro delle loro tesi di laurea.

Archivia © MjZ

Le Donne della Casa sono Donne testarde che non si sono mai arrese, donne che continuano a combattere per i diritti delle donne…. e non solo.Pensano e lavorano in grande.

È proprio davanti ad Archivia che incontriamo una di loro, Edda Billi, una delle memorie storiche della Casa, la donna che ha scalfito a mano le pietre, durante l’occupazione, per rivendicare i loro diritti ed ottenere che fossero riconosciuti, insieme ad uno spazio tutto per sé.

Parliamo con lei…  

Edda Billi © MjZ

Che cosa significa oggi questa casa e perché è importante questo spazio ancora oggi?

Perché finalmente abbiamo una casa nostra e ci abbiamo messo tanto per averla, perché dobbiamo ancora combattere perché ci sono dei pericoli che incombono, perché sembra che vogliano togliercela, ed in questo credo che siano dei pazzi a pensarlo, avranno tutte le donne contro. Li trovo di una stupidità infinita però sai, siccome sono stupidi, c’è da aspettarsi di tutto. Il significato è semplice, è che ogni città dovrebbe averne una, perché uno spazio di donne significa libertà, libertà delle donne.

Questa Casa c’è costata tantissimo, c’è costata 10, forse 12 anni, in cui abbiamo occupato perché cercavano di riprenderla tentando di darne un pezzo all’Ente Santa Croce (forse longa mano di CL).

Ci era stata assegnata dopo una lunga trattativa con una delibera bellissima del sindaco Vetere, che parlò per la prima volta di una casa data ai movimenti femminili e femministi. Per la prima volta veniva usata la parola femminista su una delibera comunale.

Dopo Vetere era arrivato un sindaco fascista, di cui non ricordo il nome, che tentò di assegnarne una parte a quest’Ente della chiesa e da lì è iniziata l’occupazione anche di quella parte. Questo posto era fatiscente, non avevano restaurato che 400 mq circa, mentre il resto era tutto da rifare. Qui non c’era nulla, si camminava nelle buche, era un luogo in disfacimento totale. Noi abbiamo lottato anche perché fosse rimesso a posto, ed in questo ci siamo riuscite con i soldi di Roma Capitale del Giubileo ma il restauro totale è durato quasi 10 anni

Che anno era?

No. Mai chiedere a me gli anni. I numeri per me hanno dei colori, degli odori, passeggiano. Non hanno nessun significato.

C’è della filosofia in quello che dice.

Sarei una matematica favolosa! – continua Edda – Gli anni li dovete chiedere alla “donna delle date” Paola Mastrangeli, fra un po’ arriva. Siamo fiere di aver lottato per così tanti anni. Nel freddo, nel buio, senza luce, senza acqua.

È stata dura. Molto dura

Questi lavori sono stati fatti a vostre spese?

I primi accorgimenti sono stati nostri, in una fase in cui veramente questo stabile andava a pezzi. Poi no. Non sarebbe stato possibile, è un complesso enorme, come vedete.Il restauro è stato opera del Comune che ne è il proprietario e sono rientrati nel progetto per il Giubileo del 2000. Ma posso garantirvi che sono occorsi molti soldi per far sì che venisse così bella come è adesso. Questa è una conquista per tutte noi.

Quand’è precisamente che avete deciso di occupare?

Vi posso raccontare come è nata questa occupazione. Eravamo in quei primi 379mq , che il sindaco Vetere ci aveva dato, accomodati, che era una stanzona collocata dalla parte dove è piantato il N?cio. La delibera ci aveva dato l’intero spazio, invece notte-tempo, il sindaco che era succeduto ne assegnava quasi metà dell’altra struttura al famoso Ente quello di CL.A quel punto decidemmo di occupare. Buttammo giù il cancello di ferro, e siamo entrate. Eravamo in riunione in questo stanzone e c’era Anita Pasquali – che ricordiamo essere stata una “Donna battagliera con grande passione politica e una volontà d’acciaio, sempre in prima linea nella battaglia per i diritti delle donne e del movimento femminista” – che aveva contatti con la Provincia e che seppe in tempo dell’assegnazione all’Ente Santa Croce alla Lungara. Allora noi aprimmo, entrammo e occupammo. Questa occupazione è durata molti anni ed è stata molto, molto dura.

Tutto il resto, comprese le finestre e le porte, era chiuso con grandi massi ed io, con poche altre, li abbiamo tutti smantellati. Piano, piano, con forza, la forza delle donne.

Devo dire che questa è una delle più belle Case delle Donne e lo posso dire con orgoglio e con cognizione di causa perché ormai molte città ne hanno una ma sono sempre piccole, con poche stanze, con pochi spazi. Questa è stata una bella follia.

Immagino sia senza dubbio difficile gestire degli spazi così grandi.

La difficoltà della gestione di un posto come questo comporta non so quanto denaro. Noi non siamo imprenditrici. C’è un Direttivo con una Presidente in cui votiamo, ci sono le Associazioni di promozione sociale, ci sono le singole, insomma il Consorzio, ma noi non siamo donne imprenditrici. La Presidente, Francesca Koch, è una donna semplicemente eroica e non so come abbia fatto a resistere per così tanti anni pur essendo già in vacatio da circa un anno; per questo bisognerà fare le elezioni con la spada di Damocle della Sindaca Raggi, una donna purtoppo, ma Koch continua a reggere la Casa delle Donne. E’ una Presidente bravissima e non è pagata

È incredibile, no? Quando uno racconta questa cosa le persone stentano a crederci e a volte faccio fatica anche io a crederci. Devo dire che sono riuscite in una maniera miracolosa a provare ad essere imprenditrici femministe, che è una cosa difficile, molto difficile. Qui bisogna che i soldi entrino in qualche modo perché dovete sapere che questo posto non è gratuito. Noi paghiamo 9.000 euro al mese perché il Comune ci ha messo addosso anche gli anni di occupazione, con una mora e sono diventati 12.000 euro e avere questi soldi ogni mese è quasi impossibile. In molti sono convinti che sia gratuito, invece non lo è purtroppo. Dovrebbe esserlo perché hanno dato a tutti degli spazi gratuiti.

È quindi questo il motivo dello sfratto.

Sì, questo è il motivo per cui siamo state sfrattate, perché non siamo in grado di pagare l’affitto. Noi diciamo che offriamo servizi alle città che valgono diecimila volte di più del dovuto. Loro sono obbligati a valutare questi servizi che noi diamo in maniera gratuita alla città e lì dove il servizio non lo è, ad esempio quello delle avvocate, ha sempre dei prezzi politici alla base. Dalla nostra abbiamo il fatto di essere donne.

Edda Billi e Paola Mastrangeli © MjZ

Nel frattempo è arrivata la “donna delle date”, Paola Mastrangeli, alla quale Edda Billi si rivolge:
“Amore, quando è successo tutto questo?

‹‹Quale delle cose? La rivoluzione gentile? L’unica rivoluzione possibile dopo il cristianesimo, dopo quelle di Ottobre, quelle d’inverno…l’unica possibile? Nell’ ’84 ci avevano assegnato solo una piccola parte e intanto il resto doveva essere tutto ristrutturato, però nel frattempo la nostra amica Anita Pasquali, alla quale abbiamo dedicato una targa a piazza San Cosimato, ci avvertì che l’altra parte sarebbe stata aggiudicata all’Ente santa croce. Abbiamo detto no. Sfondato il cancello e presa tutta l’altra parte. L’occupazione è durata tanto e con quelle donne che hanno deciso di vivere, sopravvivere e di tenere acceso il braciere del fuoco della passione››.
Continuando a parlare di femminismo, di diritti delle donne, di lotte amate e di passione, ci raggiunge anche Giovanna Olivieri, attraverso la quale si giunge a parlare del fatto che, fino a non molti anni fa, gli uomini non potessero accedere alla Casa. Ci racconta un aneddoto ed il motivo per il quale, ad oggi, questa condizione è cambiata.

‹‹La cosa importante di questa faccenda sono i livelli di separatismo che c’erano allora – dice Giovanna Olivieri – Tutto è nato perché Alma Sabatini, donna “radicale” la cui vita è stata dedicata al servizio dell’idea femminista, muore tragicamente, all’età di 65 anni, a Roma nel 1988, a causa di un incidente automobilistico nel quale resta ucciso anche il marito e compagno amatissimo, Robert Braun. Abbiamo fatto due giorni di assemblea per decidere se i funerali laici potessero essere fatti ad entrambi all’interno della Casa, perché a quel tempo l’uomo non poteva entrare. Alla fine, data l’importanza dell’evento tragico, si decise di fare un’eccezione singolare alla regola separatista, che è stata subito ripristinata fino alla consegna totale della Casa restaurata nel 2002, per cui anche gli uomini potevano accedere. Quella allora fu la prima volta››.

Giovanna Olivieri e Noemi Caputo, volontaria della Casa © MjZ

Quando le chiediamo che cosa significhi essere femministe, risponde:
‹‹La domanda è: chi è la donna? quella definita dai maschi o qualcos’altro? Per trovare la risposta e per fare questo percorso personale, le donne hanno deciso che si dovevano parlare fra di loro. Quello che il femminismo ha cercato di fare, proprio partendo da chi siamo noi e da chi sono gli altri, era stabilire che c’è un conflitto, e le donne hanno deciso che si parlavano fra di loro perché tutte le volte che c’era un maschio diceva cosa dovevano essere, cosa dovevano fare e come si dovevano comportare. A monte di questo confronto, c’è sempre stata la nostra cultura che è profondamente sessista, misogina e quindi un luogo di discussione a partire da quello che ci dicevano e che noi dovevamo essere, confrontandoci con la nostra realtà. Per questo il “partire da sé”, il “personale èpolitico” sono slogan che avevano una forte valenza per noi. Se non parti da quello che sei tu e da quelle che sono le tue esigenze, non arrivi a nessun risultato. All’inizio si parlava di privato, perché il privato veniva considerato un campo non politico, non indagabile e quindi: perché la violenza sessuale era un reato contro la morale? Perché era considerata una cosa privata e non un reato pubblico contro una persona che dice “io non sono consenziente”. Il grande rivolgimento è avvenuto nel ’79, quando è stata fatta la proposta di legge popolare delle donne contro la violenza, e diceva: “Derubricare questo reato da un reato contro la morale ad un reato contro la persona”. Poi c’è stato questo percorso per cui non tutte le donne erano d’accordo con la denuncia d’ufficio, molte erano per la denuncia personale, perché c’erano posizioni diverse all’interno del dibattito sulla legge. Noi qui siamo un puzzle di identità di donne ma quello che ci tiene insieme, è evidente, è un luogo in cui questo puzzle esiste e ciascuna può confrontarsi con le altre oppure può trovare un input alle proprie esigenze, alle proprie richieste. Certo è che non possiamo rispondere a tutte, ma ci proviamo››.

‹‹Vi volevo far notare – interviene Paola Mastrangeli – che, la raccolta di firme per la legge contro la violenza sessuale è stata sempre basata su questa parola: sessuale. Ci abbiamo messo quasi 30 anni per ottenere la definizione sessista perché l’analisi a monte è che era una violenza sessista e non sessuale, ma soprattutto violenza maschile contro le donne. La stampa continua a parlare di “124 donne vittime di femminicidio” se la stampa stessa non sposta il focus dalla vittima all’assassino, avremmo sempre le donne vittime di femminicidio. In questo paese esiste un problema di “124 assassini di donne”. Bisogna spostare l’ottica perché se cominci a pensare che non è più violenza sessuale, ma è violenza sessista, che è violenza maschile contro le donne, l’analisi è diversa perché non mi possono dire che tutti hanno avuto un raptus, che tutti l’amavano troppo e non ce l’ha fatta a resistere››. E’ lo stesso problema che c’è quando si parla di prostituzione e si mette tutta l’attenzione sulla figura della prostituta condannandola e usandola come parolaccia per offendere: figlio di p….. Allora quando vado nelle scuole comincio sempre con lo spiegare che i soggetti del contratto di compravendita di rapporto sessuale sono due: il cliente e la puttana. Ma la parolaccia è stata inventata solo per lei. Lei è da condannare perché prende i soldi e lui no perché li dà? Allora li invito a cominciare a dire anche “figlio di cliente” se proprio vogliono offendere qualcuno. E quando qualche pischello più smaliziato mi dice: Ma è il mestiere più antico del mondo!!! Io ribatto anche l’omicidio con Caino e Abele è cosa antica. Ma l’omicidio è un tabù. La prostituzione rispetta solo la più semplice legge economica del mondo: quella del mercato. Laddove c’è domanda, nasce l’offerta. Ragazzi e ragazze chiedetevi perché gli uomini “da sempre” hanno bisogno di sesso a pagamento. Non sarà una questione di potere? e vi assicuro che nascono delle bellissime discussioni.

Giovanna Olivieri, Noemi Caputo, Edda Billi, Paola Mastrangeli © MjZ

È chiaro che la consapevolezza di se stesse e la presa di coscienza sia il passo obbligato attraverso il quale poter cambiare, non solo il proprio essere, ma anche la vita che ci circonda. La Casa delle Donne è prima di tutto una Casa per tutte, un luogo di incontro dove poter parlare, confrontarsi, chiedere aiuto e vivere.

Le Donne che abbiamo incontrato nel corso della giornata sono state tante. Donne attive, Donne orgogliose di essere Donne. Ognuna di loro ha regalato un pezzo di sé, ha parlato della propria presa di coscienza e di quello che fa per tenere attiva la Casa. Le donne della Casa sono tante e sono tutte unite.

È per questo che ritengo sia importante divulgare la notizia che questa struttura rischi di chiudere, a causa della burocrazia e della “non presa di coscienza” da parte delle autorità, che i servizi che offre alla città siano di gran lunga più onerosi dell’affitto mensile che si chiede loro di pagare. Chiunque voglia aderire all’iniziativa di sostegno per far sì che la Casa rimanga aperta, può sottoscrivere la petizione attraverso questo link

https://www.change.org/p/virginia-raggi-una-casa-per-tutte?utm_campaign=fb_dialog&utm_medium=email&utm_source=signature_receipt&post_id=10215760944884833#_=_

Le ragioni per firmare sono tante. Fatelo.


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