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Immagine tratta da  http://www.blabbermouth.net/news/evanescences-amy-lee-joins-ugly-kid-joe-on-stage-at-belgiums-graspo…

Si possono descrivere gli anni novanta attraverso cinque canzoni semisconosciute di gruppi più o meno famosi?

Non lo so, ma ci provo. Gli anni Novanta, a detta di molti, nascono il giorno dell’uscita di “Nevermind” dei Nirvana, disco che può piacere o meno, ma che segna, indiscutibilmente, uno spartiacque tra ciò che era stato e quello che sarebbe avvenuto: finiscono gli anni dell’edonismo, del divertimento sfrenato, del disimpegno politico e nasce il “Grunge”, grido d’aiuto di una generazione stanca delle scalate sociali e degli “Yuppies”.

Irrompe prepotentemente sulla scena una generazione “fuori contesto”, ai margini , che trova in Kurt Cobain, in Eddie Vedder dei Pearl Jam, in Chris Cornell, negli Alice in Chains, bandiere da sventolare contro un mondo che li addita come “perdenti”.

Questa però non vuole essere un’analisi sociale di quel periodo, ma semplicemente una personalissima lista di “lati B” che sono stati “novanta” come “Use your illusion”, “Zombie”, Oasis, Blur e la pletora di Boy Bands che imperversavano.

I miei ricordi cominciano con un gruppo che ai più non dirà nulla: I Body Count, band formatasi nel 1990 e che, finita nel dimenticatoio troppo presto, è da considerarsi come progenitrice di un genere sulla cresta dell’onda ancora oggi: il “Gangsta”.

I tempi della guerra americana tra West Coast ed East Coast sono ancora lontani, ma Ice-T, fondatore e cantante, osa ciò che nel 1990 era impensabile, ovvero fondere in una canzone il Rap con il Metal, il Trash ed il Punk.

Loro “Manifesto” oltre la iper criticata “Cop Killer” è sicuramente “The Winner Lose” che più che un brano, è una denuncia, un grido di dolore contro l’abuso di droghe e le troppe vite buttate in nome di ideali effimeri come i soldi facili e il lusso.

L’arpeggio iniziale è un brivido…

Ci sono gruppi che legano il loro nome ad un singolo album o, addirittura, ad una canzone, un successo talmente travolgente che è capace di cancellare tutto quello che è stato fatto dopo, pur trattandosi di materiale valido se non superiore alla hit.

La seconda e terza canzone che vi propongo appartengono proprio a questa categoria,  che io definisco “canzoni nate nel momento sbagliato, figlie di una Dea Minore”.

Lo sapevate, ad esempio, che gli Europe non hanno scritto solo “The Final Countdown”? E che forse hanno scritto qualcosa di migliore?

Io sì, e me ne accorsi in un tardo pomeriggio del 1992, quando, sintonizzandomi su quella che all’epoca era Video Music, mi imbattei in questa canzone, che ascolto ancora oggi Prisoners in Paradise:

E se vi dicessi “More than Words”? Chi non la conosce? Ma quanti sanno il nome del gruppo autore della canzone? Alcuni di voi sicuramente, ma quanti sanno che Gary Cherone degli Extreme sarebbe poi diventato il cantante addirittura dei Queen, o che Nuno Bettencourt  è da considerarsi  uno dei più grandi chitarristi mai esistiti alla pari degli stranoti mostri sacri?

E quanti si sono mai imbattuti in questa Song for Love?

Gli anni Novanta, in Italia, sono stati anche e soprattutto i Litfiba, vero fenomeno di massa che esplose prima con il singolo “Tex” e che si consacrò con l’ultrafamoso album “Terremoto”, un successo i cui echi arrivarono anche in Spagna, dove quattro ragazzi di Saragozza avevano fondato, nel 1984, un gruppo chiamato “Heroes del Silencio”.

Il singolo “Entre dos tierras” tratto dall’album “El Espíritu Del Vino”, cavalcando l’onda del successo dei Litfiba, diventa un buon successo anche in Italia, ma come spesso accade, la canzone più bella si trova in altri lavori della band, in questo caso, addirittura in un album precedente.

L’album si chiama” Senderos de traición” e la canzone è Oración

Questa piccola fotografia sul lato sconosciuto degli anni Novanta finisce con quella che, per me, è La canzone del Decennio appena descritto.

Una cover di Harry Chapin portata alla ribalta, nel 1993, da un gruppo Hard Rock americano: gli Ugly Kid Joe, anche questo un nome per “addetti ai lavori”.

Cats in the Cradle parla del rapporto di un padre con il figlio, racconta di un padre assente, perché preso dai troppi impegni lavorativi, che perde tutte le tappe fondamentali della crescita di un bambino, che diventa ragazzo e poi uomo, avendo però la falsa speranza che un giorno avrebbe potuto recuperare il tempo perduto. Speranza che svanisce nel momento stesso in cui si accorge che il figlio è diventato come lui, troppo preso dalla propria vita per occuparsi di un padre ormai vecchio.

Cats in the Cradle ” è orgoglio, speranza, disillusione, rimpianti e, nonostante tutto, fiducia nel futuro; in sintesi quello che per tanti di noi sono stati gli anni Novanta.

Buon ascolto a tutti!


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