Il Circolo Gianni Bosio. Parte prima.

Leggendo L’orda d’oro di Nanni Balestrini e Primo Moroni, che racconta la grande ondata rivoluzionaria e creativa dal 1968 al 1977, ho trovato estremamente interessante la sezione dedicata alla ripresa del canto sociale che, alla fine degli anni  Cinquanta, fa assistere alla formazione  di piccoli gruppi organizzati con intenti politici e musicali.

Fra questi il primo nasce a Torino nel 1958 ed assume il nome di Cantacronache.

Suo principale intento è quello di verificare la possibilità di scrivere canzoni non evasive, connesse a situazioni concrete di vita che facessero da contraltare al canzonettismo di Sanremo. Autori dei testi  sono, tra gli altri, Franco Fortini, Italo Calvino, Umberto Eco, per intenderne la portata; gruppo che però entrerà in crisi già nel 1962, dopo aver scelto come interlocutore privilegiato il Pci al cui interno tuttavia alcuni funzionari ne avevano fatto una palestra per ambizioni culturali personali.

Il lavoro svolto da Cantacronache ha però spinto il
militante socialista Gianni Bosio,  (Acquanera sul Chiese 1923 – Mantova
1971) ad avviare, assieme a Roberto Leydi, delle proprie ricerche sul canto
sociale.

Bosio, già direttore delle Edizioni Avanti! casa editrice collegata al giornale del Partito Socialista Italiano, faceva pubblicare la rivista, che fu chiamata  Nuovo Canzoniere Italiano, così chiamata per sottolineare un legame coi canzonieri sociali della tradizione anarco-socialista precedente il fascismo, proponendosi  di studiare la canzone popolare italiana, con lo scopo dichiarato di recuperare una narrazione delle vicende storiche dal punto di vista del popolo. Attorno alla rivista si forma, nel giro di alcuni mesi, un gruppo di cantanti e di ricercatori e decolla un vero e proprio movimento culturale che assume il proprio nome dalla rivista e ad essa affiancherà i Dischi del Sole, spettacoli con veri e propri canti sociali e un’attività di ricerca, polmone portante dell’attività complessiva.

Almeno per tutto il periodo precedente al ’68 gli spettacoli nel NCI si scontrano spesso con la diffidenza dei funzionari del PCI, del PSI e degli altri organismi di massa. Il pubblico di base è costretto a una serie di scelte obbligate (applaudire o non applaudire di fronte a certe canzoni) che lo costringono a un esame più o meno approfondito di quelle due anime che sono in lui, l’anima rivoluzionaria e l’anima burocratica. In altre parole – ed era questo che era inaccettabile ai burocrati d’apparato – il canto sociale si era rivelato come un forte contributo “ad impedire ai militanti e alle nuove generazioni di scambiare il Fronte, o il Centrosinistra, con il socialismo”.

Lo spettacolo più famoso del Nuovo Canzoniere Italiano rimane tuttavia Bella ciao. Un programma di canzoni popolari italiane, autentico caposaldo del folk revival nostrano, rimasto nella storia, che ebbe grande successo di pubblico e critica, e provocò anche scandalo.

Il recital era stato organizzato da Filippo Crivelli, Franco Fortini e Roberto Leydi, su invito di Nanni Ricordi per il Festival dei Due Mondi di Spoleto. Gli interpreti erano Sandra Mantovani, Giovanna Daffini, Giovanna Marini, Maria Teresa Bulciolu, Caterina Bueno, Silvia Malagugini, Cati Mattea, Michele Straniero, il Gruppo di Piàdena, accompagnati dalla chitarra di Gaspare De Lama. Lo spettacolo è rimasto celebre anche perché in occasione di una replica, a causa dell’esecuzione di Gorizia tu sei maledetta, un ufficiale dei carabinieri presente in sala denunciò Straniero, Leydi, Bosio e Crivelli per vilipendio delle forze armate italiane. L’episodio diede un’involontaria notorietà al Nuovo Canzoniere Italiano.

La ricerca si amplierà sino a che Gianni Bosio creerà a Milano con Alberto Mario Cirese l’Istituto Ernesto De Martino nel gennaio 1966 «per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario», il più importante archivio orale del ’68 sia francese sia italiano: l’Istituto ha raccolto materiali di carattere musicale (canti popolari e sociali, danze, riti, rappresentazioni popolari), testimonianze sui momenti più significativi della storia del movimento operaio, biografie di militanti, registrazioni di manifestazioni sindacali e politiche, ordinati in un archivio specializzato per la conservazione, la catalogazione e lo studio delle forme di espressività orale, con annessa biblioteca, videoteca e filmoteca.

Tuttavia tra le conseguenze del successo di Bella ciao ci fu anche quella di determinare una moda per il canto popolare e sociale, sicché anche all’interno del NCI si manifestarono delle spinte verso la mondanizzazione del lavoro e verso forme di accademismo, situazione che determinò  delle spaccature  seguite  da una diaspora e dal progressivo allontanamento di Roberto Leydi dal gruppo.

In quella circostanza fu anzitutto merito di Gianni Bosio di tenere fermo e saldo il materiale popolare nella sua integrità ripartendo dalla ricerca della cultura di classe.

Questa posizione spingerà i ricercatori, per meglio documentare quanto avveniva, a dedicarsi alla pratica dell’obiettivo partecipando a occupazioni di fabbriche, università ed istituzioni totali con risultati di grande importanza. Per esempio, sarà questo a permettere a Sandro Portelli, collegatosi nel 1969 con il suo gruppo romano all’Istituto, di produrre nel 1970 un importante disco di “storia immediata” : Roma. La borgata e la lotta della casa.

È questa una direzione di ricerca-intervento aperta all’inizio di quell’anno da Bosio con una ricostruzione sonora dei “fatti del Lirico” e delle vicende del movimento tra il 19 novembre ed il 04 dicembre 1969. È in quel periodo che si lavora assiduamente per sincronizzare l’uscita dei primi libri di storia con uso di testimonianze orali di base.

Bosio morì nel 1971 e se il gruppo degli spettacoli venne ad essere quintuplicato, il lavoro di gruppo finì per smarrire progressivamente le sue finalità provocatorie, spezzando lo stesso legame che c’era stato in passato tra ricerca e riproposta: la prima rischiò a volte di cadere nell’accademismo, la seconda finì per lo più per integrarsi. In proposito, ricorderà proprio Ivan della Mea: “Noi non ci siamo accorti che stavamo diventando dei cantautori, perdendo la connessione con quel filo rosso che ci aveva collegati alla ricerca. Andando dietro a una sollecitazione di mercato, ancorché a un “mercato di sinistra”, quello delle Feste dell’Unità (molto gratificanti sul piano del pubblico), di fatto abbiamo accettato la dimensione del cantautore. Per quanto riguarda il canto di protesta sociale, la nostra attività perde allora in maniera drammatica il suo momento di alterità e di eversione, proprio perché le sue modalità sono uguali a quelle del mercato.  A quel punto avevamo accettato, chi più chi meno, di cambiare la ragione per cui avevamo cominciato a fare questo lavoro. Venendo a mancare il senso di un’operazione politico-culturale complessiva, eravamo diventati anche noi dei cantautori che ottenevano poi magari al festival nazionale de “L’Unità” a Firenze il massimo del successo con 30/40.000 ascoltatori. Mentre alcuni miei compagni dicevano: finalmente ce l’abbiamo fatta! Io dissi: abbiamo perso”.

Ma cosa è successo al Circolo Gianni Bosio? Ebbene, ha avuto una seconda vita. Ve la racconterò nella seconda parte di questo articolo. Quello che posso anticipare  è che si trova nel cuore di Roma, e noi di Diatomea siamo andati a trovarli.