LE BORGATE ROMANE DI SECONDA GENERAZIONE – SECONDA PARTE

Seconda parte

“Ad ogni uomo adulto la propria camera, anche se piccola” 

Gropius

Dove eravamo rimasti…

“Si è aperta all’insegna della romanità una delle due giornate di Open House Roma 2018, che mi ha visto partecipare, come primo evento, alla presentazione del libro Borgate Romane. Storia e forma urbana a cura di Milena Farina e Luciano Villani  organizzato dall’associazione “Primavalle in Rete”  presso la Biblioteca Franco Basaglia, in via Federico Borromeo 67.

Che cosa accade a Roma intorno agli anni Trenta, e soprattutto, quali sono le spinte che porteranno al formarsi delle borgate romane?”

Vai alla Prima parte “Le Borgate romane di prima generazione”

Che cosa accade a Roma dopo il 1935?

A gennaio del 1935, Mussolini solleva il principe Francesco Boncompagni Ludovisi dalla carica di governatore ed affida l’incarico a Giuseppe Bottai. “Il profilo intellettuale e politico del gerarca romano, lontano dal mondo aristocratico dei suoi predecessori, lo poneva nelle condizioni ideali per marcare una discontinuità con il recente passato” spiega Luciano Villani nel libro Borgate Romane. Storia e forma urbana.

L’Istituto per le Case Popolare Icp, precedentemente messo in condizioni di subordinazione nei confronti del Governatorato, ristabilisce i rapporti con lo stesso e sottopone al Colle Capitolino una bozza di convenzione programmatica al fine di reinvestire un ruolo cardine nell’edilizia romana.  In realtà quello che viene approvato è di gran lunga minore rispetto a quanto proposto, ma la cosa importante in tutto questo dibattito è la cessione delle borgate di prima generazione da parte del Governatorato a favore dell’Icp, con l’obbligo, per quest’ultimo, di migliorarle e di trasformarle “a sua cura e spese fin dove possibile”; in altri termini, il Governatorato liquida la propria responsabilità in termini di manutenzione e/o rifacimento e la trasferisce in toto all’Istituto.

Nel contempo, la convenzione, così come era stata stipulata, presupponeva un accordo tra le parti che assicurasse il quantitativo necessario di “alloggi popolarissimi” per lo sviluppo edilizio della Capitale. Scrive Villani: “Occorreva completare la trasformazione dell’area centrale, migliorare l’assetto dei quartieri, ma anche intraprendere le opere che il regime riteneva indispensabili alla compiuta affermazione moderna imperiale dell’Urbe fascista (risale a quel periodo il progetto dell’Esposizione Universale da realizzare nel 1942)”.

Ma che cosa si intende per edilizia popolarissima?

Un linguaggio essenziale, modesto architettonicamente e soprattutto nei costi. La nuova casa popolarissima si sarebbe rifatta ai concetti dell’existenzminimum di matrice razionalista e all’indirizzo extraurbano che il regime tanto sosteneva, con la creazione di borghi rurali e città satelliti. La casa popolarissima diventa una sorta di prolungamento dell’abitazione contadina. Il tentativo di riproporre il concetto di isolato urbano trova, nello specifico, l’impostazione di tre elementi fondamentali: una scuola, una chiesa ed un edificio delle istituzioni fasciste (spesso a torre).

Quarticciolo. Edifici a torre. Immagini tratte dal libro “Borgate Romane. Storia e forma urbana” di Milena Farina e Luciano Villani tratte dall’Archivio ATER

Nasce un nuovo tipo, la casa-padiglione. Elevazione a due piani, strutture irrobustite, suddivisione in alloggi regolari dotati di bagno e cucina, fornitura di acqua corrente, quantomeno rispondenti alle clausole del Regolamento Edilizio. Un campione sperimentale fu costruito a Valle Aurelia, nell’area dell’ormai ex-mattonificio (al cui interno oggi è stato costruito un Centro Commerciale come di buona regola costruttiva del XXI secolo): quattro padiglioni per venti alloggi. Lo stesso accade a Pietralata, Tiburtino III e Fiumicino.

Vengono introdotte anche nuove tipologie a ballatoio, i cui esempi oggi sono visibili soprattutto nella borgata del Trullo, ad opera degli architetti Nicolosi e Nicolini.

Si sviluppa la tipologia dell’edificio in linea, spesso risolto con una disposizione a pettine, ed è spesso presente una corte che fa da nucleo alla vita delle borgate.

Tipologie edilizie delle borgate

Trullo. Corte del nucleo storico della borgata.

Immagini tratte dal libro “Borgate Romane. Storia e forma urbana” di Milena Farina e Luciano Villani tratte dall’Archivio ATER

La questione più importante, tuttavia, non risulta chiarita: gli interventi saranno definitivi o provvisori? Anche su questo, la situazione era del tutto poco chiara perché mentre l’Icp ne dichiarava i caratteri di permanenza, i progettisti, tra cui Nicolosi, ne precisavano caratteristiche provvisorie (provvisionali). Esempio di questi anni sono le due borgate, quella di Pietralata e di Tiburtino III, e quella di Fiumicino, per le quali, le prime due erano destinate alla demolizione, mentre Fiumicino divenne una borgata a carattere definitivo, che con i suoi padiglioni tipo M ed N, è rimasta intatta.

Sembra quasi che, in questo momento storico per la storia dell’architettura romana, si passi da un concetto di “vecchia” edilizia a “nuova” edilizia. Fino ad ora abbiamo visto come i tratti che hanno caratterizzato le borgate governatoriali, fossero, nella loro specificità, tutti orientati verso l’economicità della struttura, realizzata nel minor tempo possibile, anche a discapito della salubrità degli agglomerati e della mancanza di servizi a sostegno del vivere quotidiano. Le cose, di fatto, non cambiano nella sostanza, cambiano nell’apparenza, lì dove, si adottano delle soluzioni strutturali-architettoniche che vedono la parzialissima adesione ai princìpi di natura razionalista e dove finirono per costituire una sorta di ampliamento delle borgate governatoriali, precarie e soggette agli stessi problemi.

Villani delinea molto bene la situazione “(…) D’altra parte, ci si guardò bene dall’abbattere i nuclei di casette e ricoveri. Una volta acquisiti, integrarono l’ormai vasta gamma di soluzioni abitative di cui l’Istituto poteva disporre, ad ognuna delle quali corrispondeva una specifica categoria di inquilini selezionati in base alle diverse capacità economiche”. Ancora una volta era il “principio economico disciplinare” a decidere e lì dove, per cause maggiori, si era impossibilitati a pagare il fitto, soprattutto nelle borgate governatoriali, l’Icp decide di riadottare la pratica del lucchetto utilizzata sotto il governatorato del principe Ludovisi.

Immagini tratte dal libro “Borgate Romane. Storia e forma urbana” di Milena Farina e Luciano Villani tratte dall’Archivio ATER

L’importante era che ci fosse la parvenza di un fascismo onnipresente, anche nelle zone più misere, forse, soprattutto in quelle, in cui l’impianto dei nuclei era organizzato nella costituzione di vari elementi chiave: attività assistenziali, attività sportive, ed attività politiche; tradotto: una chiesa, una scuola, la casa del fascio, la casa dei bambini ed il refettorio.

Per il resto, nulla. Non c’era una farmacia, un lavatoio, talvolta neanche acqua ed illuminazione. Non ne parliamo dei collegamenti e delle opere stradali. Importante era inaugurare le borgate, dopodiché, molti lavori rimanevano in sospeso anche per anni.

“Le borgate rimandano ad una pagina buia del regime che le istituì, è tuttavia doveroso constatare la differenza tra i progetti governatoriali e quelli dell’Istituto. Inconfondibile appare la loro impronta linguistica, a metà tra l’architettura storicista e quella razionalista. Tipiche sono: prospetti reticolati degli edifici a ballatoio che influenzò l’Italia, la carica storico-sociale, forte appartenenza e solidarietà collettiva tradottisi nella comune rivendicazione di migliori condizioni di vita”.

Determinante è stata la trasmissione in via ereditaria dell’alloggio pubblico, dai primi assegnatari ai loro figli e nipoti, che ha avuto l’effetto di preservare il legame sociale ed a questo si deve la costante affermazione, da parte di chi ci abita anche oggi, di “attaccamento al luogo” in cui sono nati o vissuti i propri genitori, nonni e bis nonni.

“Le borgate ex governatoriali rappresentarono a lungo una ferita aperta nella periferia della città, di cui ancora oggi sono distinguibili i segni. Nella periferia orientale. Al posto delle borgate Gordiani e Prenestina si aprono dei vuoti, due “enormi cicatrici” che sembrano conservare la traccia dei vecchi insediamenti” scrive Villani, e continua dicendo: “L’inchiesta sulla miseria decisa dal Parlamento nel 1951 indicò nelle borgate, senza distinzione alcuna, “le maggiori piaghe sociali” di Roma. (…) Alla fine degli anni Cinquanta le spese destinate agli interventi di manutenzione e riordino vennero incrementate. Ma di fondo, nonostante l’istituzione di varie commissioni e persino di un Ufficio Comunale, né la situazione delle borgate consolidate, né quella delle parti provvisorie vennero mai affrontate attraverso l’adozione di piani generali”.

Una totale assenza di sistematicità e di attuazione nel risanamento con progetti urbani ed urbanistici definiti.

Nell’immediato dopoguerra si avviano piccole demolizioni delle costruzioni più fatiscenti, (Sette Chiese, Tor Marancia) che si conclusero nel ’60. A Pietralata, nel 1957, vi fu l’assegnazione, ma nel 1965 veniva segnalato lo stato di pericolo incombente per chi abitava nelle case provvisorie. La bonifica si concluse nei primi anni ’70, così come a Tiburtino III, ma qui si avviò veramente solo nel 1974, la cui riqualificazione terminò nel 1982, come in tutte le altre borgate.  A Primavalle, la distruzione delle casette venne portata a termine nel 1969; al loro posto gli abitanti costruirono un campo sportivo e si opposero con tenacia per non essere trasferiti a Prima Porta (Comitato di lotta per la casa). Prenestina rimase in piedi fino al 1969, poi fu demolita. Lo stesso per Gordiani nel 1962: gli abitanti vennero trasferiti in altre periferie. L’ultimo consistente abbattimento vi fu nel 1980.

L’inizio del 1980 segnò il declino delle borgate provvisorie realizzate in epoca fascista, grazie all’adozione di piani speciali per l’emergenza abitativa ed il rilancio dei Piani di Edilizia Pubblica, approvati dieci anni prima, ma che solo dalla metà degli anni settanta iniziarono a prendere quota.

Ho iniziato l’articolo ponendo una domanda su cosa è accaduto a Roma dopo il 1935, lo concludo ponendo l’attenzione su:

Che cosa accade a Roma oggi?

Milena Farina, che ha curato tutta la seconda parte del libro, ha condotto una bellissima analisi su Le ragioni di un riscatto delle periferie di oggi. Attraverso una puntuale e completa descrizione dei princìpi compositivi, dei caratteri tipologici e dei temi figurativi delle borgate di seconda generazione, studia quanto, ad oggi, “le borgate ufficiali appaiano come isole speciali nel paesaggio eterogeneo e confuso della periferia romanaRaggiunte rapidamente dall’urbanizzazione del secondo dopoguerra, hanno conservato una forte identità figurativa e spaziale che le distingue sia dalla città prodotta dall’iniziativa privata, sia dalla cosiddetta città pubblica costruita nei decenni successivi”.

Posso senz’altro condividere in pieno il suo punto di vista e concordare sul fatto che la “dimensione dell’abitare” che si vive e si respira oggi nelle periferie, proprio per la natura stessa per la quale sono nate e che ad oggi le contraddistingue, assuma caratteri fortemente identitari e caratteristiche uniche sotto tanti aspetti, a cominciare da quello urbano/architettonico che, nonostante le abbia viste, per decenni,  isolate, abbandonate e ghettizzate, oggi vantano degli spazi pubblici e privati totalmente in comunione con il concetto della “partecipazione” da parte di chi vi abita, di chi le visita e di chi le vive attraverso le molteplici associazioni culturali presenti nel territorio.

 


Tutte le immagini contenute in questo articolo sono state prese dai link segnalati, tratte dal libro“Borgate Romane. Storia e forma urbana” di Milena Farina e Luciano Villani e fornite per la stesura del libro dall’Archivio ATER