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Immagine tratta da Mappe storiche di Roma scala 1:12000 (Guida Rossa TCI 1925, prima edizione) Sono ancora intatte le aree che verranno sventrate

Si è aperta all’insegna della romanità una delle due giornate di Open House Roma 2018, che mi ha visto partecipare, come primo evento, alla presentazione del libro Borgate Romane. Storia e forma urbana a cura di Milena Farina e Luciano Villani – organizzato dall’associazione “Primavalle in Rete” presso la Biblioteca Franco Basaglia, in via Federico Borromeo 67.

Ho dei ricordi che mi legano alla Biblioteca Franco Basaglia, che risalgono agli anni ’90, anni in cui, pur frequentando la Facoltà di Architettura, un’amica mi coinvolgeva nei suoi studi di Lettere e Filosofia, indirizzo Discipline dello Spettacolo, e con la quale passavamo pomeriggi interi a vedere film, altrove introvabili, che andavano dalla più “spietata” filmografia sovietica di Sergej Michajlovi? ?jzenštejn e Andrej Arsen’evi? Tarkovskijai padri del neorealismo italiano, Roberto Rossellini, Luchino Visconti e Vittorio De Sica, fino ai contemporanei Wim Wenders e Quentin Tarantino. Sono circa 6.000 i film che la Biblioteca ha nel suo archivio storico, tra VHS e DVD, e che da sempre sono a disposizione dei cittadini, così come lo sono le numerose attività che svolge durante il corso dell’anno, tra cui, solo per citarne alcune, le partecipazioni ai Festivals delle Letterature e delle Scienze, il progetto Cinema in Biblioteca, i corsi gratuiti di chitarra, ed i numerosi laboratori per far avvicinare bambini e ragazzi all’arte ed alla lettura.

Il contesto in cui è stato presentato il libro non è avulso dall’oggetto di studio che i due curatori hanno portato avanti in questi anni. La Biblioteca Franco Basaglia, infatti, è sita nell’attuale quartieredi Primavalle, ed è proprio in occasione dell’80° anniversario della nascita della borgata, che si è scelto di dedicare questa giornata ai “nuclei” di periferia romani edificati dagli anni Trenta in poi. L’area in cui insiste l’edificio bibliotecario è quella porzione di lotto, inserita nella “programmazione di costruzione” del nucleo di casette, voluto dal Governatorato di Roma, in cui furono fabbricati, tra gli anni ’30/’32, i due dormitori pubblici (oggi la conformazione dei volumi esistenti è diversa) a sussistenza dei “senza tetto” che avevano perso il proprio domicilio, a seguito dello sbaraccamento volto a risanare la zona che si trovava in Via di Santa Maria delle Fornaci, reso urgente per la costruzione di una scuola.

Immagine tratta dal libro Borgate Romane. Storia e forma urbana  tratte dall’Archivio ATER

Ma delocalizziamoci per un po’.

Che cosa accade a Roma intorno agli anni Trenta, e soprattutto, quali sono le spinte che porteranno al formarsi delle borgate romane?

Prima valutazione da fare. Durante gli anni che intercorrono tra il 1930 ed il 1934, Il Governatorato di Roma, sotto l’allora direzione del principe Francesco Boncompagni Ludovisi e la supervisione costante del Duce, decide di mettere in atto una politica, innanzitutto sociale e poi edilizia, che interviene sul decoro che una città come Roma doveva avere e cioè, procede con vari interventi di “bonifica” effettuati sulle parti di territorio in cui il baraccamento spontaneo non rispondeva ai princìpi di estetica del fascismo.

Scrive Villani: “Si avvia il processo di liberare la città dall’onta delle baracche, connesso alle politiche anti-urbane e di riequilibrio demografico, per il quale furono necessari gli allestimenti temporanei di ricoveri e convenzioni pattuite su criteri di libera gestione degli alberghi, atti ad ospitare gli sfollati” e la costruzione di casette organizzate in nuclei”.

Fin qui, sembra un discorso che trova il consenso della razionalità e della coscienza etica, e cioè quello di mettere in condizioni di salubrità e di decoro sociale, tutte quelle persone che non avevano la possibilità di avere un alloggio degno di essere chiamato tale. Ed è quello che la propaganda fascista mette in luce in quegli anni, dando voce solo a coloro che lodavano le casette al posto delle baracche e a coloro per i quali, “i favoritismi concessi per ottenere un alloggio in borgata li faceva essere dei privilegiati più che dei confinati grazie al benefattore di turno”, di solito un rappresentante dello Stato, che, grazie al potere che esercitava, decideva non solo chi dovesse, ma anche, chi potesse usufruire dell’alloggio popolare. Più mi inoltro nella lettura di questo libro e più diventa chiaro il concetto che si sia trattata di una “deportazione di categorie sociali sgradite” e non di una migrazione al contrario, di un “esodo agricolo”.

Il secondo discorso da chiarire, che è anche quello che accompagna noi romani da sempre, è che il costituirsi delle borgate poco o nulla c’entra con gli sventramenti che Mussolini decise di mettere in atto nelle aree centrali della capitale per aprire grandi e maestose arterie, e poco o nulla c’entra con la dinamica di “mobilità” ed emergenza abitativa che ne seguì.

Nelle borgate ufficiali, quelle denominate di prima generazione, le borgate governatoriali, (tra cui la borgata PrenestinaSette ChiesePrimavalleAppioTeanoGordianiTor Marancia e Pietralata) cominciarono a vivere famiglie di bassa e bassissima estrazione sociale, sia romane, sia provenienti dai comuni della provincia, del Lazio e di altre regioni soprattutto centrali e meridionali, stabilitisi ormai da molti anni a Roma.

Scrive Villani: “Tra gli abitanti di queste borgate, pochi provenivano dalle aree centrali sottoposte a demolizione. La descrizione del processo di ricollocamento degli sfrattati alla stregua di una indiscriminata “deportazione” in periferia, anzi, non coglie l’estrema varietà di status degli abitanti del centro storico, risultando poco convincente sia ai fini di una ricostruzione del tessuto socio-economico presente negli antichi Rioni al momento delle demolizioni, sia di un’adeguata comprensione delle procedure che sovraintesero l’intera operazione e, più in generale, delle dinamiche di mobilità urbana che contraddistinsero il periodo fascista” (…) buona parte di loro si sistemò per proprio conto non lontano dalle zone evacuate, usufruendo dei sussidi contrattati con gli uffici governatoriali (..) altri si avvalsero dell’assistenza edilizia dell’Istituto Case Popolari ed andarono in alloggi di tipo economico e popolare in quartieri non lontani dal centro a condizioni di affitto vantaggiose (…) gli sfrattati dal centro non costituivano un blocco omogeneo”.

Terzo aspetto fondamentale per capire il motivo per cui nascono questi nuovi nuclei decentrati: a partire dal 30 giugno 1930, si dichiarava cessato il regime vincolistico degli affitti.

Scrive ancora Villani: “La liberalizzazione degli affitti, per via della quale si viene a capo di uno dei fili che condussero alla decisione di realizzare le borgate ufficiali, fu tra i fattori che più influirono sulla crescita della mobilità abitativa, considerato il forte incremento subìto mediamente dai canoni rispetto ai valori dell’anteguerra e le sempre più numerose richieste di sfratto per fine locazione o morosità. (…) La crescita dei valori immobiliari delle aree centrali e della prima periferia urbana, avviano un progressivo processo di espulsione delle categorie sociali più povere dal mercato libero dell’affitto”. E da qui la necessità, da parte delle classi meno abbienti, di sottostare alla delocalizzazione forzata.

Quarta analisi cruciale e a suo modo anche molto attuale: “Ma quanto corrispondeva al vero che gli ammassati nelle borgate fossero per la gran parte immigrati, per giunta oziosi e incapaci ?”- chiede sempre Villani.

È innegabile che la città di Roma fosse il punto di passaggio delle principali correnti migratorie che attraversavano l’Italia in quel periodo e che, nonostante non fosse in grado di garantire un’occupazione stabile ai migranti, a causa del limitato comparto industriale di cui usufruiva, doveva comunque far fronte alla temporaneità del loro trasferimento. Ma di certo, le approfondite analisi di Villani dimostrano esattamente il contrario rispetto a quello che la propaganda fascista faceva credere: “I dati che, paradossalmente, proprio l’Ufficio di assistenza era chiamato a raccogliere dimostrano come le cose stessero diversamente. Nella borgata Teano su 160 capofamiglia censiti, quasi la metà (48,7 per cento) era nato a Roma(…) Ancora più alta era la quota dei romani a Primavalle, dove raggiungevano il 63 per cento (…) anche a borgata Prenestina le famiglie romane superavano la soglia del 60 per cento, mentre a Gordiani (…) quelle che usufruivano del sussidio ministeriale risultavano difficilmente rimpatriabili perché romane o perché dimoranti nella Capitale da oltre venti anni (…)

Le borgate di prima generazione sono la materializzazione, in termini di spazi e di conformazione dei luoghi, dei confini stabiliti dall’esclusione sociale delle classi meno agiate, messa in atto dal regime fascista.

Poco importava come e dove delocalizzare, l’importante era deportare lontano dal centro storico. La rapidità di esecuzione, la carenza di servizi pubblici (tra cui l’approvvigionamento idrico, l’illuminazione, la raccolta dell’immondizia), la fragilità delle strutture ed il precoce deterioramento delle stesse, non ha lasciato traccia, ad oggi, degli agglomerati sorti in quegli anni.

Immagine tratta da https://www.romaierioggi.it/piano-regolatore-di-roma-1931/ piano regolatore di Roma del 1931. In bianco sono evidenziate le borgate governatoriali.

Se si considera l’assetto del Piano regolatore del 1931 e si guarda ai nuovi nuclei extra-urbani, si può facilmente dedurre quello che accadde in quegli anni. Ad una attenta vista d’insieme, non è identificabile alcun “organismo” che si possa chiamare tale alla base della scelta della zona dell’insediamento e la nascita delle borgate, che diventerà negli anni “crescita di interi quartieri”, non è articolata in zone riconoscibili, ma è sparsa ovunque. Si può senza dubbio parlare di agglomerati di alloggi, più che di agglomerati edilizi, di “non luoghi”.

Impossibile non considerare che, con il Piano Regolatore del 1909, redatto da Edmondo Sanjust ed approvato dal sindaco Ernesto Nathan, sono arrivati i primi quartieri operai localizzati nei pressi dei siti destinati alle attività produttive; i luoghi scelti erano sì decentrati, ma senza dubbio connessi all’intera città attraverso una rete tranviaria completa ed integrata. Sono un esempio la nuova città universitaria, la zona industriale costruita ad Ostiense, l’area di sezione artistica sorta a Valle Giulia e quella di sezione etnografica sviluppata a Piazza d’Armi. L’isolato urbano di matrice ottocentesca, inteso come unità elementare dello spazio urbano, è regolato da un preciso rapporto tra pieno e vuoto ed è aggregato e connesso al tessuto urbano esistente.

Con il Piano Regolatore del 1931, invece, firmato da Piacentini e Giovannoni, l’assenza di nuove forme urbane, senza disegno e progettualità, i pesanti sventramenti effettuati per favorire i flussi di traffico di attraversamento ed il tentativo di isolare i monumenti e le aree archeologiche, a scapito dell’edilizia storica minore, ha condizionato negativamente tutta l’urbanistica della città di Roma ponendo le basi e promuovendo una “espansione a macchia d’olio”, i cui effetti sono tutt’oggi visibili nella città contemporanea.

In questo senso, Villani spiega bene il concetto di quanto la formazione della città pubblica degli anni Trenta abbia influito sull’assetto contemporaneo della nostra città: “Le borgate ufficiali costruite in epoca fascista hanno avuto un ruolo cruciale nella storia di Roma contemporanea (…) Legate intimamente alla struttura economica e sociale della città, hanno funzionato da nuclei primigeni della cintura periferica esterna e da capisaldi per il successivo processo di espansione urbana”.

L’isolato urbano, pur mantenendo le caratteristiche di progettazione corrette nel rapporto tra pieno e vuoto, all’interno del tessuto urbano complessivo si trasforma in uno spazio urbano isolato dalla città consolidata.

La seconda immagine è tratta da Mappe storiche di Roma (Guida Rossa TCI 1925, prima edizione) I percorsi delle linee tranviarie e degli autobus dimostrano come le borgate di prima generazione fossero isolate dalla città consolidata, che è selezionata in blu nella prima immagine.

La lettura di questo libro, anche per chi non è addetto ai lavori, conduce un’analisi precisa ed accurata della situazione che ha portato, ad oggi, noi romani a vivere ed a condurre la nostra quotidianità nelle attuali periferie.

Meritano un approfondimento a parte tutte le vicende che si sono susseguite dopo gli anni ’35, che hanno visto come principale esecutore dell’evolversi del processo di edilizia economica e popolare nella Capitale, le cosiddette borgate di seconda generazione,  l’Istituto Fascista Autonomo Case Popolari (IFACP), sotto le direttive del governatore Giuseppe Bottai, un gerarca romano il cui profilo, intellettuale e politico, era ben lontano dal mondo aristocratico del suo predecessore, il principe Francesco Boncompagni Ludovisi.

LE BORGATE GOVERNATORIALI_Planimetrie generali

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Tutte le immagini contenute in questo articolo sono state prese dai link segnalati, tratte dal libro“Borgate Romane. Storia e forma urbana” di Milena Farina e Luciano Villani e fornite per la stesura del libro dall’Archivio ATER