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“I mezzi di massa non trasportano ideologie; sono essi stessi ideologia.”

Umberto Eco

È ancora attuale parlare di televisione come mezzo o come linguaggio, considerata l’evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa? A questa domanda potrebbe rispondere, anche in retrospettiva, questa interessante e prima d’ora inedita raccolta di scritti sulla televisione, dal 1956 al 2015, opera dell’autorevole filosofo, medievista, semiologo e massmediologo Umberto Eco, scomparso nel 2016 e del quale qualcuno, sono pronta a scommettere, sente la mancanza.

Il libro, edito da La Nave di Teseo, è destinato al lettore colto interessato a compiere una ricognizione sul fenomeno televisione in alcune sue sfaccettature: la televisione come mezzo di comunicazione e strumento capace di trasformazione sociale e antropologica, ça va sans dire; potrebbe apparire scontato ma non lo è: grazie alla folta raccolta di saggi, relazioni congressuali e articoli di giornale, viene spontaneo pensare, a beneficio di noi lettori, a delle iniziali “istruzioni per l’uso” del mezzo televisivo, molto meno subìto passivamente, ma esperito con l’occhio vigile del critico che ognuno di noi a modo proprio può diventare.  Riflessioni che coprono un arco temporale dall’avvento delle prime trasmissioni con una diffusione ancora limitata, ai tempi nostri, quando la televisione si vede affiancare da internet e dalle piattaforme social. Caleidoscopico.

In apertura l’immancabile e sempre godibile “Fenomenologia di Mike Bongiorno” (Diario Minimo, ed. Bompiani, 1963), dedicato all’alfiere pop della televisione italiana dal suo esordio; a seguire un mix tra saggi (nei quali l’esperto semiologo trova ampio spazio), testi per una definizione di critica televisiva, analisi di trasmissioni, personaggi, miti e contesti. Un viaggio attraverso le epoche della televisione per quanto, come avverte la prefazione a cura di Gianfranco Marrone non ci sia, al momento, una lista completa e filologicamente ricostruita di tutti gli scritti di Eco sul tema.

Nei saggi o negli appunti Umberto Eco è sempre un buon provocatore – lo stimolo provocatorio nei sui scritti è sempre sotteso, se non apertamente dichiarato – ben distante dal praticare quel “cogitus interruptus” (pp. 133-151) del quale non sentiamo il bisogno.

Senza contare la volontà di smascheramento della mistificazione ad opera della ripresa diretta dagli albori della TV – verità, ai più recenti reality show là dove c’è più continuità di quanto non si ammetta nella direzione di una “pretesa realista che, dal canto loro, tutte le arti e le filosofie del Novecento avevano ben messo a tacere.” Così ci informa la prefazione.

Come potrei tralasciare un cenno a Marshall McLuhan, citato senza risparmio dall’umanista medio nelle conversazioni fra amici, che si vede travolgere dal rigore critico del nostro autore in vena di solleticare i lettori circa l’opportunità di leggere McLuhan:

” Si può compiere lo sforzo di leggere Understanding Media? Sì, perché l’autore sembra assalirci con una congerie enorme di dati (Arbasino ha splendidamente supposto, in un suo articolo, che questo  libro sia stato scritto da Bouvard e Pécuchet) ma l’informazione centrale che esso ci dà è una sola: il medium è il messaggio […]  l’intero messaggio è più volte ripetuto sui cerchi di una spirale concentrica e con apparente ridondanza.”

Un solo appunto: la ridondanza non è apparente, è reale.

Come aggiungere il rosso d’uovo al purè per renderlo ancor più gustoso.

Potrei continuare oltre il divertimento, ma lascio ai lettori il piacere della scoperta. Concludo con una citazione riportata da Umberto Eco, ossia ciò che scrisse una spettatrice:

“Dico la verità, non mi piace molto questa televisione, che spesso è noiosa, per non dire peggio, e che mi obbliga a restare attaccata ai video per ore e ore, mentre avrei mille altre cose da fare.”


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