image_pdfimage_print

Rovistando fra rete e social network, osservo il fiorire di scuole e laboratori di scrittura creativa, da almeno un paio d’anni. Quasi si sentisse l’urgenza di dare alle stampe i propri pensieri ricavandone imperdibili romanzi e racconti.

Un’amica psicoanalista sostiene che per farsi notare occorre scrivere almeno un libro, pena l’oblio al quale ci costringe la nostra finitudine, e ciò probabilmente riferendosi a individui che palesano incertezze sul proprio valore.

Vorrei dire quello che penso senza peccare di supponenza o eccessiva severità: quando scriviamo per dare al mondo un segno significativo e memorabile del nostro passaggio, occorre dimostrare talento e vocazione come requisiti minimi.

Esclusi i meritatamente grandi autori della narrativa mondiale, oggi assistiamo alla consacrazione rituale di alcuni autori minori per qualità delle loro opere, osannati dal grande pubblico e dai mass media; preferisco sorvolare sul velleitarismo di talune soluzioni.

La vocazione da sola non basta e il talento è una dote naturale o è rinforzato da una buona pratica sull’uso dei ferri del mestiere?

A tal proposito faccio ricorso alla testimonianza di Murakami Haruki, riconosciuto romanziere di successo, il quale ci spiega come fare, nel suo libro intitolato Il Mestiere dello scrittore, in modo confidenziale, coinvolgente e impeccabile nello stile.

Un saggio alla Murakami, perfettamente identificativo del suo essere uno scrittore non convenzionale: leggerlo è come entrare a casa sua, sedersi sul divano e ascoltarlo raccontare.

Murakami, lungi dal presentare tesi accademiche sulla scrittura, divulga il suo metodo nel quale spiccano espedienti, alcuni apparentemente stravaganti: dal semplice invito alla lettura come abitudine connaturata – è indispensabile leggere per comprendere gli altrui costrutti, confrontandoli con i propri -, alla non futile flânerie di chi si perde nel girovagare. Infatti, compito del flâneur è perdersi nell’osservazione attenta di cose, persone, fenomeni, senza dare giudizi di valore; trasformare poi il tutto in materiale utile alla costruzione del romanzo.

“Autori eccelsi, autori così così, autori insignificanti…non ha (alcuna) importanza, l’essenziale è leggere in continuazione. Far passare dentro di sé il maggior numero possibile di storie. Frasi scritte in modo meraviglioso, ma a volte anche mediocre.”

Sottolineo “far passare dentro di sé” (mi fido della traduttrice).

Un cenno al capitolo quinto dedicato al cosa scrivere; Murakami ci soccorre spiegando quanto sia importante non tanto esprimere giudizi, quanto immagazzinare informazioni attivando un “processo minimo” di organizzazione delle medesime: accumulare materiale con la pertinacia del collezionista e trattenere dettagli peculiari; infine riporre il tutto in una Wunderkammer  del pensiero. Curioso il procedimento di estrazione e utilizzo di questo materiale apparentemente inerte, che diventerà “vivo” e “altro” entrando nel contesto narrativo. Come? Leggete il libro e lo scoprirete.

“Inutile dire che per me, che sono uno scrittore, le informazioni stipate in quella cassettiera sono un bene insostituibile, di grande valore.”

Ora, cari lettori di Diatomea passo a sottoporvi una recensione del libro, ad opera di Lorenzo Leone, nel suo blog Cabaret Bisanzio. Recensione accurata, tale da rendere inutile che io faccia altrettanto.


Tutte le immagini contenute in questo articolo, lì dove specificato, sono tratte dal web e possono essere soggette a copyright, tutte le altre sono coperte da diritto d’autore.