FOTOGRAFARE IL TEMPO

Non ci sono molti artisti che si sono soffermati a riflettere sul rapporto tra il teatro, ma ancor più il cinema, con la quarta dimensione: il tempo.
Perché il cinema in particolare? Perché il cinema, attraverso le sue tecniche consolidate (piano-sequenza, découpage e anacronie) è l’unica arte che può compiutamente rappresentare il tempo nella sua essenza.

Tra questi si registrano ancor meno fotografi proprio perché la fotografia, per sua natura, congela il tempo – lo annulla – in uno scatto.

Hiroshi Sugimoto invece, con la sua raffinata sensibilità orientale, ci dimostra come si possa riflettere sul tempo e come si possa compiutamente rappresentarlo.

Sugimoto, più volte, nel corso del suo percorso artistico, riprende un soggetto che ha la caratteristica di mutare nel tempo con tempi di scatto lunghissimi, quasi infiniti.

Forse, sotto un aspetto puramente visivo, la sua opera più famosa ed affascinante è la serie Seascapes, nella quale ritrae la linea d’orizzonte in località geograficamente molto distanti.

Seascape – Ligurian Sea, Saviore, 1982

Eppure la riflessione più profonda, quella che ritrae il tempo nella sua essenza, sono le diverse serie dei Theaters, nelle quali riflette sul tempo di un’opera cinematografica all’interno di un luogo di spettacolo. Il concetto si basa sulla contrapposizione tra la rappresentazione della sintesi del tempo di una storia, ripresa dalla proiezione di un film intero su uno schermo cinematografico, in un tempo di posa della durata del film (ne deriva una immagine proiettata quasi completamente bianca, salvo qualche sbavatura), con quella della sala o dello spazio in cui viene proiettato il film, che viene congelato nel tempo dallo scatto fotografico.

Nella prima serie da lui realizzata, “Theaters”, l’Artista riprende la proiezione di un film all’interno di storiche sale cinematografiche americane, caratterizzate da magniloquenti decorazioni, emblema dell’età d’oro del cinema. 

In un’altra serie, “Drive-In Theater”, Sugimoto innesta lo “spazio-tempo” dell’immagine di un film, proiettata sullo schermo, in un luogo particolare, il Drive-In dove si perde la condizione di “camera delle meraviglie” tipica della sala cinematografica – un luogo fuori dal mondo – perché il confine del luogo diviene la volta celeste, che, pur se lentamente, ha una condizione mutevole.
Lo scatto più affascinante, dove si coglie il diverso scorrere del tempo tra contenuto e contenitore, è Union City Drive-In, del 1993.

Il capolavoro tra le serie dei “Theaters”, tuttavia, è “Abandoned Theatre” del 2015. In questa Sugimoto fissa la sua attenzione sul rapporto tra un’opera estremamente significativa nella storia del cinema, nella vita delle persone e, probabilmente, dello stesso artista, con i segni del tempo, ambientando lo scatto a tempo di posa di capolavori del cinema, come RashomonBiancaneve o ancor più Mujo (The passing life, 1970), che è un film incentrato sul concetto buddista di “transitorietà” (aspetto centrale della riflessione sul tempo terreno), in sale storiche abbandonate, simili a quelle della prima serie, dove sono evidenti, attraverso il degrado delle strutture della sala, i segni del passare del tempo, della caducità della vita terrena.

Sugimoto, astraendosi dalla complicazione e dall’artificiosità della vita e dell’arte contemporanea, ci riporta ai temi basilari dell’arte e dell’esistenza. La rappresentazione del tempo per l’artista è minimalista e il tempo più “reale” è il tempo dello spirito, quello della riflessione sul significato della nostra vita terrena.





Il ritorno del Cine-Circolo

Il Cinemino – Foto da Prototypo, produttore dei pannelli acustici 

Il tempo è ciclico, secondo Giambattista Vico, ed anche il cinema, o meglio i cinema, non fanno eccezione.

Sparito quasi completamente all’avvento dell’home cinema, il cine-circolo risorge dalle ceneri del suo passato a Milano, via Seneca 6, a pochi passi da Porta Romana (ma già qualche avvisaglia c’è stata in giro per l’Italia, negli ultimi anni).

Il Cinemino, a Milano, è, quindi, un cine-circolo, aperto dal 10 febbraio 2018 (in un ex showroom, anche questo un segno dei tempi!), che nasce per iniziativa di un gruppo di amici cinefili.

Immagine tratta da https://www.facebook.com/IlCinemino/

Consapevoli di avere creato una “fuoriserie”, i neo-gestori definiscono il loro spazio:

una piccola sala cinema e un bar: questo è Il Cinemino.
Un luogo a metà tra sala di quartiere e hub internazionale,
un punto di incontro per tutti coloro che amano la settima arte

ma anche:

“ un luogo d’incontro e proiezioni selezionate,
in uno spazio creativo e accogliente dove incontrarsi e far nascere nuovi progetti
”.

Questa iniziativa imprenditoriale è un prodotto di un crowdfounding con 50.000 euro di plafond. Un modo intelligente di realizzare una sala con costi ridotti grazie agli standard antincendio inferiori, ad un minore investimento sull’allestimento e ad minor costo di proiettore e impianto audio.

Sono loro stessi infatti che descrivono la politica imprenditoriale sul sito:

L’offerta de Il Cinemino sarà caratterizzata da quella cinematografica: film italiani, con preferenza per la produzione milanese, titoli in lingua originale con sottotitoli, documentari, cortometraggi, videoclip, VR, audiovisivo fuori formato, sperimentale, ludico e interattivo. In parole povere tutto quel cinema che non si trova nei circuiti tradizionali, proposto secondo una multiprogrammazione indirizzata a pubblici differenti in base alle fasce orarie e ai giorni della settimana. Addio al vecchio titolo unico in cartellone per una o due settimane: i pomeriggi a target bambini e ragazzi lasceranno il posto a serate sempre diverse dedicate a incontri con autori, documentari, rassegne, maratone e cortometraggi”.

Immagini tratte da  http://www.milanoincontemporanea.com/2018/03/05/il-cinemino-5-motivi-per-cui-aperto-da-poco-gia-piace-a-tutti/  e dal canale  https://www.facebook.com/IlCinemino/ dei gestori

È questo il cinema del futuro? Non proprio.

Come dichiarato (sempre nel sito) è un cine-circolo più che un cinema.

Questo potrebbe essere uno dei cinema del futuro. Un cinema che, caratterizzato da una capienza assai limitata, con una componente finanziaria diffusa (il crowdfounding) e con una gestione collettiva, si pone in quella fascia marginale (il cinema off) che dà spazio alla ricerca, ai film in lingua originale e ai movimenti culturali emergenti, anche di quartiere (come loro sottolineano). Non è una iniziativa imprenditoriale che può sostituire il modello imprenditoriale prevalente attuale ma può integrarlo, ridando spazio ad un cinema che non lo ha più da tanti anni.

Proprio per la sua peculiarità, la sua limitatezza tecnica-architettonica (schermo piccolo, forma della sala “a corridoio”) non è una condizione ostativa al suo successo.

Perché è potenzialmente attraente? Perché nell’era del cinema on demand, dell’offerta indifferenziata, un gruppo di appassionati, con una propria visione del cinema, può offrire una lettura ed un’offerta critica del cinema che manca sia nella televisione generalista, sia in quella a pagamento e può offrire uno sguardo a produzioni ignorate sia dai grandi circuiti e, spesso, anche dalle principali sale d’essai.

La mancanza di spazio per i film nelle sale è il problema dei problemi.

Non ultimo, il successo di questo cinema, può fondarsi sul legame (un approdo fisico di una rete culturale) con le produzioni a basso costo, che sfruttano le tecnologie digitali, in analogia a quanto è accaduto nella musica. Potrebbe essere il punto fisico di confronto con il pubblico per i giovani autori, un cassa di risonanza per questi tra cultori della materia.

Dipenderà dalla capacità dei gestori, qualità che, in una sala di 75 posti, fa la differenza tra la vita e la morte.


Tutte le immagini contenute in questo articolo sono state prese dai link segnalati o per gentile concessione dell’autore ©GiulioPaoloCalcaprina